CELIBATO ECCLESIASTICO. LE “NOZZE DEI PRETI” E LA VENDITA DI ILLUSIONI
Torniamo a parlare di celibato ecclesiastico e pubblichiamo
un articolo gentilmente inviato da Léon Bertoletti. Non è un articolo nuovo: è
già stato pubblicato sul Gazzettino di Padova nel novembre del 2007. Ma il
lettore vedrà come l’argomento, non certo da oggi oggetto di discussione,
verte, in definitiva, sulla natura stessa del sacerdozio e sulla sua funzione,
un argomento questo sempre attuale e, in questi tempi, di sicuro degno di
attenta riflessione. Sul celibato ecclesiastico, vi ricordiamo anche gli
articoli di Giovanni
Lugaresi e di Lorenzo
Bertocchi.
PD
CELIBATO ECCLESIASTICO. LE “NOZZE DEI PRETI” E LA VENDITA
DI ILLUSIONI
di Léon Bertoletti
"Anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una
certa età" cantava Lucio Dalla. Tuttavia la questione celibataria è seria
e non può essere ridotta a un motivetto, a uno slogan, alla battaglia di
qualche tonachella smarrita.
Il tema divide perfino gli addetti ai lavori e tocca alla
Chiesa scegliere se modificare o meno le sue indicazioni. Tuttavia mi permetto
di riassumere alcuni argomenti in difesa della tradizione consolidata. Perché
credo che i lettori abbiano diritto, almeno una volta, a sentire anche l'altra
campana: quella che suona a favore del celibato.
Per cominciare: l'ordinazione presbiterale di uomini sposati e il matrimonio dei preti non sono la stessa cosa, come pretenderebbero i maestri della confusione. Se, a un certo punto della vita, una persona celibe decide liberamente di pronunciare la promessa a perseverare nel suo stato e più tardi si pente, la massima solidarietà e comprensione per il caso umano e tutte le sue possibili motivazioni non possono cancellare il fatto che quel tale è venuto meno alla parola data. È un "poveretto" non un "eroe", tantomeno un "profeta".
Obiezione diffusa: però gli infedeli sono tanti. E se molti rubano il furto non è più reato? Se parecchi contestano la monogamia si possono prendere più mogli?
La norma secolare del celibato, il parallelo valore della castità e perfino quella della verginità sono stati esaltati da personaggi come (pesco a caso nel mucchio) Cipriano, Atanasio, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Girolamo e perfino Agostino, che in materia senza dubbio se ne intendeva. Tutti ignoranti o inconsapevoli? Siamo intelligenti soltanto adesso?
"I tempi sono cambiati" si osserva. E se invece proprio questo nostro tempo avesse ancora più bisogno di figure che propongano questa dimensione "altra", questa "liberazione sessuale" non sessantottina? Inseguendo il "soddisfacimento di bisogni" e gli "impulsi" non vengono forse trascurate l'ascesi, la rinuncia, lo spirito di sacrificio, l'invito "lascia tutto e seguimi"?
La gerarchia ecclesiastica ha il ragionevole sospetto che dalle nozze dei preti nascano più problemi che soluzioni. Per esempio quello delle "corna" (ai coniugati può accadere e la carne è debole per tutti, non soltanto per i celibi), poi della separazione o del divorzio. Per non dire degli eventuali figli. Chi si trincera dietro l'esempio protestante, sa di che parla? Conosce le sofferenze e i problemi pratici del pastore che guida una comunità se per disgrazia ha un figlio tossicodipendente o una figlia di facili costumi? Inoltre, perché si pensa soltanto ai preti e non ai frati, alle suore? Nozze anche per loro?
Certi tribuni dell'anticelibato fanno credere di possedere soluzioni facili, immediate. Vendono illusioni. La Chiesa, abituata a ragionare e riflettere, sa che dietro ogni magia c'è un trucco. In più, ascolta e legge con rispetto e attenzione le parole di coloro che contestano la promessa celibataria. Non parlano e non scrivono di preghiera, penitenza, pietà, sobrietà, umiltà, obbedienza; occhi rovinati sul breviario, ginocchia consumate sui banchi, ore passate nel confessionale. Tra tanto qualunquismo e un pizzico di esibizionismo, coniugano esistenzialismo e socialismo, mai la vocazione alla santità o il mistero della celebrazione eucaristica. Praticano la teologia del corpo più che quella del corpo mistico. Avessero la stoffa e la robustezza morale di un Curato d'Ars o di padre Leopoldo, tanto per giocare in casa, la storia potrebbe essere diversa. Ma quelli non erano pretini.
Per cominciare: l'ordinazione presbiterale di uomini sposati e il matrimonio dei preti non sono la stessa cosa, come pretenderebbero i maestri della confusione. Se, a un certo punto della vita, una persona celibe decide liberamente di pronunciare la promessa a perseverare nel suo stato e più tardi si pente, la massima solidarietà e comprensione per il caso umano e tutte le sue possibili motivazioni non possono cancellare il fatto che quel tale è venuto meno alla parola data. È un "poveretto" non un "eroe", tantomeno un "profeta".
Obiezione diffusa: però gli infedeli sono tanti. E se molti rubano il furto non è più reato? Se parecchi contestano la monogamia si possono prendere più mogli?
La norma secolare del celibato, il parallelo valore della castità e perfino quella della verginità sono stati esaltati da personaggi come (pesco a caso nel mucchio) Cipriano, Atanasio, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Girolamo e perfino Agostino, che in materia senza dubbio se ne intendeva. Tutti ignoranti o inconsapevoli? Siamo intelligenti soltanto adesso?
"I tempi sono cambiati" si osserva. E se invece proprio questo nostro tempo avesse ancora più bisogno di figure che propongano questa dimensione "altra", questa "liberazione sessuale" non sessantottina? Inseguendo il "soddisfacimento di bisogni" e gli "impulsi" non vengono forse trascurate l'ascesi, la rinuncia, lo spirito di sacrificio, l'invito "lascia tutto e seguimi"?
La gerarchia ecclesiastica ha il ragionevole sospetto che dalle nozze dei preti nascano più problemi che soluzioni. Per esempio quello delle "corna" (ai coniugati può accadere e la carne è debole per tutti, non soltanto per i celibi), poi della separazione o del divorzio. Per non dire degli eventuali figli. Chi si trincera dietro l'esempio protestante, sa di che parla? Conosce le sofferenze e i problemi pratici del pastore che guida una comunità se per disgrazia ha un figlio tossicodipendente o una figlia di facili costumi? Inoltre, perché si pensa soltanto ai preti e non ai frati, alle suore? Nozze anche per loro?
Certi tribuni dell'anticelibato fanno credere di possedere soluzioni facili, immediate. Vendono illusioni. La Chiesa, abituata a ragionare e riflettere, sa che dietro ogni magia c'è un trucco. In più, ascolta e legge con rispetto e attenzione le parole di coloro che contestano la promessa celibataria. Non parlano e non scrivono di preghiera, penitenza, pietà, sobrietà, umiltà, obbedienza; occhi rovinati sul breviario, ginocchia consumate sui banchi, ore passate nel confessionale. Tra tanto qualunquismo e un pizzico di esibizionismo, coniugano esistenzialismo e socialismo, mai la vocazione alla santità o il mistero della celebrazione eucaristica. Praticano la teologia del corpo più che quella del corpo mistico. Avessero la stoffa e la robustezza morale di un Curato d'Ars o di padre Leopoldo, tanto per giocare in casa, la storia potrebbe essere diversa. Ma quelli non erano pretini.
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