per “altra causa”
La rimozione di Burke dalla Congregazione dei Vescovi ha gettato nello sconcerto quanti, impegnati in una dura battaglia in difesa della vita, vi leggono un ammonimento definitivo a non coltivare illusioni sulla direzione assunta dalla nuova amministrazione vaticana.
Ma vi sono altri ancora restii a leggervi la prova più eloquente dello smantellamento della dottrina cattolica, della Chiesa e del suo Magistero.
In parte sono quanti hanno continuato ostinatamente a consolarsi con interpretazioni persino surreali di detti e fatti del nuovo eletto al Soglio pontificio, a dir poco eterodossi. Come il marito che, non volendo ammettere di essere stato abbandonato da una moglie infedele, pensa che sia solo uscita a fare la spesa.
Costoro non hanno sentito il disagio per la scelta superba del nome, per la manifesta demagogia populista, per la carità previa convocazione di telecamere, per quella modestia ostentata che solitamente rivela un ego smisurato, per il rifiuto sgarbato di forme significative e sempre rispettate dai predecessori. E soprattutto per lo stravolgimento dei contenuti dottrinali.
Una delle affermazioni più ricorrenti di chi si rifiuta di vedere lo smantellamento del cattolicesimo e la abolizione del Magistero della Chiesa è che il nuovo corso sia una strategia diversiva iniziale volta ad accattivare le simpatie mediatiche e laiciste. Come se una investitura di origine divina dovesse soggiacere alle regole di marketing che sole sorreggono il successo di un qualunque candidato alla Casa Bianca.
La tanto attesa riaffermazione della immutabile dottrina cattolica non solo non è avvenuta, ma sono venuti, fortissimi, i segnali capaci di accantonarne definitivamente la forza cogente attraverso lo svuotamento del concetto stesso di Magistero; non ultimo per importanza, appunto, la uscita forzosa del Cardinale Burke dalla Congregazione dei Vescovi.
Nella Dottrina Cristiana composta da Roberto Bellarmino per ordine di Clemente VIII si legge che “credere è tenere per certo ed infallibile quanto Dio ha detto, ha insegnato e rivelato alla Santa Chiesa Cattolica la quale lo propone a noi” e che “chi non credesse anche una sola delle cose proposte da credere dalla Chiesa farebbe un gravissimo peccato di eresia”.
Il vicario di Cristo, che ha avuto finora il compito di tenere ferma la dottrina cattolica sia come custode diretto sia attraverso i Vescovi consacrati a guidare il gregge seguendo il Pastore Universale, ha rinunciato al proprio ruolo di guida. Ha deciso che non fosse più caritatevole portare tutti su un’unica via e che si dovesse lasciare a ciascuno la libertà di seguire vie proprie perché l’uomo è ormai maturo per sapere scegliere la strada giusta. Il compito del pastore è solo quello di comprendere che l’uomo è esposto alla sofferenza e che perciò va assecondato e compreso, e non oppresso dal peso di regole che aggravano la sua condizione umana. Dunque vengono a cadere due capisaldi del cattolicesimo: la indefettibilità della Legge divina e la indefettibilità della sua proclamazione da parte del Pastore universale. La conseguenza evidente è che se qualcuno potrà continuare a seguire la strada tracciata dalla Fede per profonda convinzione personale della sua verità, il Magistero della Chiesa, cioè la Chiesa, non ha più ragione di esistere se non per sbrigare le pratiche di smantellamento delle proprie strutture.
Intanto, è stato formulato il concetto chiave che dovrebbe reggere da solo la nuova Chiesa. Siano aboliti la Legge e i Profeti, perché ora tutto si deve reggere su un unico comandamento, quello dell’amore.
Il che equivale a dire che d’ora in poi tutto si regge sul nulla, perché l’amore non è stato raccomandato da Cristo in sostituzione della Legge, ma come significato da attribuire ad essa. La Legge è frutto dell’amore di Dio per l’uomo, che senza la Legge è in balia del nemico, ed essa va osservata per amore di Dio.
Sul presupposto stravagante che il comandamento dell’amore invece di sostanziare sostituisca tutti gli altri, questi vengono aboliti insieme alla fatica di insegnarli e a quella ancora più ingrata di farli osservare. Ma, e questo è l’aspetto più inquietante, se non si crede più alla cogenza della legge divina ma soltanto a quella di volta in volta trionfante fra gli uomini, è ovvio che non ci si possa sacrificare per qualcosa in cui non si crede. Come conciliare questo disimpegno con il mandato a diffondere e a testimoniare la fede? Basta ricorrere ancora all’amore che non solo tutto scusa, ma che tutto anche assolve, compreso il male subito. La famosa altra guancia solleva anche dal dovere di legittima difesa dopo avere cancellato il dovere di combattere.
Che senso ha ora il mandato di evangelizzazione? Neppure la vendita porta a porta prevede che non ci si esponga al pericolo di essere male accolti o di avere una porta sbattuta in faccia.
Il nuovo lessico è composto di parole vuote di contenuto, o meglio, con un unico contenuto indifferenziato, poiché tutte significano una sola cosa: non c’è più nulla che deve essere insegnato, non c’è più nulla che deve essere obbedito, l’amore serve a sollevare me dall’osservanza e dalla fatica di combattere per una verità che non esiste.
La nouvelle vague dell’amore senza regole ha già invaso le sagrestie e viene sbandierata con malcelato trionfalismo dagli amboni. Comporta l’abolizione dell’errore, quindi della colpa e della penitenza. Applicata agli altri si chiama perdono e assicura a tutti l’impunità. Anche la Confessione non ha più ragione d’essere e i penitenzieri potranno dedicarsi proficuamente alla posta del cuore.
Una forma ingegnosa e infallibile per l’autoannientamento prossimo venturo.
In questo quadro il licenziamento di Burke assume uno straordinario significato. Da un lato, sta a significare l’abbandono della dottrina della Chiesa che è dimissione della Chiesa stessa e del Magistero, come si diceva sopra.
Dall’altro, ecco però che c’è chi già si dà da fare perché il licenziamento di Burke non getti ombre sulla nuova chiesa, e a questo scopo propone di ricorrere al perdono e all’obbedienza sull’esempio di S. Francesco che invitava ad accettare in letizia anche le offese.
Il tentativo è generoso, ma inficiato da un irrimediabile errore logico. Anzitutto, se si parla di perdono significa che si riconosce la colpa, o l’errore. E siccome c’è in ballo il primo dei principi non negoziabili che attiene al principio primo della fede in Dio creatore e nel Figlio Unigenito, si riconosce che è stato attaccato proprio il fondamento primo della fede da chi ne dovrebbe essere il supremo custode.
In secondo luogo, l’invocazione del perdono è senza significato perché lo si può offrire solo al proprio offensore: io perdono chi mi ha offeso perché lo riconosco magnanimamente parte della mia stessa umanità dolente e caduca. Ma di certo non mi compete perdonare l’offesa recata ad un terzo, che è il solo a poter decidere il perdono. Così come non mi compete assolvere il terzo dalla osservanza della legge al quale egli è tenuto, perché della legge può disporre solo il Legislatore.
Più in generale, chiunque dovrebbe ricordare come un credo religioso non possa essere un affare privato che si gioca soltanto sui rapporti personali come una qualunque relazione umana, di amicizia, di affetto, di stima, di passione amorosa e via discorrendo. Il credo implica un contenuto, un oggetto che lo qualifica e lo distingue. Si crede in quello che Dio ci ha insegnato e che affratella con quanti sono stati educati allo stesso insegnamento comune che solo fa dei discepoli una comunità di discepoli.
La fede o è il credere in un deposito di verità, o non è. E poiché all’origine sta il Verbo, cioè la volontà del Dio incarnato, l’amore senza questa verità è una scatola vuota che puoi riempire anche della sostanza più pericolosa.
Qualcuno ricerca disperatamente un motivo per non ammettere che la Chiesa è stata privata anche ufficialmente, dopo un lento ma inesorabile smottamento messo in moto dai suoi demolitori interni, del suo ruolo di governo del popolo fedele.
Il licenziamento di Burke ne è l’occasione involontaria. C’è chi si ostina a non volervi leggere l’abbandono della lotta contro l’aborto, e dice che esso sia dovuto ad “altra causa”, senza che venga indicata quale. Affermazione quasi offensiva, perché delle due l’una : o il provvedimento è stato preso in odio alle battaglie valorose del Cardinale, allora la sua rimozione getta una ombra inquietante sull’autore del provvedimento; oppure si insinua che la causa sia appunto un’altra, non altrettanto edificante per la vittima, che viene lasciata irresponsabilmente alla fantasia del lettore non sempre animato dallo spirito di amore proprio dei cristiani liberati dalle spire della dottrina cattolica.
Dove poi abiti oggi il cattolicesimo è questione che diventa sempre più difficile da risolvere.
Il cardinale Ottaviani disse un giorno che pregava Dio di poter morire prima della chiusura del Concilio, in modo da morire cattolico. Non fu esaudito.
Anche molti di noi sono nati cattolici, ma rischiano di perdere la speranza di morire tali.
Ma vi sono altri ancora restii a leggervi la prova più eloquente dello smantellamento della dottrina cattolica, della Chiesa e del suo Magistero.
In parte sono quanti hanno continuato ostinatamente a consolarsi con interpretazioni persino surreali di detti e fatti del nuovo eletto al Soglio pontificio, a dir poco eterodossi. Come il marito che, non volendo ammettere di essere stato abbandonato da una moglie infedele, pensa che sia solo uscita a fare la spesa.
Costoro non hanno sentito il disagio per la scelta superba del nome, per la manifesta demagogia populista, per la carità previa convocazione di telecamere, per quella modestia ostentata che solitamente rivela un ego smisurato, per il rifiuto sgarbato di forme significative e sempre rispettate dai predecessori. E soprattutto per lo stravolgimento dei contenuti dottrinali.
Una delle affermazioni più ricorrenti di chi si rifiuta di vedere lo smantellamento del cattolicesimo e la abolizione del Magistero della Chiesa è che il nuovo corso sia una strategia diversiva iniziale volta ad accattivare le simpatie mediatiche e laiciste. Come se una investitura di origine divina dovesse soggiacere alle regole di marketing che sole sorreggono il successo di un qualunque candidato alla Casa Bianca.
La tanto attesa riaffermazione della immutabile dottrina cattolica non solo non è avvenuta, ma sono venuti, fortissimi, i segnali capaci di accantonarne definitivamente la forza cogente attraverso lo svuotamento del concetto stesso di Magistero; non ultimo per importanza, appunto, la uscita forzosa del Cardinale Burke dalla Congregazione dei Vescovi.
Nella Dottrina Cristiana composta da Roberto Bellarmino per ordine di Clemente VIII si legge che “credere è tenere per certo ed infallibile quanto Dio ha detto, ha insegnato e rivelato alla Santa Chiesa Cattolica la quale lo propone a noi” e che “chi non credesse anche una sola delle cose proposte da credere dalla Chiesa farebbe un gravissimo peccato di eresia”.
Il vicario di Cristo, che ha avuto finora il compito di tenere ferma la dottrina cattolica sia come custode diretto sia attraverso i Vescovi consacrati a guidare il gregge seguendo il Pastore Universale, ha rinunciato al proprio ruolo di guida. Ha deciso che non fosse più caritatevole portare tutti su un’unica via e che si dovesse lasciare a ciascuno la libertà di seguire vie proprie perché l’uomo è ormai maturo per sapere scegliere la strada giusta. Il compito del pastore è solo quello di comprendere che l’uomo è esposto alla sofferenza e che perciò va assecondato e compreso, e non oppresso dal peso di regole che aggravano la sua condizione umana. Dunque vengono a cadere due capisaldi del cattolicesimo: la indefettibilità della Legge divina e la indefettibilità della sua proclamazione da parte del Pastore universale. La conseguenza evidente è che se qualcuno potrà continuare a seguire la strada tracciata dalla Fede per profonda convinzione personale della sua verità, il Magistero della Chiesa, cioè la Chiesa, non ha più ragione di esistere se non per sbrigare le pratiche di smantellamento delle proprie strutture.
Intanto, è stato formulato il concetto chiave che dovrebbe reggere da solo la nuova Chiesa. Siano aboliti la Legge e i Profeti, perché ora tutto si deve reggere su un unico comandamento, quello dell’amore.
Il che equivale a dire che d’ora in poi tutto si regge sul nulla, perché l’amore non è stato raccomandato da Cristo in sostituzione della Legge, ma come significato da attribuire ad essa. La Legge è frutto dell’amore di Dio per l’uomo, che senza la Legge è in balia del nemico, ed essa va osservata per amore di Dio.
Sul presupposto stravagante che il comandamento dell’amore invece di sostanziare sostituisca tutti gli altri, questi vengono aboliti insieme alla fatica di insegnarli e a quella ancora più ingrata di farli osservare. Ma, e questo è l’aspetto più inquietante, se non si crede più alla cogenza della legge divina ma soltanto a quella di volta in volta trionfante fra gli uomini, è ovvio che non ci si possa sacrificare per qualcosa in cui non si crede. Come conciliare questo disimpegno con il mandato a diffondere e a testimoniare la fede? Basta ricorrere ancora all’amore che non solo tutto scusa, ma che tutto anche assolve, compreso il male subito. La famosa altra guancia solleva anche dal dovere di legittima difesa dopo avere cancellato il dovere di combattere.
Che senso ha ora il mandato di evangelizzazione? Neppure la vendita porta a porta prevede che non ci si esponga al pericolo di essere male accolti o di avere una porta sbattuta in faccia.
Il nuovo lessico è composto di parole vuote di contenuto, o meglio, con un unico contenuto indifferenziato, poiché tutte significano una sola cosa: non c’è più nulla che deve essere insegnato, non c’è più nulla che deve essere obbedito, l’amore serve a sollevare me dall’osservanza e dalla fatica di combattere per una verità che non esiste.
La nouvelle vague dell’amore senza regole ha già invaso le sagrestie e viene sbandierata con malcelato trionfalismo dagli amboni. Comporta l’abolizione dell’errore, quindi della colpa e della penitenza. Applicata agli altri si chiama perdono e assicura a tutti l’impunità. Anche la Confessione non ha più ragione d’essere e i penitenzieri potranno dedicarsi proficuamente alla posta del cuore.
Una forma ingegnosa e infallibile per l’autoannientamento prossimo venturo.
In questo quadro il licenziamento di Burke assume uno straordinario significato. Da un lato, sta a significare l’abbandono della dottrina della Chiesa che è dimissione della Chiesa stessa e del Magistero, come si diceva sopra.
Dall’altro, ecco però che c’è chi già si dà da fare perché il licenziamento di Burke non getti ombre sulla nuova chiesa, e a questo scopo propone di ricorrere al perdono e all’obbedienza sull’esempio di S. Francesco che invitava ad accettare in letizia anche le offese.
Il tentativo è generoso, ma inficiato da un irrimediabile errore logico. Anzitutto, se si parla di perdono significa che si riconosce la colpa, o l’errore. E siccome c’è in ballo il primo dei principi non negoziabili che attiene al principio primo della fede in Dio creatore e nel Figlio Unigenito, si riconosce che è stato attaccato proprio il fondamento primo della fede da chi ne dovrebbe essere il supremo custode.
In secondo luogo, l’invocazione del perdono è senza significato perché lo si può offrire solo al proprio offensore: io perdono chi mi ha offeso perché lo riconosco magnanimamente parte della mia stessa umanità dolente e caduca. Ma di certo non mi compete perdonare l’offesa recata ad un terzo, che è il solo a poter decidere il perdono. Così come non mi compete assolvere il terzo dalla osservanza della legge al quale egli è tenuto, perché della legge può disporre solo il Legislatore.
Più in generale, chiunque dovrebbe ricordare come un credo religioso non possa essere un affare privato che si gioca soltanto sui rapporti personali come una qualunque relazione umana, di amicizia, di affetto, di stima, di passione amorosa e via discorrendo. Il credo implica un contenuto, un oggetto che lo qualifica e lo distingue. Si crede in quello che Dio ci ha insegnato e che affratella con quanti sono stati educati allo stesso insegnamento comune che solo fa dei discepoli una comunità di discepoli.
La fede o è il credere in un deposito di verità, o non è. E poiché all’origine sta il Verbo, cioè la volontà del Dio incarnato, l’amore senza questa verità è una scatola vuota che puoi riempire anche della sostanza più pericolosa.
Qualcuno ricerca disperatamente un motivo per non ammettere che la Chiesa è stata privata anche ufficialmente, dopo un lento ma inesorabile smottamento messo in moto dai suoi demolitori interni, del suo ruolo di governo del popolo fedele.
Il licenziamento di Burke ne è l’occasione involontaria. C’è chi si ostina a non volervi leggere l’abbandono della lotta contro l’aborto, e dice che esso sia dovuto ad “altra causa”, senza che venga indicata quale. Affermazione quasi offensiva, perché delle due l’una : o il provvedimento è stato preso in odio alle battaglie valorose del Cardinale, allora la sua rimozione getta una ombra inquietante sull’autore del provvedimento; oppure si insinua che la causa sia appunto un’altra, non altrettanto edificante per la vittima, che viene lasciata irresponsabilmente alla fantasia del lettore non sempre animato dallo spirito di amore proprio dei cristiani liberati dalle spire della dottrina cattolica.
Dove poi abiti oggi il cattolicesimo è questione che diventa sempre più difficile da risolvere.
Il cardinale Ottaviani disse un giorno che pregava Dio di poter morire prima della chiusura del Concilio, in modo da morire cattolico. Non fu esaudito.
Anche molti di noi sono nati cattolici, ma rischiano di perdere la speranza di morire tali.
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