ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 16 settembre 2013

Lavori in corso

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2. ORIGINE DELLA CRISI
E’ da tutti ormai percepito che la situazione in cui si trova oggi la Chiesa Cattolica abbia origine dal Concilio ‘Vaticano II.’ Tutti lo pensano, ma pochi lo dicono. Chi ha il coraggio di dirlo, è subito accusato con una parola fino a ieri sconosciuta e che ora ha assunto un valore di spregio: preconciliare. Che poi vuol dire tutto e nulla, perché in questo contenitore vi entra chiunque fa resistenza alla insensata modernizzazione della Chiesa.
Ci si domanda come e dove il Concilio abbia potuto recare danno,  concepito com’è stato, per rilanciare la Chiesa stessa. Chi non ha dimestichezza con il linguaggio ecclesiastico, leggendo i documenti conciliari, non trova apparentemente alcunché di strano. I messaggi martellanti del mondo ci hanno obnubilato la mente a tal punto che ci sfugge la pericolosità di certi concetti. Siccome la Chiesa, come si dice, ha aperto al mondo (frase sibillina, ad avallo della leggenda nera della Chiesa oppressiva dei secoli bui medioevali), l’operazione strana è stata quella di aver assunto dal mondo non tanto il linguaggio quanto piuttosto l’essenza di certi temi.
Ormai i documenti del Concilio sono stati letti e riletti, commentati, vagliati e interpretati più dei Vangeli, spesso non soltanto per cogliere ciò che lo Spirito Santo ha ispirato ai Padri, quanto per scoprire qualche crepa ove infilarci non del mastice ma  della dinamite. Non basta che il Concilio abbia illustrato la dottrina della Chiesa esprimendosi nella maniera comprensibile all’uomo moderno; (ma l’uomo moderno che si ritiene così intelligente e scaltro, non è in grado di capire ciò che capivano i vecchi contadini analfabeti di un tempo?) ma sembra che i documenti vadano ulteriormente interpretati, come se fossero dei messaggi cifrati:  non tutti sono d’accordo su quanto hanno voluto dire i Padri conciliari. Ma le interpretazioni  del Concilio, andranno ulteriormente interpretate?  Siamo di fronte ad una esegesi senza fine?
Ricordo di aver acquistato una delle prime pubblicazioni dei documenti conciliari; li lessi tutti d’un fiato e ne fui entusiasta. C’erano delle novità, ma poiché io ero graniticamente attaccato alla Chiesa, non feci fatica ad assorbirle, un po’ per fideismo ed un po’ perché coinvolto nel linguaggio del mondo per il quale certe logiche non si discutevano; pensavo che la Chiesa avesse fatto bene ad impossessarsene. Ero ignorante, nel senso che non avevo nessun mezzo idoneo per giudicare, e la mia cultura religiosa era di tipo artigianale. Ciononostante non tardai molto a capire che nella Chiesa stava avvenendo qualcosa di grave, ed in breve mi trovai a dover ridimensionare l’idea che avevo sulla portata del Concilio da poco terminato.
Il mio postconcilio si tramutò negli anni in un doloroso calvario,  sempre in bilico tra l’ossequio alle scelte ufficiali e la contestazione di alcuni pronunciamenti, soprattutto riguardo la liturgia e alcuni aspetti della dottrina. Fui accusato pubblicamente di aver rifiutato il Concilio Vaticano II . Questa accusa partiva dall’assunto (sbagliato) che la mia fosse resistenza allo Spirito Santo. In verità io ricusavo e ricuso ciò che il Concilio Vaticano II afferma di contrario a quanto avevano stabilito in materia di dottrina, i precedenti Concili e il Magistero ufficiale della Chiesa nel corso di 20 secoli. Diversamente, per quanto riguarda i fondamenti della dottrina cattolica ribaditi anche in modo assai consono e brillante in certi atti, il Concilio lo accolgo con tutto il rispetto dovuto. Questo mio dualismo è confortato dal fatto che il Concilio Vaticano II non è stato un Concilio “de fide”, e che nei casi in cui si è manifestata una dottrina differente da quella tradizionale, questa, non è possibile abbia ottenuto l’imprimatur dello Spirito Santo. Il quale, se fu presente nel passato, non può aver avallato nuovi e contrari pronunciamenti dottrinali. Gli esegeti postconciliari si pronuncino: lo Spirito Santo può suggerire una cosa e poi ad altri suggerirne un’altra contraria? Non si viola il sigillo dello Spirito Santo!
Quale sarebbe dunque l’origine della crisi? C’è chi rileva l’influenza di un mondo corrotto che avrebbe condizionato e intaccato il tessuto cristiano della società: la Chiesa dunque sarebbe vittima di un attacco dall’esterno. Chi, al contrario vede l’allontanamento dalla fede genuina, originata da cause interne alla Chiesa. Non c’è dubbio che l’attacco viene da ambedue i fronti; se quello esterno è pienamente scontato, quello proveniente dall’interno, giunto inaspettatamente, costringe la Chiesa a giocare in difesa pur con i piedi legati al Concilio Vaticano II.
Il fatto di trovarsi con dei grossi problemi interni rappresenta un freno nel confronto con il mondo, ma non tale da dover eludere l’input conciliare che invece è divenuto ben presto il leit motiv che ha trascinato la Chiesa molto spesso a dei compromessi talvolta discutibili.
Lo spirito con cui la Chiesa guarda il mondo non è più quello del passato. Già Papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio parlava di “Profeti di sventura” ai quali contrapporre la visione positiva di un mondo disposto a recepire le istanze cristiane, non un mondo pervaso dal maligno, irsuto e ostinato nel respingere il sacro. E’ a quel mondo fantastico cui il Papa ‘buono’ e il Concilio hanno teso la mano nella fiducia di poterlo conquistare. Ciò ha significato gettarsi nelle braccia di chi da sempre ti è nemico  e non è disposto a concederti nulla; tu invece che hai fatto il primo passo devi dimostrarti benevolo, tollerante, comprensivo e concedergli tutto ciò che gli si può concedere. Non puoi redarguirlo, ammonirlo, per non irritarlo. Abbraccio mortale!  Qui si parla di quel mondo che a priori è contro Dio e che osteggia in tutti i modi la Chiesa, per  distruggerla. In questo mondo c’è un  Satana, chiamato ‘Principe del mondo’ che a volte si veste di perbenismo, ma è viscido come il serpente dell’Eden. Non vogliamo fare del catastrofismo, ovviamente, ma data la proverbiale ingenuità dei cristiani, qui più che mai necessita ‘discernere’. La religione è cosa seria; non è merce da acquistare a buon mercato. Gesù è il Redentore del mondo, e solo a Lui dobbiamo la nostra salvezza. Egli si dona a tutti e da ciascuno esige una libera risposta; ma viene ‘guarito’ solo chi dimostra fede, pentimento e buona volontà nell’accogliere la Verità. Il mondo rifiuta la Chiesa perché rifiuta Cristo e la Verità, perciò da sempre questo mondo è nemico, ma oggi la Chiesa ha cambiato idea al riguardo e ha pensato bene che il mondo si lasci facilmente inculturare dal Vangelo. Temo però (ma non è solo una sensazione) che sia il mondo a inculturare i cattolici. Infatti si parla sempre più insistentemente di scristianizzazione, soprattutto in Europa.
In tanto sforzo, la Chiesa cattolica in pochi decenni ha perso i due terzi del suo seguito, e intere nazioni (vedi l’Olanda) ormai hanno dato forfait. Sembrerebbe un discorso autolesivo, ma tutti (non solo quelli attenti e interessati, ma pure le buone donne della Messa feriale) sanno che purtroppo corrisponde alla realtà. I tipi ostinatamente ottimisti non si scandalizzano, loro continuano a pensare che tutto è bello, e va bene, perché non si va avanti senza un po’ di ottimismo; ma il nostro ottimismo tutt’al più non viene da ciò che vediamo, ma dalle promesse di Cristo, il quale ci ha assicurato la Sua definitiva vittoria sul maligno. Questa promessa ci sorregge, unitamente a quella della Madonna che a Fatima ci ha assicurato che alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà.
Questa è la situazione: lanciati verso un mondo recalcitrante che rifiuta il Vangelo di Cristo, e nel contempo mano libera ai demolitori interni. Così la barca di Pietro è flagellata dalle onde mentre i marinai si danno da fare per imbarcare più acqua possibile.
Frattanto Gesù, sulla barca, dorme, mentre noi siamo colti dal panico nella paura di perire investiti dalla tempesta. Abbiamo paura perché siamo carenti di fede; infatti Gesù ci dirà: “Perché temete, uomini di poca fede?” Si, se qualcuno è ottimista non esiti a ricordarci che in ogni chiesa c’è un tabernacolo, magari in un angolo semibuio, rischiarato da un piccolo lume rosso, e che là c’è la salvezza, là c’è la forza che nessuno al mondo potrà sconfiggere.
Gesù dorme e noi siamo in crisi. Con la scusa di andare incontro al mondo (non di portare il mondo a Cristo) ci siamo anche noi qua e là mondanizzati, e questa melma paludosa  ci ha investiti e resi quasi irriconoscibili.
La crisi è questa paura di affogare, è questa penuria di fede che ci fa accreditare più al mondo che a Cristo. Molti voltano le spalle a Gesù ed Egli si rivolge agli Apostoli: “Volete andarvene anche voi?”. Questa è la crisi, questo è il dramma. Tanti, troppi voltano le spalle a Gesù, e tra questi, tanti che Gli avevano giurato fedeltà e servizio: si sono tirati in disparte, magari furtivamente, con imbarazzo, portandosi appresso dubbi e turbamenti. La crisi è la rivolta, la disobbedienza, ma è anche la debolezza, la rinuncia alla paternità, alla guida; è vigliaccheria.  Perché se è Dio che ha tutto in mano, sono gli uomini nella loro tremenda libertà che facendosi docilmente guidare dallo Spirito Santo devono condurre la barca – la Chiesa – in acque più tranquille. Devono, come si usa e si abusa dire, interpretare i ‘segni dei tempi’, segni che dovrebbero servire a scuotere le coscienze dei credenti e indurli a comprendere la gravità del momento, a vivere più uniti a Dio, a serrare le fila pronti a tutto per la difesa dei principi cristiani. Segni male interpretati che alcuni avvertono ad ogni stormir di fronda purché servano ai loro riprovevoli scopi che raggiungono ineluttabilmente, riparati sotto l’ombrello del Concilio. Per costoro il segno dei tempi è una comoda autocertificazione del loro pensiero, delle loro proposte, della loro verità; è il via libera all’osare di più, in equilibrio sulla lama del lecito e forse un tantino più in là, per fare il botto e sentirsi dire: “Che bravo! Che coraggio! Ha abbattuto un muro! E’ un pioniere! E’ un profeta! sicuro che sarà seguito da altri e poi da altri ancora finché chi non lo segue sarà deriso, tacciato da integralista, ed emarginato; perché  sono le idee nuove che vincono!
A giudicare col senno di poi si capisce che la Chiesa cattolica non aveva poi tanta necessità di idee nuove, se il suo progresso si può oggi paragonare a quello dei gamberi. Non è ecclesialmente corretto parlare di crisi e si preferisce tacere; solo qualche esaltato che vede strabico ostenta discorsi trionfalistici. Ma i fatti parlano chiaro, anche se non dicono tutto sulla profondità dell’azione di Dio nelle anime.
Sono passati pochi decenni e tutto è cambiato, perciò bisogna ammettere che dal Concilio è uscito qualcosa che ha scatenato la rivoluzione. Perché di rivoluzione si è trattato se un Cardinale  di Santa Romana Chiesa (Card. Suenens) ha detto che il Vaticano II è stato l’89 della Chiesa Cattolica, riferendosi ovviamente al 1789 l’anno della rivoluzione francese.
Oggi il Papa stesso propone una rilettura dei pronunciamenti del Concilio alla luce della tradizione. Ma come sarà possibile se il Concilio ha rotto vistosamente con la tradizione? Se così non fosse, la Chiesa non sarebbe così mal ridotta. La barca di Pietro ha sempre navigato in un mare infestato di squali affamati, tuttavia non ha mai temuto gli assalti del nemico, provenissero da qualsiasi parte. Fin dai tempi antichi ha dovuto correggere anche deviazioni dottrinali, per un’assoluta fedeltà all’insegnamento di Cristo e degli Apostoli, e lo ha sempre fatto con chiarezza e determinazione emettendo sentenze e comminando sanzioni severe. Qualora insorgevano gravi problemi di fede a cui non si riusciva dare una composizione a livello interlocutorio, veniva convocato un concilio. Così è avvenuto per il Concilio di Nicea (anno 325) con la condanna dell’arianesimo, e via via fino ad uno più vicino a noi, quello di Trento con la condanna di Lutero e delle sue eresie. Tutti i 20 concili sono stati convocati o per correggere deviazioni eretiche o per ricomporre lo scisma orientale, o per definire dogmi di fede. E ogni concilio ha prodotto un’esplosione di fede e di opere nella cristianità. Solo l’ultimo ha causato dispersione e recessione. Forse se ci fosse stato un grave pericolo di eresie o di scismi, gli occhi sarebbero stati puntati su quel pericolo da fugare e non avrebbero avuto il tempo di pensare a temi alternativi come quello che si riduce a escogitare ad ogni costo qualcosa di nuovo.
E’ ovvio che la convocazione di un concilio che riunisce i vescovi di tutto il mondo, è un avvenimento di straordinaria importanza per la Chiesa e non solo per essa. Ha come scopo di togliere gli ostacoli di mezzo al sentiero e di porvi uno steccato ai lati in modo che il fedele cristiano abbia facilitata la via per raggiungere la salvezza eterna.
Non è risaputo invece, che il Concilio Vaticano II per certi aspetti è stato un concilio anomalo. Non c’era nessuna eresia a scompaginare la Chiesa, non vi erano gravi lacune o difficili contese da ricucire. In sostanza non vi era nulla che facesse presagire l’apertura di un Concilio ecumenico, e ancor oggi ci si chiede se vi fossero delle vere ragioni a giustificare una tale imponente assemblea. L’unico pericolo, eventualmente, sarebbe provenuto dal movimento modernista che da molto tempo aveva dovuto curvare la schiena e lavorare nell’incognito. L’occasione del Concilio era ghiotta per uscire dall’ombra, salire sul palco e condizionare la grande assise ecclesiale.
Il Papa trasmetteva ottimismo, e tutti erano convinti che sarebbe stata una marcia trionfale.
Il Card. Traglia, vicario di Roma, il 9 ottobre 1962 disse: “Mai la Chiesa Cattolica è stata così unita, stretta intorno al suo Capo, mai ha avuto un clero così esemplare, moralmente e intellettualmente, come adesso, né corre alcun rischio di rottura del suo organismo. Non è già a una crisi della Chiesa che il Concilio dovrà ovviare”.
Se si scandaglia la storia della Chiesa negli ultimi decenni vi si scoprono tali elementi di una vitalità eccezionale da star sicuri in un sano ottimismo anche per l’avvenire. Eroismo di martiri, un clero sempre più all’altezza della sua missione, un sorprendente fiorire di vita religiosa, un estendersi in profondità e superficie del Regno di Dio, un laicato sempre più consapevole delle sue responsabilità: questi ed altri fattori sono alla base dell’ottimismo cristiano. Ma l’ambiente mondiale in cui opera la Chiesa appare in profonde e rapide trasformazioni”. Questo scrive don Angelo Gambasin nel numero speciale dedicato al Concilio, della rivista “L’Assistente ecclesiastico” edito dall’Azione Cattolica datato aprile 1962. Il quadro ottimistico di una Chiesa in piena forza, secondo don Gambasin, è premessa di certezza del successo del Concilio che stava per aver inizio. In altre parole: l’esercito è già efficiente, diamogli una spinta e la raccolta sarà ancor maggiore. Tutto va bene, ma deve andare ancora meglio. Purtroppo don Gambasin ha sbagliato i calcoli e immagino come sarà rimasto male nel vedere come si è svolto il postconcilio. Dunque non vi erano errori da ricomporre e se vi fossero stati si sarebbero potuti risolvere con interventi d’autorità (tipo encicliche). La Chiesa era sana, benché secondo alcuni, già dalla scomparsa di Pio XII iniziavano sospetti e pericolose infiltrazioni neo-moderniste (cfr. Roberto De Mattei: “Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta”, cap.II,6). Perché dunque un Concilio se non c’erano da trattare gravi questioni dottrinali e teologiche? Il mondo, che si temeva corresse troppo, e la Chiesa rimanesse indietro (quasi fosse una gara a chi arriva prima). Si trattava pertanto di rinforzare l’apparato pastorale e missionario per renderlo più idoneo a gettare il seme del Vangelo in una società che stava sempre più accelerando. Concilio pastorale dunque, non dogmatico. Nel decreto conciliare “Presbyterorum ordinis” al n°12 si legge: “Perciò questo sacrosanto sinodo, per ilraggiungimento dei suoi fini pastorali di rinnovamento interno della Chiesa, di diffusione del Vangelo in tutto il mondo e di dialogo con il mondo moderno…”. Lo stesso Giovanni XXIII nel discorso di apertura, così definì lo scopo del Concilio: “Magistero a carattere prevalentemente pastorale”.
   L’attuale Papa Benedetto XVI così si esprime: “Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale (Dal discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in ‘Il Sabato’ n°31, 30 luglio-5 agosto 1988. Citato da “Si si no no” del 15 novembre 2012 p.5).
Dunque  “essendo stato dichiarato ‘Concilio pastorale’ se ne deduce che non è da ritenersi ‘infallibile’ se non in ciò che esso espone come già definito in precedenza dalla Chiesa come tale in altri Concili ‘De fide’ nei modi dovuti. E’ chiaro, perciò, che tutto il resto può essere discusso, o rimesso in discussione, dai teologi, dagli storici e dai giuristi, ciascuno sul proprio campo d’azione (…). Il Concilio Vaticano II vale solo in quello che è collegato e può essere interpretato alla luce della tradizione e del Magistero infallibile; mentre, al contrario, se isolato o non legato alla tradizione e al Magistero infallibile, non può essere imposto, nè si può pretendere di dargli un valore dogmatico. E la ragione teologica è evidente: perché solo le definizioni dogmatiche di un Concilio ecumenico godono dell’infallibilità, per cui diventano irreformabili, mentre i provvedimenti disciplinari e pastorali possono essere o cancellati o modificati dal Papa”. (Mons.Luigi Villa nel proemio a ‘Concilio Vaticano II, donde viene e dove ci porta?” di Carlo Alberto Agnoli. Ed. Civiltà, Brescia.1987).
Queste parole molto chiare sono dunque la necessaria premessa al nostro esame poiché le radici più profonde stanno proprio qui.
L’orientamento ufficiale della Chiesa e del Papa nell’imminenza della celebrazione del Concilio Vaticano II, sembrava chiaro: nessuno doveva metter mano sulla tradizione, comunque questa la si intenda, ma semmai rinforzarla, né sulla disciplina ecclesiale; non si doveva toccare la teologia e l’impianto liturgico tridentino, ma semmai confermarlo; non si doveva scalfire la dottrina cattolica, ma piuttosto approfondirne le radici; tutto ciò che riguardava la tradizione non poteva e non doveva essere violato.
Cosa doveva offrire allora la Chiesa ai cristiani e al mondo? Il mondo, almeno quello occidentale stava scivolando verso l’indifferentismo, (sembra però che nessuno se ne sia accorto) perciò la strada che si doveva prendere era quella del maggior rigore, di una maggior chiarezza in tutto, di un rinnovato impegno apostolico, per una più efficace penetrazione nel mondo. Invece si è scelta una strada diversa: quella della nebulosità con cui sono stati espressi tanti concetti importanti che hanno portato al lassismo generale; quella della avventatezza verso illusori traguardi nei confronti dei fratelli separati e dei non cristiani, e quella della novità ad ogni costo. Lo stesso Paolo VI fu l’alfiere di questa nuova strada della Chiesa conciliare; ma si dimenticava dell’avvertimento del santo Papa Pio X ai vescovi: “Con non minore vigilanza e severità dovete esaminare e scegliere chi deve essere ammesso al sacerdozio. Lungi, dal clero l’amore di novità. Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci”. (Pascendi X,6).

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