Prefazione
Ho avuto, poco tempo fa, una gradita sorpresa: il testo La questione liturgica di Maria Guarini, un nome non nuovo nell’ambito della teologia e segnatamente della liturgia. Il testo è dedicato alla questione liturgica, considerata non astrattamente o genericamente,
ma in relazione al santo sacrificio della Messa. E più precisamente alla Messa secondo il rito che il Santo Padre Benedetto XVI ha definito straordinario. Il suo contenuto non è, dunque, ciò di cui il titolo potrebbe indurre l’attesa, vale a dire uno studio più o meno
scientificamente condotto sul concetto di liturgia, sul suo contenuto e sulle sue singole parti, ma una serie di riflessioni, non raramente e giustamente critiche circa la situazione di fatto
determinatasi sulla scia della “creatività” postconciliare, ma protese alla riconquista del terreno perduto. A tale riguardo non si può far altro che applaudire.
È bene poi rilevare il sano equilibrio che la Guarini distribuisce a
piene mani nelle sue pagine. Si potrebbe pensare che essa si
muova in direzione più tradizionalista che progressista; sono anzi
convinto che le cose stiano esattamente così. Tuttavia il suo aperto
tradizionalismo non è per lei un “paraocchi”. Ci vede anzi e ci
vede bene, tanto se si volge all’indietro, quanto se guarda in
avanti. Sa che la liturgia non è “immodificabile”, per usare un suo
aggettivo; conosce l’evolversi del fatto liturgico attraverso tanti
secoli di storia ecclesiastica e d’adattamento del culto alla sempre
più profonda comprensione del mistero in esso e con esso celebrato.
E presa dalla bellezza ineffabile e dalla ricchissima simbologia
d’ogni azione liturgica, ne trae la conclusione in termini di
coerenza cristiana: gettarsi in ginocchio, adorare e ringraziare.
Se è vero che liturgia e fissismo non vanno d’accordo, è altrettanto
vero che dell’autentica liturgia non è un ottimo interprete né chi
sa o preferisce voltarsi soltanto all’indietro, né chi, guardando in
avanti, non ha occhi se non per l’ancor confuso domani. Se s’è
d’accordo su questo, allora si capisce perché né l’archeologismo
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La questione liturgica
fine a se stesso, né l’improvvisazione, fosse pur seria, devota ed
edificante, potrebbero esser mai vera liturgia. Questa è sempre
collegata alle sole due fonti che ne garantiscono l’autenticità: la
continuità della sacra Tradizione e la sua proposta ufficiale ad
opera del magistero ecclesiastico. Non è senza significato il fatto
che la Tradizione perde la sua vitalità quando viene strappata
dalle mani di chi, per divina disposizione, ne ha il controllo, la
custodia e il compito di ritrasmetterla - ossia il magistero ecclesiastico
-, così come viene letteralmente soffocata ogni volta che
proprio chi ne ha il controllo, la custodia e il compito di ritrasmetterla
è sistematicamente ignorato, se non anche rifiutato, tanto dal
fissismo quanto dall’improvvisazione.
Mi sembra che sia questa la griglia attraverso la quale affrontare
la lettura del succoso scritto della Guarini. Affacciandosi, infatti,
a codesta griglia, s’intuisce il motivo e l’obbiettività sia dei “no”
sia dei “sì” che si rincorrono nelle pagine di questo testo; si capisce
soprattutto “la funzione e la ragion d’essere della Liturgia”
ed il perché della conservazione gelosa della lingua latina come
lingua sacra - o meglio liturgica - per eccellenza. Si tratta in realtà
della griglia dalla quale traspare tutto il valore - e tutto il significato
- del fatto liturgico. Specialmente sul significato non bisogna
sorvolare. Guai, anzi, a non assimilarlo progressivamente e sapidamente
in tutta la sua portata; ministro e fedeli rischierebbero
altrimenti di coinvolgersi in una pura e semplice mess’in scena e
nella conseguente recita, nonché di perder il dovuto contatto con
l’actio sacra per antinomasia.
Giustamente è messo l’accento sul c. d. rinnovamento dal basso.
Dico “giustamente” non per provocare nel lettore la consapevolezza,
o addirittura la presunzione, d’esser il motore della rinnovata
liturgia, e men ancora l’idea che solo dal basso possa
insorgere una autentica riforma liturgica. L’accorta Autrice fa capire
che un’operazione di tal genere, il cui contenuto attiene all’ambito
della fede e, quindi, della divina rivelazione, non potrà
né dovrà mai essere, in ultim’analisi, d’iniziativa popolare o per-
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La questione liturgica
sonale, ma opera di coloro ai quali Cristo affidò il presente e il futuro
della sua Chiesa.
L’importanza dello scritto qui analizzato è data anche dalla “confutazione
d’alcuni luoghi comuni”. A dir il vero si tratta non di
semplici “frasi fatte” e di “ritornelli” privi del senso del sacro,
ma anche e soprattutto di pretestuose ed infondate obiezioni contro
la forma classica del Rito Romano. Questa viene felicemente
riaffermata anche mediante la critica della “desacralizzazione, banalizzazione,
orizzontalità di gesti”, nonché del degrado al quale
è pervenuta la deformazione concettuale e pratica d’una liturgia
ridotta “a cornice sacrale”. Importante, anche in ordine alla spesso
ripetuta domanda di spiegazione, appare la precisazione sul
senso da dare alla c.d. “attiva partecipazione”, di cui il Santo
Padre ha più volte parlato e all’insegnamento del quale l’Autrice
significativamente si aggancia. In special modo l’importanza
dello scritto della Guarini sta nella sua riaffermazione della centralità
di Cristo, soggetto ed oggetto, attraverso il ministero ecclesiastico,
dell’azione liturgica e della sua preghiera.
Non mancherà qualche lettore che, non nuovo alle tematiche teologiche
e al relativo dibattito, troverà nel presente scritto alcune
espressioni meno felici, riscattate però dall’evidente intenzione
d’aderire con tutt’il cuore e tutta l’anima al dato rivelato, alla Tradizione,
alla parola magisteriale della Chiesa. Sotto codesto punto
di vista, lo scritto della Guarini ha un’incidenza d’evidente portata
esemplaristica e metodologica: non si nega alla discussione,
ma del dibattito teologico all’interno d’un legittimo scopo di
comprensione e d’approfondimento, trova sempre la soluzione
nella Parola della Chiesa.
I miei più vivi complimenti e l’augurio sincero di continuare l’impresa
nella direzione seguita: l’unica che consenta al teologo di
sfuggire al pericolo d’esser “quasi aerem verberans” (1Cr 9,26).
Brunero Gherardini
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