Ma il gesuita già delude i mondani
Sul Concilio apprezza lo storico antiprogressista, e il latino gli piace
“Caro Monsignor Marchetto, gliel’ho già detto una volta, e oggi glielo ripeto: lei è il miglior ermeneuta del Concilio Ecumenico Vaticano II”. Parola di Francesco, il Papa. Destinatario dell’elogio è l’arcivescovo Agostino Marchetto, già segretario del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e gli itineranti, canonista, giurista e grande studioso del Concilio. Non è un apprezzamento come tanti quello che Bergoglio ha fatto pervenire durante la presentazione del libro “Primato pontificio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio ecumenico Vaticano II - Studi in onore dell’arcivescovo Agostino Marchetto” (Lev). Un messaggio che nulla ha a che vedere con i soliti encomi che partono dalla Segreteria di stato sotto forma di telegramma e si concludono con la benedizione apostolica e la firma del Pontefice in latino. Qui c’è qualcosa di più, perché Marchetto è il critico per eccellenza della scuola bolognese degli Alberigo e dei Melloni, cioè di coloro che – come disse l’arcivescovo nel 2007 – “sono riusciti con ricchezza di mezzi, industriosità di operazioni e larghezza di amicizie, a monopolizzare e imporre una interpretazione scentrata” del Concilio.
L’ermeneuta Marchetto è dunque il prediletto da quel Pontefice che, stando al pensiero della scuola bolognese, non sermoneggia sul Concilio perché lo realizza con i fatti, ogni giorno. Dall’alba di Santa Marta ai vespri della sera, dalle udienze del mercoledì agli Angelus della domenica. Vuole il Sinodo permanente, insiste sulla collegialità episcopale, intende rifondare dalle fondamenta la struttura del governo vaticano. Insomma, dopo il lungo inverno della ecclesia militans giovanpaolina e di quella chiusa a riccio a difesa del depositum fidei dalle insidie del mondo, è il momento della vittoria della chiesa forgiata dai Padri conciliari. Finalmente, dicono a Bologna, viene acclarata l’ermeneutica della discontinuità. La rottura con quello che c’era prima del “Gaudet Mater Ecclesia” pronunziato da un teso e malato Roncalli nell’ottobre del 1962. Marchetto, nei suoi scritti, ha sempre respinto questa tesi: troppo facile fondare l’atteggiamento storiografico solo su fonti documentarie come diari e carte preparatorie, “sovrapponendole o più spesso contrapponendole alle fonti ufficiali”. Questo si chiama “scelta delle fonti ad usum delphini”, aggiungeva lo studioso. Il fatto che a prevalere sia stata la posizione progressista, di coloro che dell’assise ecumenica vedono solo il rinnovamento e non l’ancoraggio alla Tradizione, è dovuto alla capillare “organizzazione di questa minoranza che è riuscita a monopolizzare l’interpretazione del Concilio, rigettando ogni diverso procedere, vituperandolo magari di anticonciliare”. Dopotutto, don Giuseppe Dossetti ricordava che la sua “esperienza assembleare ha capovolto le sorti del Concilio”, aggiungendo: “Io agivo come un partigiano”. Marchetto si sentiva solo, anni fa, a perorare la causa dell’ermeneutica della continuità a lungo difesa da Benedetto XVI. Per consolarsi guardava a Trento e pensava al tempo che ci volle per far giustizia “dell’ermeneutica partigiana di Paolo Sarpi”.
Ora solo non è, elevato al rango di ermeneuta prediletto del Papa preso quasi alla fine del mondo che, tra una predica sul Demonio tentatore e un’omelia sulla misericordia, benedice anche i tradizionalisti della Fraternità San Pietro in occasione del loro venticinquesimo anniversario. La Fraternità accoglie i fedeli al rito antico che hanno scelto di non seguire Lefebvre nel suo eremo di Econe, rimanendo così in comunione con il Papa e la chiesa di Roma. Nel messaggio trasmesso dal nunzio a Parigi, mons. Luigi Ventura, al superiore del distretto francese della Fraternità, Francesco ha sottolineato che “coloro che celebrano i sacri misteri secondo la forma straordinaria del rito romano contribuiscono a una migliore comprensione e messa in pratica del Concilio Vaticano II”. Che il Papa non abbia nulla contro i tradizionalisti l’ha assicurato anche il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente emerito della Pontificia commissione “Ecclesia Dei” e tra i più legati al vetus ordo. Qualche giorno fa, al termine dell’annuale pellegrinaggio Summorum Pontificum (Castrillón ha anche celebrato la messa nella basilica vaticana sull’altare di San Pio X), il porporato è stato ricevuto in udienza da Francesco: “Il Papa mi ha detto di non avere problemi con il rito romano straordinario e con quanti lo seguono, secondo lo spirito indicato nel motu proprio Summorum Pontificum” di Benedetto XVI.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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