Parla Pietro Parolin: “Il celibato? Non è un dogma della Chiesa”, dove invece serve “più democrazia”
10 September 2013
«All’interno della Chiesa ci sono resistenze» in merito aipotesi di rinnovamento e cambiamento che riprendano le intuizioni e le novità del Concilio Vaticano II e che sono nelle intenzioni di papa Francesco. D’altro canto «tali cambiamenti non possono mettere in pericolo l’essenza della Chiesa, che ha una sua continuità nella storia» e le cui origini risalgono all’azione di Gesù Cristo, «in questo senso la Chiesa non potrà mai cambiare fino al punto di adattarsi completamente al mondo». Tuttavia l’azione di riforma di cui c’è bisogno oggi richiede che si torni ai principi fondativi dei primi secoli, alla Chiesa primitiva, «tenendo anche conto però che abbiamo duemila anni di storia e che questa storia non è passata invano».
È questo il pensiero del nuovo Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il quale ha rilasciato una lunga e sorprendente intervista al quotidiano venezuelano El Universal facendo il punto su alcuni dei problemi più delicati e complessi che interessano la Santa Sede e la vita della Chiesa contemporanea. Parolin inoltre prova a spiegare il motivo per il quale il Papa lo abbia scelto quale suo stretto e fondamentale collaboratore e rileva come la propria attitudine alla “riforma” può certo aver influito su questa preferenza, ma aggiunge anche di sentirsi assai vicino al modo di intendere la Chiesa da parte del Pontefice: «semplicità e ascolto» sono caratteristiche importanti, spiega. Parolin mostra di essere in realtà un uomo consapevole dell’incarico cui è stato chiamato, attento a dosare nei suoi discorsi le prospettive di cambiamento con il rispetto di un organismo antico che non può essere trasformato in modo repentino.
E tuttavia l’accento, inevitabilmente, è posto sulla necessità del cambiamento, di quelle riforme attese da tempo da molti fedeli e osteggiate – come spiega lo steso neo Segretario di Stato – all’interno della macchina ecclesiastica. L’ex nunzio a Caracas dà anche una risposta tutt’altro che scontata sul problema del celibato, precisando che non si tratta di un dogma ma di una tradizione della Chiesa dei primi secoli.
«Il celibato – afferma Parolin – non è un dogma della Chiesa» di conseguenza «può essere discusso perché è una tradizione ecclesiastica». Parole che destano una certa sorpresa. Ma il nuovo Segretario di Stato non si ferma qui e aggiunge: «Si tratta di una tradizione che risale ai primi secoli. Da allora si applicò durante tutto il primo Millennio» ma «a partire dal Concilio di Trento si insistette molto con la sua applicazione». Nel frattempo, spiega Parolin, questa tradizione si è rafforzata e ha contribuito alla comprensione della «rivelazione». Dunque «lo sforzo che fece la Chiesa per istituire il celibato ecclesiastico deve essere considerato. Non si può dire, semplicemente, che appartiene al passato». Per questo si tratta di «una grande sfida per il Papa» perché quest’ultimo «possiede il ministero dell’unità e tutte queste decisioni devono essere assunte» senza danneggiare l’unità della Chiesa. Dunque «è possibile parlare e riflettere su quei temi che non sono definiti dalla fede, e pensare ad alcune modifiche, però sempre al servizio dell’unità e sempre secondo la volontà di Dio». E fra i segnali che ci sono in questo senso rientra anche «la scarsità del clero».
Quindi, spiega il Segretario di Stato, bisogna tenere insieme la volontà di Dio e i segni dei tempi. Un impostazione, quella del neo «primo ministro» del Papa in carica a tutti gli effetti solo dal prossimo 15 ottobre, che sembra far intravedere non solo riforme istituzionali, ma anche mutamenti relativi alla tradizione della Chiesa come appunto il celibato obbligatorio per i sacerdoti. Qualche anno fa il cardinale Claudio Hummes, ex arcivescovo di San Paolo in Brasile, ala liberal moderata, appena nominato da Benedetto XVI nuovo prefetto della Congregazione per clero, disse cose simili – e anche di minore impatto – a un giornale brasiliano prima di arrivare a Roma; mal gliene incolse. Da quel momento fu messo ai margini della Curia. E però va anche sottolineato che Hummes è uno dei “grandi elettori” di Bergoglio. Insomma le vicende e le cose sono profondamente intrecciate fra loro.
Ma Parolin nelle sue risposte tocca anche un altro tema da sempre delicato: quello inerente alla richiesta di una maggiore democrazia nella Chiesa. In proposito afferma con chiarezza, e anche qui non senza sorpresa, che «certamente è necessaria una maggiore democratizzazione nella Chiesa». Quindi precisa: «È stato sempre detto che la Chiesa non è una democrazia. Però in questi tempi c’è un maggior spirito democratico nel sentire comune che va ascoltato con attenzione, e credo che il Papa lo abbia indicato come un obiettivo del suo pontificato». Vale a dire «una conduzione collegiale della Chiesa dove possano esprimersi tutte le istanze, poi sarebbe suo compito prendere una decisione». Qualcosa da questo punto di vista era già emerso, e del resto sono attese nelle prossime settimane decisioni rilevanti in questa direzione. Per altro il Papa ha promosso una commissione di otto cardinali incaricati di progettare la riforma della Curia, ma da tempo si parla di un organismo permanente che rappresenti la collegialità della Chiesa, ovvero la sua universalità.Insomma, secondo il 58enne neo Segretario di Stato vaticano, il pontificato di Bergoglio ha progetti di trasformazione profonda della Chiesa, anzi monsignor Parolin sottolinea anche il forte impegno del Papa contro la corruzione di Francesco, una battaglia che l’arcivescovo di Buenos Aires aveva condotto nella capitale argentina; si tratta , afferma l’arcivescovo, «di un punto fondamentale».
fonte:
http://m.linkiesta.it/parolin-celibato
Twitter: @FrancePeloso
10 September 2013
«All’interno della Chiesa ci sono resistenze» in merito aipotesi di rinnovamento e cambiamento che riprendano le intuizioni e le novità del Concilio Vaticano II e che sono nelle intenzioni di papa Francesco. D’altro canto «tali cambiamenti non possono mettere in pericolo l’essenza della Chiesa, che ha una sua continuità nella storia» e le cui origini risalgono all’azione di Gesù Cristo, «in questo senso la Chiesa non potrà mai cambiare fino al punto di adattarsi completamente al mondo». Tuttavia l’azione di riforma di cui c’è bisogno oggi richiede che si torni ai principi fondativi dei primi secoli, alla Chiesa primitiva, «tenendo anche conto però che abbiamo duemila anni di storia e che questa storia non è passata invano».
È questo il pensiero del nuovo Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il quale ha rilasciato una lunga e sorprendente intervista al quotidiano venezuelano El Universal facendo il punto su alcuni dei problemi più delicati e complessi che interessano la Santa Sede e la vita della Chiesa contemporanea. Parolin inoltre prova a spiegare il motivo per il quale il Papa lo abbia scelto quale suo stretto e fondamentale collaboratore e rileva come la propria attitudine alla “riforma” può certo aver influito su questa preferenza, ma aggiunge anche di sentirsi assai vicino al modo di intendere la Chiesa da parte del Pontefice: «semplicità e ascolto» sono caratteristiche importanti, spiega. Parolin mostra di essere in realtà un uomo consapevole dell’incarico cui è stato chiamato, attento a dosare nei suoi discorsi le prospettive di cambiamento con il rispetto di un organismo antico che non può essere trasformato in modo repentino.
E tuttavia l’accento, inevitabilmente, è posto sulla necessità del cambiamento, di quelle riforme attese da tempo da molti fedeli e osteggiate – come spiega lo steso neo Segretario di Stato – all’interno della macchina ecclesiastica. L’ex nunzio a Caracas dà anche una risposta tutt’altro che scontata sul problema del celibato, precisando che non si tratta di un dogma ma di una tradizione della Chiesa dei primi secoli.
«Il celibato – afferma Parolin – non è un dogma della Chiesa» di conseguenza «può essere discusso perché è una tradizione ecclesiastica». Parole che destano una certa sorpresa. Ma il nuovo Segretario di Stato non si ferma qui e aggiunge: «Si tratta di una tradizione che risale ai primi secoli. Da allora si applicò durante tutto il primo Millennio» ma «a partire dal Concilio di Trento si insistette molto con la sua applicazione». Nel frattempo, spiega Parolin, questa tradizione si è rafforzata e ha contribuito alla comprensione della «rivelazione». Dunque «lo sforzo che fece la Chiesa per istituire il celibato ecclesiastico deve essere considerato. Non si può dire, semplicemente, che appartiene al passato». Per questo si tratta di «una grande sfida per il Papa» perché quest’ultimo «possiede il ministero dell’unità e tutte queste decisioni devono essere assunte» senza danneggiare l’unità della Chiesa. Dunque «è possibile parlare e riflettere su quei temi che non sono definiti dalla fede, e pensare ad alcune modifiche, però sempre al servizio dell’unità e sempre secondo la volontà di Dio». E fra i segnali che ci sono in questo senso rientra anche «la scarsità del clero».
Quindi, spiega il Segretario di Stato, bisogna tenere insieme la volontà di Dio e i segni dei tempi. Un impostazione, quella del neo «primo ministro» del Papa in carica a tutti gli effetti solo dal prossimo 15 ottobre, che sembra far intravedere non solo riforme istituzionali, ma anche mutamenti relativi alla tradizione della Chiesa come appunto il celibato obbligatorio per i sacerdoti. Qualche anno fa il cardinale Claudio Hummes, ex arcivescovo di San Paolo in Brasile, ala liberal moderata, appena nominato da Benedetto XVI nuovo prefetto della Congregazione per clero, disse cose simili – e anche di minore impatto – a un giornale brasiliano prima di arrivare a Roma; mal gliene incolse. Da quel momento fu messo ai margini della Curia. E però va anche sottolineato che Hummes è uno dei “grandi elettori” di Bergoglio. Insomma le vicende e le cose sono profondamente intrecciate fra loro.
Ma Parolin nelle sue risposte tocca anche un altro tema da sempre delicato: quello inerente alla richiesta di una maggiore democrazia nella Chiesa. In proposito afferma con chiarezza, e anche qui non senza sorpresa, che «certamente è necessaria una maggiore democratizzazione nella Chiesa». Quindi precisa: «È stato sempre detto che la Chiesa non è una democrazia. Però in questi tempi c’è un maggior spirito democratico nel sentire comune che va ascoltato con attenzione, e credo che il Papa lo abbia indicato come un obiettivo del suo pontificato». Vale a dire «una conduzione collegiale della Chiesa dove possano esprimersi tutte le istanze, poi sarebbe suo compito prendere una decisione». Qualcosa da questo punto di vista era già emerso, e del resto sono attese nelle prossime settimane decisioni rilevanti in questa direzione. Per altro il Papa ha promosso una commissione di otto cardinali incaricati di progettare la riforma della Curia, ma da tempo si parla di un organismo permanente che rappresenti la collegialità della Chiesa, ovvero la sua universalità.Insomma, secondo il 58enne neo Segretario di Stato vaticano, il pontificato di Bergoglio ha progetti di trasformazione profonda della Chiesa, anzi monsignor Parolin sottolinea anche il forte impegno del Papa contro la corruzione di Francesco, una battaglia che l’arcivescovo di Buenos Aires aveva condotto nella capitale argentina; si tratta , afferma l’arcivescovo, «di un punto fondamentale».
fonte:
http://m.linkiesta.it/parolin-celibato
Twitter: @FrancePeloso
Reban 10/09/2013 14:16:23
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