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on mi è del tutto chiaro per quale ragione il programma politico del Vaticano in tema di immigrazione clandestina dovrebbe rinfocolare la fede dei cattolici europei. Ancor più difficile è comprendere come sia possibile che queste palesi ingerenze del Vaticano nella politica sociale italiana ed europea in genere vengano accolte con largo e retorico consenso da parte dei politici, quegli stessi politici che in tema di eutanasia e diritti civili non tolleravano alcuna “ingerenza” vaticana fino ad un anno fa.


Detto questo veniamo al punto. Il lavoro – come spero tutti sappiano anche in Vaticano – è una risorsa scarsa. Il numero di posti di lavoro è infatti limitato rispetto alla forza lavoro disponibile. Ciò è evidente specialmente in periodi di crisi economica. Ora, se accettiamo l’assunto umanitario dell’accoglienza di immigrati clandestini, ossia di uomini e donne che hanno venduto la maggior parte del loro patrimonio per lasciare spesso illegalmente il proprio Paese ed entrare illegalmente nel nostro alla ricerca di un lavoro, dovremmo anche accettare l’idea che questi nuovi disoccupati andranno così ad aggiungersi e a competere per l’accaparramento della risorsa scarsa “lavoro”.
Marxianamente finiranno per allargare la fascia più povera della società, perennemente in lotta per la sopravvivenza. In più, finiranno per pesare come un “costo” sociale sull’intera società, perché l’accoglienza ha dei costi che noi tutti sosteniamo e li ha anche il potenziale scivolamento della disoccupazione in attività criminale ai fini della mera sopravvivenza. Tutto ciò è palesemente l’esito di una totale assenza di intelligenza politica da parte di chi amministra il nostro paese e il paese d’origine degli immigrati stessi. Ma anche assenza di progettualità, di lungimiranza, da parte di chi si lancia in ideologici proclami in favore dell’ “accoglienza” senza se e senza ma.
D’altra parte in un mondo globalizzato credo si debba essere decisamente favorevoli – per lo più in periodi di crescita economica – ad accogliere manodopera più o meno specializzata proveniente da alcune nazioni con le quali l’Unione o l’Italia possano aver siglato degli accordi di parternariato. Ma, allo stato attuale, favorire l’immigrazione illegale è soltanto una azione scriteriata, un comodo esercizio retorico, se non peggio. Significa infatti in primo luogo favorire il traffico di uomini e donne ad opera di spregiudicati trafficanti nordafricani. Significa poi illudere innumerevoli uomini e donne in cerca del “benessere” e non sempre in fuga da guerre o carestie che l’Europa sia il bengodi, il luogo in cui realizzare le proprie individualistiche ambizioni. Significa ampliare infine la platea di poveri – autoctoni e non – che già riempie una parte non ristretta del teatro sociale europeo.
Ancor più discutibile è poi la distorsione del Vangelo e della storia sacra per trasformarla in favola sociale contemporanea. Il primo passo in tal senso è stato compiuto nella notte di Natale, quando i pastori sono stati definiti gli “emarginati” e i “poveri” dell’epoca di Cristo. Una definizione del tutto inappropriata – per quanto retoricamente efficace. I pastori nella Palestina dell’epoca avevano infatti una ampia riconoscibilità sociale. Fornivano la materia prima del sacrificio per la Pasqua (dunque avevano una chiara connessione con il culto dovendo fornire ogni anno qualcosa come 30.000 agnelli per il sacrificio). Per quanto la loro attività non fosse all’apice della scala sociale, nella simbologia ebraica il pastore ha sempre costituito un esempio positivo, un simbolo efficace per indicare il ruolo della guida carismatica sul popolo di Israele. Infine, occorre notare non solo che l’annuncio della nascita di Cristo lo ricevono anche i Magi – che di certo non sono né poveri, né emarginati – ma che questa ermeneutica sociale del Natale fa scolorare ogni dimensione trascendente del Vangelo. I pastori vegliano di notte, sono all’aperto, non si chiudono nelle loro case cittadine, ossia non chiudono i loro cuori all’annuncio del Signore, sono liberi con le loro greggi, non appartengono a nessuno, non sono schiavi di cose o persone, sono semplici.
A questa ermeneutica dei pastori si è aggiunta solo ieri quella di Cristo “profugo”, si direbbe meglio “immigrato” in Egitto. Anche qui il Vangelo piegato alle esigenze del consenso retorico momentaneo. Perché anzitutto la fuga in Egitto è una fuga provvisoria, è un esilio. E poi si sostanzia di una potente carica simbolica e profetica: adempie la profezia di Osea e configura il ritorno di Cristo in Palestina come un nuovo Esodo che si compirà sul Golgota.
Ridurre il Cristianesimo a mera favola dell’integrazione sociale, culturale e religiosa, significa evidentemente assecondare le attese mondialiste di una certa politica che usa l’immigrazione quale grimaldello per demolire l’assetto culturale e valoriale delle nazioni europee, al fine di trasformare lo Stato in garante della “laicità” in nazioni con valori, religioni e culture sempre più differenziate.  Un metodo davvero efficace per rimuovere quei residui di valori cristiani ancora presenti nella società (il modello è quello francese). Significa anche annacquare il mistero, trasformare il sacro in morale sociale, trasferire la fede nel campo del solo attivismo sociale. Insomma, ancora una volta guardare nel cielo un mero riflesso della terra, senza vie d’uscita, senza alcuna via di scampo e sostituire un po’ di sano e spesso triste realismo con l’ideologia buonista che miete consensi indiscriminati. Se è vero che non si può essere cristiani senza praticare, esercitare la carità, l’amore per il prossimo, è anche vero che si può essere filantropi senza Cristo. Questa è la tentazione di molti cristiani oggi, la cui fede in Cristo vacilla, non quanto l’attivismo filantropico. Con la differenza che se quest’ultimo prende il sopravvento sulla fede, finisce per giustificare ogni deviazione dall’ordine divino, dalla teologia morale, dal magistero, proprio in nome della filantropia. E Cristo si trasforma in un mero marchio di fabbrica, in una sorta di patetico quanto efficace brand della nostra caotica contemporaneità.
In copertina: Gentile da Fabriano, Fuga in Egitto, particolare della predella della Pala Strozzi, 1423, Firenze, Uffizi.
http://www.fidesetforma.com/2013/12/30/il-cristo-povero-e-profugo/