Oggi
molti, anche tra coloro che conoscono poco o nulla delle vicende del
“Concilio”, rimangono stupefatti e attoniti di fronte a gesti e
situazioni che fino a qualche decennio fa si potevano considerare
impensabili nella Chiesa Cattolica.
Possiamo fare facili esempi: gli
incontri ecumenici di Assisi del 1986, 2002 e 2011, le famose “visite”
alla Sinagoga di Roma e di Colonia rispettivamente del 1986 e del 2005,
il bacio di Giovanni Paolo II al Corano del 1999, i “meaculpa” per la
storia della Chiesa del 2000, le visite ufficiali alle grandi moschee,
ai templi luterani, alle chiese degli scismatici greci, la “revoca”
delle scomuniche da parte di Paolo VI e del Patriarca “ortodosso”
Atenagora, alcuni recenti gesti e motti di Francesco I. Tutti questi
fatti colpiscono certamente la mente delle persone più attente alla
prassi e alla teologia della Chiesa cattolica.
C’è
chi plaude a questi cambiamenti, a queste “variazioni” (avrebbe detto
Romano Amerio, eminente storico della crisi della Chiesa nel
“Post-Concilio”), considerandole provvidenziali e frutto di una
continuità mutevolezza della Chiesa cattolica stessa, e quasi
invocandone sempre di nuove e di ulteriori.
C’è
chi si ferma pensoso, condanna gli abusi maggiori, cerca di trovare
scusanti o motivazioni per ciò che pare non avere senso, si affida a
questo o quel gruppo, a singoli rappresentanti dell’Episcopato, per
cercare di trovare un modus vivendi tra il cattolicesimo di sempre e le
degenerazioni dell’oggi.
C’è
chi disgustato e ferito da certe prese di posizione e da certi gesti,
rifiuta in tronco la dottrina e funzione redentivi della Chiesa,
ritenendo quasi questi ultimi decenni il disvelamento di una falsità
congenita nell’istituzione stessa e (persino) nel figura del stessa del
suo Divino Fondatore.
C’è
chi invece (ed è anche il sommesso parere di alcuni, tra cui chi
scrive) ritiene che quello avvenuto nel 1962-65 sia stato storicamente
la Rivoluzione all’interno della Chiesa stessa, ossia un evento
traumatico e violento che ha di fatto tentato (ad uno sguardo esteriore e
mondano, riuscendoci ) di inserire all’interno del Magistero della
Chiesa dottrine, ideologie, attitudini e comportamenti che non solo le
sono sempre stati estranei ma che contraddicono ciò che nella Chiesa si è
sempre creduto, tenuto, predicato e fatto.
Il
“Concilio vaticano secondo” non ha quindi portato a termine un
aggiornamento, adattando antiche formule ad una forma più attuale e
interessante per l’uomo moderno ma ha, di fatto e di diritto,
rivoluzionato e adulterato una corretta concezione della Chiesa in
relazione a sé stessa, alla società in cui si trova ad operare, alle
altre religioni (in special modo i sedicenti “grandi monoteismi”), alla
propria liturgia, all’interpretazione dei testi sacri.
La
Chiesa era sottoposta già da tempo, dalle prime grandi rivoluzioni del
Settecento, ad una sorta di incessante assedio, con forti tentativi di
indebolimento dall’interno e dall’esterno. Dopo la conquista di Roma da
parte sabauda, perso il potere temporale che era naturale difesa del
libero esercizio del Magistero Ecclesiastico, l’assalto dei poteri
liberali e generalmente “progressisti” all’Istituzione ecclesiastica
aumentò.
Proprio
sul finire dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, questa tecnica di
infiltraggio, ad opera dei “poteri forti “dell’epoca, dette i primi
risultati.
Parecchi
studiosi cattolici (specialmente sacerdoti e religiosi) si scoprirono
“modernisti” cioè intendevano rinnovare, alla luce dei principi del
relativismo religioso, dell’irrazionalismo, di uno spiritualismo spurio
ed antigerarchico, la Chiesa cattolica.
Il
tentativo molto forte ed ebbe anche alcuni appoggi all’interno
dell’Episcopato (qui a Milano ricordiamo la figura certamente discussa
del Cardinal Ferrari, ma si potrebbero citare anche i Vescovi Scalabrini
e Bonomelli) ma il Papa di allora, San Pio X, con forti condanne
dottrinali ed un’intensa attività di controllo sulle scuole cattoliche e
sui seminari, riusciì ad arginare questi fenomeni ereticali.
Morto
San Pio X, nel 1914, la lotta antimodernista diminuì di intensità e
molti, pur convinti “rinnovatori” poterono tranquillamente riprendere la
carriera ecclesiastica.
Tra
questi spiccava il futuro Giovanni XXIII, che fece una brillante
carriera diplomatica fino a diventare Patriarca di Venezia negli anni
Cinquanta.
Pio
XII Pacelli, l’Ultimo Papa prima del “Concilio”, sentiva fortemente
l’indebolimento della dottrina cattolica “tradizionale” anche
all’interno della Chiesa, proprio in un momento in cui la società
indebolita e straziata da due conflitti mondiali, avrebbe sentito
maggiormente il bisogno di un insegnamento chiaro, preciso, profondo
della Dottrina cattolica, anche di fronte al pericolo del comunismo e
della secolarizzazione liberale. Nel 1950 con l’Humani Generis (il
Sillabo del Novecento) Papa Pacelli emetteva le ultime grandi condanne
della Chiesa nei confronti degli errori moderni. Qualche anno dopo, nel
1958, l’elezione di Giovanni XXIII, legato ai poteri forti, avrebbe
portato all’indizione del “Concilio”, concluso poi da Paolo VI
(anch’egli appartenente alla corrente neomodernista e liberale) nel
1965.
Parecchi
storici hanno rilevato come durante“il concilio” una minoranza di
vescovi progressisti, sostenuti da Giovanni XXIII prima e da Paolo Vi
sia riusciti a mettere in scacco una forte maggioranza di vescovi legati
alla Teologia Cattolica e non alle concezioni rivoluzionarie dei
teologi novatori (i padri Congar, Rahner, Chenu e altri ancora).
Tant’è
che non a torto si parla di una condotta apertamente golpistica tenuta
dagli episcopati progressisti all’interno del concilio.
Molti
hanno analizzato i grandi errori dogmatici del “Vaticano II” (tra cui
spicca certamente l’eresia della “libertà religiosa”, già condannata da
Gregorio XVi e Pio IX, e presente invece in “Dignitatis Humanae”,
l’eliminazione del deicidio in “Nostra Aetate”, la radicale mutazione
della concezione della Chiesa e del Primato pontificio in “Lumen
Gentium”, lo scardinamento della posizione della Chiesa nella società in
“Gaudium et spes”, l’abuso del ruolo del laicato in “Apostolicam
actuositatem”)
In
ultimo al Concilio è seguita (e come in ogni rivoluzione le conseguenze
travolgono anche le più miti premesse) una radicale riforma della Santa
Messa, tale da mutarne radicalmente struttura, natura e finalità.
(trasformando il severo Sacrificio della Messa in latino in un ritrovo
conviviale in lingua quotidiana, spesso di dubbio gusto e con notevole
predisposizione all’invenzione liturgica).
Per
tacere della riforma dei rituali del 1970 e del nuovo “codice di
diritto canonico”del 1983 (anch’esso figlio del “Concilio”).
È
evidente che l’obbedienza al magistero della Chiesa per un cattolico è
essenziale ma quando risulta evidente alla ragione, al cuore, e
soprattutto al sensus Fidei, un generale processo autodemolitivo della
Chiesa (fatte salve le meritorie eccezioni), la palese trasformazione
della Chiesa, società perfetta, autonoma e sovrana, finalizzata alla
Redenzione degli uomini, in un mero ente filantropico, debole e spesso
prono nei confronti di certi poteri e di certe idee, il cattolico ha il
dovere di essere pienamente ed integralmente cattolico, allontanandosi
dall’errore e da chi lo insegna.
Tra
gli ecclesiastici più noti che hanno affrontato il delicato problema
delle autorità che hanno favorito, approvato e divulgato questo
snaturamento del cattolicesimo contemporaneo, possiamo segnalare
Monsignor Marcel Lefebvre, vescovo missionario francese, Padre Saenz y
Arriaga, Padre Noel Barbara e Monsignor Guerard Des Lauriers O.P.,
docente di Mariologia all’Università Lateranense di Roma. Le loro
soluzioni a questo problema furono certamente diverse (e in parte
confliggenti tra loro) ma hanno creato fiorenti realtà cattoliche vive
che lavorano ancora oggi, pur in modi diversi, per un ristabilimento
pieno della dottrina cattolica nella Chiesa, prima condizione per la
realizzazione della Regalità sociale di Cristo sulle nazioni.
Come
sulla barca di Pietro, Nostro Signore Gesù Cristo dorme e lascia
scatenare i flutti per vagliare la nostra Fede, per vagliare le società e
i popoli, gli uomini semplici e i dotti, le plebi e i governanti. È una
prova dolorosa, ma forse necessaria, per un’epoca piena di difetti
deplorevoli come la nostra. Ma alla fine non prevarranno, non
praevalebunt.
Piergiorgio Seveso (2005, 2013)
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