Mentre Francesco apre ai gay
La scomparsa dei cattolici dalla vita politica italiana
Infranto il sogno Cei di un Pdl moderato. E i cattolici si scagliano contro la legge antiomofobia
Sono tempi non facili quelli che stanno attraversando la Chiesa e i cattolici italiani.
Se da una parte, infatti, Bergoglio ha risvegliato un’attenzione positiva vero la Chiesa, ha suscitato speranze e in generale rimesso in piedi il rapporto fra Santa Sede e opinione pubblica, parecchie cose cambiate e non sempre in meglio. Sul piano politico la situazione è mutata assai rapidamente: l’endorsement doppio della Segreteria di Stato e della Cei (un po’ più tiepido quello di quest’ultima) – in favore del nuovo partito di centro di Mario Monti, ha rivelato la debolezza intrinseca del cattolicesimo italiano. Di fatto è risultato evidente quanto a lungo il cardinale Camillo Ruini era riuscito a camuffare: il peso specifico dei cattolici e soprattutto della Chiesa nella vita politica del Paese si è drasticamente ridimensionato dal dopoguerra a oggi. Si dirà che in qualche modo ci sono degli ex democristiani al governo, il che naturalmente è vero. Ma è scomparsa l’egemonia cattolica, la massa critica del cattolicesimo organizzato e il potere d’interdizione dei sacri palazzi.
Ruini alleandosi con il centrodestra berlusconiano aveva creato un meccanismo che ha rimandato di circa un ventennio la crisi. Un blocco di potere saldato attraverso reciproci scambi e sostegni garantiva alla Cei l’appoggio incondizionato su leggi e provvedimenti che caratterizzavano l’ideologia ecclesiale di questi anni: forti restrizioni in campo bioetico e barricate sui diritti dei gay, in modo particolare; d’altro canto finché il cardinale ha guidato l’episcopato italiano il sostegno a Berlusconi e ai suoi non è mai mancato da parte dei vescovi.
Con la presidenza Bagnasco questo clima si è un po’ attenuato, ma la rottura è avvenuta solo quando il leader del Pdl era prossimo all’uscita di scena. Tale modello nazionale si saldava con l’esperienza ciellina in Lombardia e nelle file del Pdl. Non a caso, il sogno coltivato dalla Cei anche successivamente alla caduta di Berlusconi era quello di un Pdl più moderato, senza il suo ingombrante leader storico e con un Alfano alla guida. Ma anche questo sogno si è infranto. D’altro canto dopo gli scandali che hanno travolto la regione lombarda la stessa Comunione e liberazione ha attraversato un fase di dibattito interno e di ripensamenti sulla propria storia e sul proprio ruolo politico nelle vicende recenti del Paese. Fra le voci autocritiche che si sono levate c’è stata anche quella di don Julian Carron, il successore di don Giussani.
D’altro canto il centrodestra su temi come sostegno alla famiglia e finanziamento alle scuole cattoliche, ha fatto molte parole ma nella pratica ha realizzato ben poco; la crisi stringeva e le promesse non potevano essere tutte mantenute. Negli stessi anni in Vaticano si coltivavano più o meno gli stessi rapporti politici e di potere, sotto questo profilo i contrasti fra Segreteria di Stato e Cei rappresentavano invece una questione interna della Chiesa, si è assistito a una lotta per il primato da cui è nato. Fra le altre cose, il filone di scandali di vatileaks. Tuttavia non si registravano differenze di visione fra le diverse istanze ecclesiali del Paese.
Così se in effetti il progetto Ruini garantiva alla Chiesa una sovrarappresentazione politica e sociale, qualcosa si è definitivamente rotto negli ultimi mesi. Il risultato elettorale, in primo luogo ha messo a nudo i reali rapporti di forza. Ma anche la definitiva uscita di scena dei cardinali italiani dalla prospettiva di guidare la Chiesa ha avuto il suo peso. Un Papa argentino è stato eletto e l’asse strategico della Chiesa universale si è spostato altrove. Non è dunque un caso se da qualche tempo a questa parte la parola del cardinale Angelo Bagnasco, ma non solo la sua, ‘preoccupa’ assai di meno che in passato l’opinione pubblica, anzi è quasi scomparsa.
D’altro canto quei settori del cattolicesimo sociale impegnati sui temi della giustizia o dell’immigrazione sono stati a lungo emarginati e oggi, dopo anni di esilio, faticano a riprendere la parola. La polemica promossa da Famiglia cristiana contro i cattolici del Pdl che non difendevano il Papa dagli attacchi del partito di Berlusconi dopo la visita di Francesco a Lampedusa, è sintomo di un quadro più generale. Il cattolicesimo italiano sembra oggi senza una vera bussola dopo essere stato guidato a lungo, dalla Cei, sulla strada dei valori o principi non negoziabili.
Francesco sposta l’attenzione altrove, tornano i temi della povertà, delle diseguaglianze, senza dimenticare le questioni stringenti della riforma interna della Curia. E se Bergoglio cambia linguaggio sui gay, ‘normalizza’ cioè il rapporto della Chiesa con la dimensione omosessuale, la battaglia delle truppe cattoliche contro la legge sull’omofobia, appare di colpo almeno anacronistica se non chiaramente reazionaria. Il nodo dei diritti, cioè di quel capitolo della modernità che affronta una nuova definizione della dignità della persona e quindi prova a definire un’articolazione più ampia delle identità delle persone, resta un problema irrisolto per la Chiesa e per i cattolici.
A lungo questi problemi sono stati elusi dai vertici ecclesiali ma anche da quelli dei movimenti che hanno preferito non mettere in discussione gli assunti e i dettami della Cei, pur potendo provare a ragionare autonomamente. Resta da dire che Ratzinger e poi anche Bagnasco hanno ripetutamente parlato della necessità di una nuova generazione di giovani cattolici impegnati in politica. Forse il sogno era anche quello di una nuova e più moderna Dc, la speranza si è poi diretta verso il neocentrismo montiano e qui si sono spese le candidature degli uomini della Comunità di Sant’Egidio, o quella di personalità come Andrea Olivero, ex presidente delle Acli. Sembra però che se un contributo cattolico originale oggi è ancora possibile, esso dovrà misurarsi con la frammentata e incerta realtà politica del Paese mischiando la propria cultura con quella di altri soggetti per dare vita a un nuovo possibile percorso di partecipazione democratica; il che significa però, inevitabilmente, anche predisporsi al cambiamento del proprio mondo, e anzi promuoverlo.
Francesco Peloso
Francesco Peloso
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