L’indulto di Agatha Christie di Gianfranco Amato
Nutrire riserve sulla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II è legittimo. Lo hanno fatto i cardinali Ottaviani e Bacci con il Breve esame critico sul Novus Ordo Missae e tante altre personalità del mondo laico e cattolico, come testimonia Gianfranco Amato nel suo ultimo libro “L’indulto di Agatha Christie. Come si è salvata la Messa Tridentina in Inghilterra” (Fede&Cultura, 2013, € 18, pp. 224, prefazione di mons. Luigi Negri).
Amato, presidente dei Giuristi per la Vita, ricorda l’appello apparso il 6 luglio 1971 sulTimes e rivolto a Paolo VI affinché venisse preservato il rito tradizionale della Messa. In calce al testo, 57 firme di eminenti personalità della cultura, dell’arte e dello spettacolo, anche non credenti. Tra queste spiccava l’anglicana Agatha Christie. Scopo dell’appello era “evidenziare come l’eliminazione del rito secolare della Missa Catholica rappresentasse una grave perdita per il patrimonio culturale dell’intera umanità” (p. 122).
A perorare la causa fu pure il cardinale arcivescovo di Londra John Carmel Heenan, il quale spiegò al Papa che si trattava “di una richiesta che proveniva da quel mondo moderno che tanto stava a cuore al Santo Padre e con il quale egli era così desideroso di dialogare” (p. 167). Paolo VI accolse l’appello e permise che, pur con limiti e restrizioni e solo in Inghilterra e Galles, la Messa Tridentina potesse continuare a venir celebrata. Oggi, fortunatamente, nonostante le opposizioni e le difficoltà, questo rito ha ritrovato piena libertà grazie al Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, che ha preso tale coraggiosa decisione anche a causa delle numerose richieste giunte in questi anni da tutto il mondo in Vaticano. Segno che il non rassegnarsi e il far sentire la propria voce può sempre conseguire risultati.
Nella prima parte del libro (pp. 22-118) Amato, con dovizia di particolari, spiega come il disagio provato da numerosi cattolici inglesi di fronte alle riforme liturgiche postconciliari fosse dovuto al fatto che queste ricordavano le innovazioni introdotte nel Cinquecento dai riformatori anglicani, in odio alla “Messa papista” e al suo valore sacrificale. In effetti, subito dopo lo scisma del 1534, in Inghilterra la liturgia fu stravolta: si abbandonò il latino, perché lingua di Roma; si distrussero gli altari, che vennero sostituiti da mense per permettere al sacerdote di rivolgersi verso i fedeli e celebrare così non il Sacrifico della Croce, ma la Cena del Signore; si proibì l’adorazione eucaristica, ritenuta idolatria; infine si iniziò a distribuire la Comunione sulle mani, per negare il dogma della transustanziazione. Tali pratiche ebbero grande diffusione nella Chiesa cattolica del post-Concilio, nonostante i preoccupati richiami dei Pontefici. Non stupisce allora lo sconcerto avuto dallo scrittore Julien Green, anglicano convertitosi al cattolicesimo “che dopo aver assistito alla nuova Messa di Paolo VI, e stupito per averla trovata incredibilmente simile al rito protestante conosciuto sin dall’infanzia, si rivolse alla sorella Mary (anche lei una convertita) chiedendole: ‘Why did we even convert?’ (Ma, allora, perché mai ci siamo convertiti?)” (p. 77). I risultati di questo disastro sono oggi sotto gli occhi di tutti. Come rileva Amato, “la riforma liturgica postconciliare non sembra aver avvicinato l’uomo moderno alla Chiesa, né pare abbia attratto masse di fedeli per partecipare al sacrificio eucaristico. Anzi, parrebbe proprio il contrario. (…) Appare davvero significativo il fatto che la Chiesa preconciliare abbia avuto una forza e una capacità di attrazione tra gli esponenti della cultura moderna maggiore rispetto alla Chiesa degli anni Sessanta e Settanta, in cui il numero dei convertiti è diminuito in maniera inversamente proporzionale agli sforzi di aggiornamento e di dialogo con la stessa cultura moderna” (p. 129). (Federico Catani)
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