“Esiste un criterio sicuro, in qualche modo universale e normativo, per poter distinguere la verità della fede cattolica dalla falsità dell’eresia?” Con questa domanda avevamo introdotto la riflessione di qualche giorno fa. Su questa domanda, anche alla luce dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudiumdel Sommo Pontefice Francesco. Ma andiamo con ordine.
San Vincenzo di Lerino risponde al suo dubbio in questo modo: “Nella stessa Chiesa cattolica bisogna avere la più grande cura nel ritenere ciò che e stato creduto dappertutto, sempre e da tutti: nel suo significato vero e proprio, infatti, cattolico, cosi come indica la portata stessa e l’etimologia del termine, esprime ciò che racchiude l’idea di universalità” [Commonitorio] “Universalità, antichità, consenso unanime sono le tre condizioni per garantire l’ortodossia”come scrive Luigi Longobardo nell’edizione Borla del Commonitorio. Registrata questa nozione fondamentale, stupisce (e ferisce) quanto scrive Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. Leggiamo: “L’altro [aspetto della mondanità] è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato.” [§ 94] Il problema è, come nota Mattia Rossi, che “lo stile cattolico è uno. Se ce n'è uno del passato, da qualche parte c'è una rottura.” A forza di nuove pentecosti, di nuovi inizi, di parentesi poste alla storia della Chiesa, si finisce per tradire la propria fede e di non capire più in cosa si crede, soprattutto se, come dimostrava oggi su Il Foglio il professor Roberto de Mattei il concetto di fede è stato stravolto, sposando (ne abbiamo parlato qualche giorno fa) la visione modernista. Scrive De Mattei, tanto per essere chiari: “Ma cos’è la fede? La risposta a questa domanda non ammette equivoci, dopo la definizione del Concilio Vaticano I, riproposta dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica: la fede è l’adesione della ragione, mossa dalla grazia, alle verità rivelate da Dio, per l’autorità di Dio stesso che ce le rivela.” Altro che esperienza. A conferma della ricerca esasperata di novità, che è diventato l’unico dogma dopo aver rinunciato a quelli cattolici, Papa Francesco scrive: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato.” [§32] Senza aggiungere nulla di mio, riporto quanto scrive Francesco Colafemmina sul suo sito Fidesetforma: “Drammaticamente – ossia con una certa teatralità – il Papa finisce per derogare dalle sue prerogative. E così, relativizzando la sua autorità, somiglia ad un monarca che esercita il potere al solo scopo di demolirlo, o di distribuirlo ad altri. Che riconosce la propria autorità solo al fine di privarsene. Il che è bello ed umile se non fosse che l’umiltà starebbe nell’astenersi dal modificare ciò che si è ricevuto, dal depotenziare la struttura del Papato al fine di adattarla alle presunte necessità del tempo. Questo è relativizzare, storicizzare il Papato, rendere il papato dei secoli o dei mesi scorsi una sorta di tradimento inautentico dell’istituzione divina. Sostenere, in sintesi, che tutto ciò che c’è stato finora sia stato plasmato sul mondo e le sue necessità. E oggi che il mondo è cambiato, deve cambiare il Papato.” Proseguendo nella lettura dell’Esortazione Apostolica del Papa, si legge: “Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola. A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo” [§ 40] Da questo punto si evincono tante cose: la dislocazione della Divina Monotriade di ameriana memoria, in primis, e la rinuncia ad ogni difesa della fede. L’amore viene messo al primo posto, a discapito della verità, ma in principio era il Verbo, il Logos, non l’amore. Infatti Benedetto XVI scrisse Caritas in Veritate, non Veritas in Caritate; proprio perché le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, non basta armonizzarle al rispetto e all’amore se non le si vincola alla verità. Per amore e per rispetto si può insegnare che Cristo non è risorto, che Egli non è realmente presente nell’Ostia Santa o che la Messa non è un vero sacrificio? Distrutto il vincolo che lega le linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale alla verità e la rinuncia del Difensore Supremo della Verità (il Papa) a esercitare questo augusto compito, si è arrivati alla Babele odierna dove ognuno crede ciò che vuole e si ha pure l’arditezza di credersi in comunione. Ancora Papa Francesco: “Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia.” [§ 95] Va constatato, con profonda amarezza e tristezza, che per il Papa è più importante l’inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia che rendere culto a Dio. Questa ossessione dell’adattare il Vangelo al mondo moderno, ai tempi moderni, ha sfigurato il Dogma, la verità, rendendola un’opinione che cambia come cambia il mondo. Ed è quindi il mondo il padrone, la Chiesa la serva che segue le sue direttive. Non è più la Chiesa che, ancorata al Dogma eterno, plasma continuamente il mondo. Se questa non è rivoluzione come la chiamiamo? Che il problema non sorga con Francesco è evidente, ma che in Francesco trovi uno sfrontato esaltatore di questa concezione è evidente altrettanto. Leggendo questo punto dell’Evangelii Gaudium dobbiamo tristemente riconoscere che chi inventa riti e liturgie e mette la storia della Chiesa tra parentesi ha ragione, il Papa è dalla sua parte. Riprendendo il punto 95, e per concludere, leggiamo “In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia.” Sarebbe opportuno non fare l’equazione ’fedeltà alla fede cattolica = sentirsi superiori’, perché, oltretutto, è l’esatto contrario: è più umile chi rimane fedele, sempre, alla dottrina e alla liturgia cattolica, piuttosto che chi, in continuazione, ne inventa di nuove. E anche per questo il criterio sicuro anelato e trovato da san Vincenzo di Lerino ha, oggi, un’importanza centrale: nel dubbio, tra le novità oggi proposte e ciò che ha sempre creduto la Chiesa, è cattolico credere ciò che la Chiesa ha sempre creduto. Perché ciò che era vero ieri deve essere vero anche oggi e viceversa: ciò che si crede vero oggi doveva essere vero anche ieri. Tutto il resto è legno e il legno, come scrive Enrico Maria Radaelli: “Ma provate a dire ai Pastori di avere il coraggio di passare al crogiuolo dogmatico una qualsiasi delle loro novità dottrinali, a scelta, e vedrete che fuoco: nulla brucia come il legno secco. Tutta legna da ardere, la loro, e lo sanno. Sicché non ci proveranno mai: conoscono troppo Elia e la fine che fecero i sacerdoti di Baal per non tenersi lontani dal crogiuolo del dogma come il diavolo dall’acquasanta.”
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