Conflitto potenziale sul correttamente devoto a Medjugorje
Ratzinger ha tenuto insieme la Maria slava, seriale, e i suoi fedeli dal 1981. Che farà ora la chiesa di Francesco?
Alle 17,45 di mercoledì 24 giugno 1981 sei ragazzi stanno su una collinetta brulla, nei pressi di un villaggio dell’Erzegovina. Appare loro una “giovane donna bellissima”, afferma di essere la Madre di Cristo e si fa chiamare “Regina della Pace”. Da allora, da 32 anni, ai sei ragazzi di Medjugorje la soprannaturale esperienza continua ad accadere, questo affermano e questo attestano con loro centinaia di testimoni, e i messaggi e le prescrizioni della “Gospa”, la Madonna, si moltiplicano da allora in modo esponenziale, coerente ma pressoché incontrollabile persino per la tetragona congregazione della Dottrina della fede. Il 21 ottobre scorso, con una lettera ai vescovi americani, il cardinal prefetto, Gerhard Müller, in occasione di una visita oltreoceano di uno dei veggenti, ha formalmente vietato ai fedeli di partecipare a “riunioni, conferenze o pubbliche celebrazioni” in cui venga data per certa e acclarata la credibilità delle apparizioni della Madonna balcanica, che ancora la chiesa non a certificato (il Foglio di ieri). Faccenda non da poco.
Nel corso di tre decenni, le apparizioni di Medjugorje e l’imponente movimento di devozione ormai mondiale – non solo i milioni di pellegrini che si sono recati sul luogo, ma le decine di migliaia di persone che pressoché ogni giorno si radunano in ogni parte del mondo nel nome della “Gospa” – sono diventate un fenomeno macroscopico, guardato con ammirazione o sospetto, ma in ogni caso poco maneggevole e sempre meno incasellabile per la chiesa cattolica. Intesa come gerarchia, istituzione e dottrina. Per usare una delle espressioni care al cattolicesimo profetico e slavo di Karol Wojtyla, un bel segno di contraddizione. E non solo per il “mondo”, come l’intervento netto di Müller ben segnala.
Il primo aspetto di difficile gestione, sembra banale, è che le apparizioni della Madonna in Bosnia-Erzegovina non sono un fenomeno concluso, anzi per la prima volta nella storia della chiesa hanno un carattere addirittura seriale. Medjugorje pone i problemi interpretativi perfettamente postmoderni di una neverending story: apparizioni che continuano, e per di più persino delocalizzate, poiché alcuni veggenti da anni non abitano più nel villaggio d’origine, ma continuano a vivere questo fenomeno di “rivelazione privata” (così sono classificate le apparizioni mariane, secondo la dottrina della chiesa, seppure in questo caso non ci sia nessun riconoscimento ufficiale) ovunque siano. Fenomeno che sembra contraddire la conchiusa localizzazione spazio-temporale delle apparizioni otto-novecentesche: La Salette, una sola apparizione; Lourdes, 18 apparizioni in cinque mesi, Fatima, cinque in cinque mesi, esperienze sigillate per di più anche dalla morte precoce di alcuni dei veggenti, o dal silenzio claustrale conservato per tutta la vita dalle veggenti diventate suore. Medjugorje ha dato invece vita, come nota anche visivamente chi c’è stato, a una forma di misticismo diffuso, a una spiritualità fatta di più elementi e luoghi. Al contrario della concisione di Lourdes – il “luogo” è la grotta, il “gesto” sono il rosario e l’abluzione. Qui invece sembra emergere una postmodernità mistica, meno controllabile, che rimanda a fenomeni di spiritualità evangelicale (a Medjugorje è notevole anche l’afflusso di non credenti e non cattolici). Chiaro che questo complichi le cose a Roma: come garantire la salda dottrina?
Altro segno di contraddizione della fede medjugorjana per la chiesa degli ultimi decenni è il fatto che la fede mariana – santuari e apparizioni – ha sempre incarnato, almeno in Europa, una devozione nutrita di spiritualità tradizionale. Lourdes e La Salette, che tanto affascinava un apocalittico come Léon Bloy, erano anche un messaggio antimoderno nel cuore della Francia positivista.
Il primo aspetto di difficile gestione, sembra banale, è che le apparizioni della Madonna in Bosnia-Erzegovina non sono un fenomeno concluso, anzi per la prima volta nella storia della chiesa hanno un carattere addirittura seriale. Medjugorje pone i problemi interpretativi perfettamente postmoderni di una neverending story: apparizioni che continuano, e per di più persino delocalizzate, poiché alcuni veggenti da anni non abitano più nel villaggio d’origine, ma continuano a vivere questo fenomeno di “rivelazione privata” (così sono classificate le apparizioni mariane, secondo la dottrina della chiesa, seppure in questo caso non ci sia nessun riconoscimento ufficiale) ovunque siano. Fenomeno che sembra contraddire la conchiusa localizzazione spazio-temporale delle apparizioni otto-novecentesche: La Salette, una sola apparizione; Lourdes, 18 apparizioni in cinque mesi, Fatima, cinque in cinque mesi, esperienze sigillate per di più anche dalla morte precoce di alcuni dei veggenti, o dal silenzio claustrale conservato per tutta la vita dalle veggenti diventate suore. Medjugorje ha dato invece vita, come nota anche visivamente chi c’è stato, a una forma di misticismo diffuso, a una spiritualità fatta di più elementi e luoghi. Al contrario della concisione di Lourdes – il “luogo” è la grotta, il “gesto” sono il rosario e l’abluzione. Qui invece sembra emergere una postmodernità mistica, meno controllabile, che rimanda a fenomeni di spiritualità evangelicale (a Medjugorje è notevole anche l’afflusso di non credenti e non cattolici). Chiaro che questo complichi le cose a Roma: come garantire la salda dottrina?
Altro segno di contraddizione della fede medjugorjana per la chiesa degli ultimi decenni è il fatto che la fede mariana – santuari e apparizioni – ha sempre incarnato, almeno in Europa, una devozione nutrita di spiritualità tradizionale. Lourdes e La Salette, che tanto affascinava un apocalittico come Léon Bloy, erano anche un messaggio antimoderno nel cuore della Francia positivista.
Fatima è la Madonna dei papi in lotta contro il comunismo. Anche Medjugorie, pure più vaga nei contenuti, è saldamente ancorata a un cristianesimo tradizionale – digiuni, preghiere, confessioni – assai poco incline al laissez-faire relativista. Anche se la magmatica esperienza balcanica qualche grattacapo dottrinale l’ha pure dato. René Laurentin, il più grande mariologo del Novecento, somma autorità per Lourdes e stimatissimo da Joseph Ratzinger, in “Messaggio e pedagogia di Maria a Medjugorje” qualche anno fa aveva dovuto cimentarsi a chiarire il dubbio senso di una risposta della “Gospa” a una domanda scritta consegnata ai veggenti (altra pratica inusuale e poco controllabile, persino in epoca di papi che chiamano al cellulare): “Tutte le religioni sono buone?”, era il quesito. “Tutte le religioni sono uguali davanti a Dio”, la risposta. Per Laurentin, si trattò di dimostrare che “tale interpretazione squalificante sarebbe falsa”, ma che “non si può capire un linguaggio senza collocarlo nel suo ambiente vitale, culturale e linguistico… Il primo elemento evidente è che i veggenti sono estranei a qualsiasi relativismo”. Un po’ di discernimento.
Medjugorje è in ogni caso il ritorno potente di una spiritualità popolare messa tra parentesi dalla modernità, o da una certa attitudine modernista della pastorale cattolica. L’onda emotiva del pontificato di Karol Wojtyla, anima mariana, non le è estranea. Secondo testimonianze attendibili, già nel 1993 Giovanni Paolo II disse di Medjugorje che “questi messaggi sono la chiave per comprendere ciò che avviene e ciò che avverrà nel mondo”. Vittorio Messori ha definito la spiritualità di Medjugorje “il maggior movimento di masse cattoliche del post Concilio”. Padre Livio Fanzaga ha costruito un fenomeno mediatico e di fede come Radio Maria proprio avendo Medjugorje tra i suoi principali riferimenti. E ha spesso ripetuto che “la permanenza quotidiana sulla terra della Madonna”, che tanto rallenta le definizioni dottrinali, è una chiara conferma della gravità dei richiami mariani alla conversione.
La sapienza di Joseph Ratzinger ha tenuto insieme per decenni tutte queste sfumature. Il teologo della razionalità ma anche dell’umile devozione tradizionale, quello dei Vangeli dell’infanzia per dire, aveva circoscritto, puntualizzato. Chiarendo ad esempio che ogni devozione mariana è buona, anche se non tutte le apparizioni sono certe, vale in ogni caso è la devozione. Intanto, aveva messo al lavoro la commissione guidata dal prudentissimo Camillo Ruini, com’è noto più avvezzo a coltivare lo spazio pubblico della “religio” che quello fervoroso della “fides” popolare. L’importante, sembra di capire, è tenere sotto controllo le tensioni tra istituzione e fede popolare. “Ma la devozione mariana è sempre stata un contraltare privato nei confronti dell’istituzione. E’ la fede personale, intima, quasi sempre degli ultimi, dei deboli, che ottiene la sua giustificazione”, commenta Alberto Melloni, storico della chiesa, che nel suo ultimo libro, “Quel che resta di Dio” (Einaudi), legge l’avvento di Papa Francesco proprio nella chiave di una “rivincita” della fede rispetto al peso dottrinale (ma pure mediatico) dell’istituzione.
Ma Melloni non crede che questo possa diventare un big trouble per la chiesa. “Certo, le dimensioni del fenomeno, e soprattutto la sua serialità, invitano a non prendere posizione. Del resto mi pare che la lettera di Müller sia più una cautela rispetto a un uso troppo mediatico – del tipo ‘non si può mettere in dubbio Medjugorje’ – del fenomeno, più un monito rivolto ai fedeli, che l’indicazione di una imminente bocciatura. Per il resto, si conferma quel che la chiesa ha sempre detto, che tutte le devozioni popolari vanno bene, e si giudicano dai frutti”. E la prudenza consiglierebbe alla chiesa di procrastinare, tendenzialmente all’infinito, un pronunciamento. Che è un po’ anche la linea delle reazioni “medjugoriane” alla lettera di Müller. Padre Robert Faricy, gesuita e teologo emerito della Marquette University di Milwaukee, ha detto che la lettera “non cancella per niente la visita negli Stati Uniti del veggente di Medjugorje”. Quello che viene contestato è piuttosto che possa passare l’idea che il veggente riceva apparizioni durante i suoi incontri pubblici, con sacerdoti, poiché “queste apparizioni non sono approvate formalmente dalla chiesa”. Quindi, spiega Faricy, “le apparizioni non sono né approvate né disapprovate. E’ perfettamente lecito credere in esse”.
Prudenza, perché è comunque chiaro che adesso la questione s’è fatta complicata. Complicata è la diffusione sociale esponenziale, la dottrina incontrollabile; ma ancor più uno scontro interpretativo che ormai coinvolge personalità del calibro del cardinale di Vienna, Christoph Schönborn, che ha ospitato più di una volta nella cattedrale di Santo Stefano i veggenti, oltrepassando proprio ed esplicitamente il limite ribadito con nettezza da Müller, cioè l’avallo esplicito della gerarchia. C’è poi ora la novità di un Papa che fa della calda fede personale, più che della dottrina, il suo stile. Un Papa che ha fatto delle forme di preghiera tradizionale, già quando era primate d’Argentina, un suo preciso programma. E un Papa dell’ospedale da campo, che accarezza i malati, un Papa del sommovimento del cuore. Come gestirà questa insorgenza mariana, debordante e vitale, ma assai antimoderna – non certo riappacificata col mondo, basta leggere i messaggi della “Gospa”? Una Madonna che parla adesso, ogni giorno, certo non può essere messa a tacere da un Papa che pretende di parlare di Gesù “adesso”. Non mancano così le indiscrezioni secondo cui Medjugorje potrebbe essere presto riconosciuta come semplice luogo di culto, senza alcun pronunciamento sulle apparizioni. Ma sarebbe ormai un compromesso al ribasso, non soddisferebbe nessuno e non sanerebbe le divergenze d’opinione. Del resto, Melloni sottolinea che anche lo stesso Bergoglio ha “una devozione mariana molto forte, ma iconica, legata alle immagini sacre”, e che nella sua pastorale c’è un’insistenza sacramentale molto netta di impronta tradizionale. Quindi non avrà motivi di entrare in conflitto con la religiosità di Medjugorje, “se non ci saranno motivi dottrinali”. Del resto, ironizza, “lui si è messo in concorrenza, con le sue omelie del mattino, con le apparizioni pomeridiane della Madonna di Medjugorje. Per ora, all’Auditel vince lui”.
Medjugorje è in ogni caso il ritorno potente di una spiritualità popolare messa tra parentesi dalla modernità, o da una certa attitudine modernista della pastorale cattolica. L’onda emotiva del pontificato di Karol Wojtyla, anima mariana, non le è estranea. Secondo testimonianze attendibili, già nel 1993 Giovanni Paolo II disse di Medjugorje che “questi messaggi sono la chiave per comprendere ciò che avviene e ciò che avverrà nel mondo”. Vittorio Messori ha definito la spiritualità di Medjugorje “il maggior movimento di masse cattoliche del post Concilio”. Padre Livio Fanzaga ha costruito un fenomeno mediatico e di fede come Radio Maria proprio avendo Medjugorje tra i suoi principali riferimenti. E ha spesso ripetuto che “la permanenza quotidiana sulla terra della Madonna”, che tanto rallenta le definizioni dottrinali, è una chiara conferma della gravità dei richiami mariani alla conversione.
La sapienza di Joseph Ratzinger ha tenuto insieme per decenni tutte queste sfumature. Il teologo della razionalità ma anche dell’umile devozione tradizionale, quello dei Vangeli dell’infanzia per dire, aveva circoscritto, puntualizzato. Chiarendo ad esempio che ogni devozione mariana è buona, anche se non tutte le apparizioni sono certe, vale in ogni caso è la devozione. Intanto, aveva messo al lavoro la commissione guidata dal prudentissimo Camillo Ruini, com’è noto più avvezzo a coltivare lo spazio pubblico della “religio” che quello fervoroso della “fides” popolare. L’importante, sembra di capire, è tenere sotto controllo le tensioni tra istituzione e fede popolare. “Ma la devozione mariana è sempre stata un contraltare privato nei confronti dell’istituzione. E’ la fede personale, intima, quasi sempre degli ultimi, dei deboli, che ottiene la sua giustificazione”, commenta Alberto Melloni, storico della chiesa, che nel suo ultimo libro, “Quel che resta di Dio” (Einaudi), legge l’avvento di Papa Francesco proprio nella chiave di una “rivincita” della fede rispetto al peso dottrinale (ma pure mediatico) dell’istituzione.
Ma Melloni non crede che questo possa diventare un big trouble per la chiesa. “Certo, le dimensioni del fenomeno, e soprattutto la sua serialità, invitano a non prendere posizione. Del resto mi pare che la lettera di Müller sia più una cautela rispetto a un uso troppo mediatico – del tipo ‘non si può mettere in dubbio Medjugorje’ – del fenomeno, più un monito rivolto ai fedeli, che l’indicazione di una imminente bocciatura. Per il resto, si conferma quel che la chiesa ha sempre detto, che tutte le devozioni popolari vanno bene, e si giudicano dai frutti”. E la prudenza consiglierebbe alla chiesa di procrastinare, tendenzialmente all’infinito, un pronunciamento. Che è un po’ anche la linea delle reazioni “medjugoriane” alla lettera di Müller. Padre Robert Faricy, gesuita e teologo emerito della Marquette University di Milwaukee, ha detto che la lettera “non cancella per niente la visita negli Stati Uniti del veggente di Medjugorje”. Quello che viene contestato è piuttosto che possa passare l’idea che il veggente riceva apparizioni durante i suoi incontri pubblici, con sacerdoti, poiché “queste apparizioni non sono approvate formalmente dalla chiesa”. Quindi, spiega Faricy, “le apparizioni non sono né approvate né disapprovate. E’ perfettamente lecito credere in esse”.
Prudenza, perché è comunque chiaro che adesso la questione s’è fatta complicata. Complicata è la diffusione sociale esponenziale, la dottrina incontrollabile; ma ancor più uno scontro interpretativo che ormai coinvolge personalità del calibro del cardinale di Vienna, Christoph Schönborn, che ha ospitato più di una volta nella cattedrale di Santo Stefano i veggenti, oltrepassando proprio ed esplicitamente il limite ribadito con nettezza da Müller, cioè l’avallo esplicito della gerarchia. C’è poi ora la novità di un Papa che fa della calda fede personale, più che della dottrina, il suo stile. Un Papa che ha fatto delle forme di preghiera tradizionale, già quando era primate d’Argentina, un suo preciso programma. E un Papa dell’ospedale da campo, che accarezza i malati, un Papa del sommovimento del cuore. Come gestirà questa insorgenza mariana, debordante e vitale, ma assai antimoderna – non certo riappacificata col mondo, basta leggere i messaggi della “Gospa”? Una Madonna che parla adesso, ogni giorno, certo non può essere messa a tacere da un Papa che pretende di parlare di Gesù “adesso”. Non mancano così le indiscrezioni secondo cui Medjugorje potrebbe essere presto riconosciuta come semplice luogo di culto, senza alcun pronunciamento sulle apparizioni. Ma sarebbe ormai un compromesso al ribasso, non soddisferebbe nessuno e non sanerebbe le divergenze d’opinione. Del resto, Melloni sottolinea che anche lo stesso Bergoglio ha “una devozione mariana molto forte, ma iconica, legata alle immagini sacre”, e che nella sua pastorale c’è un’insistenza sacramentale molto netta di impronta tradizionale. Quindi non avrà motivi di entrare in conflitto con la religiosità di Medjugorje, “se non ci saranno motivi dottrinali”. Del resto, ironizza, “lui si è messo in concorrenza, con le sue omelie del mattino, con le apparizioni pomeridiane della Madonna di Medjugorje. Per ora, all’Auditel vince lui”.
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