Abbado, il sacerdote amico: «Era un uomo in ricerca»
«A mezzanotte di oggi si chiuderà il lungo omaggio a Claudio Abbado. I familiari mi hanno chiesto una conclusione liturgica. Domani non celebrerò una messa: ho preparato una preghiera esequiale pensata sui presenti».
Sarà don Giovanni Nicolini ad ufficiare il rito funebre per il direttore d’orchestra scomparso lunedì a 80 anni. Una cerimonia strettamente privata, come hanno voluto i familiari, dopo l’affettuoso omaggio tributato al maestro nella camera ardente allestita nella basilica di Santo Stefano a Bologna. Il sacerdote è stato vicino ad Abbado nei giorni della sua malattia. «La nostra amicizia è nata tanti anni fa quando ero direttore della Caritas e lui mi fece sapere che voleva bene ai poveri. Il nostro rapporto è iniziato così, in un modo insolito. Abbiamo iniziato a frequentarci, a pensare a progetti da realizzare insieme e Claudio ha suonato per i poveri e per i carcerati della Dozza».
Colpisce, don Giovanni, che un uomo laico, come si è sempre professato il maestro Abbado, venga salutato tra le navate di una chiesa e con un rito religioso.
Santo Stefano è sempre stato un luogo caro a Claudio: era proprio di fronte a casa sua e qui spesso sostava in silenzio. Anche Claudio era povero, povero di fronte alla sua passione per la musica. Musica che non ha mai posseduto perché il suo era l’atteggiamento di una persona sempre in ricerca: bastava ascoltare come con il tempo cambiasse la sua interpretazione di una stessa sinfonia per accorgersi che non si considerava mai in possesso della verità. In questo, nel desiderio di trovare e proporre una musica antica, ma sempre nuova, l’ho sentito molto vicino alla mia vocazione di sacerdote chiamato ad annunciare la Parola di Dio, antica e sempre nuova.
Avete mai parlato di fede?
Se l’atteggiamento fondamentale della fede è quello della ricerca allora Claudio era un credente: quando pensiamo di aver trovato qualcosa ecco che non abbiamo raggiunto la verità, ma ci siamo costruiti un idolo. Il suo atteggiamento di fronte alla musica era quello di un uomo in continua ricerca. Credere, poi, vuol dire essere sempre in sintonia con la vita: e la musica di Claudio era vita, diventava lo strumento per la sua ricerca spirituale. Lei è stato vicino al maestro in questi mesi, avete parlato del dopo? La malattia, riacutizzatasi negli ultimi mesi, era stata lunga e combattuta e se c’era una cosa preparata era proprio questo, il momento del passaggio, l’incontro con la morte. Per me la morte di Claudio non è l’interruzione di qualcosa, ma una pienezza.
Avete pregato insieme?
Non nel senso di recitare alcune preghiere. Abbiamo pregato perché abbiamo riflettuto sul mistero della vita e della bellezza. Salutandolo l’ultima volta, quando era già immerso in un sonno che lo avrebbe portato al passaggio oltre la vita, mi è venuto in mente un insegnamento di Giuseppe Dossetti che ricordava che se qualcuno nella sua vita si è speso con convinzione e onestà per una causa il Padre non lo tradirà. Claudio ha fatto questo. E ora il Padre lo accoglie.
Sarà don Giovanni Nicolini ad ufficiare il rito funebre per il direttore d’orchestra scomparso lunedì a 80 anni. Una cerimonia strettamente privata, come hanno voluto i familiari, dopo l’affettuoso omaggio tributato al maestro nella camera ardente allestita nella basilica di Santo Stefano a Bologna. Il sacerdote è stato vicino ad Abbado nei giorni della sua malattia. «La nostra amicizia è nata tanti anni fa quando ero direttore della Caritas e lui mi fece sapere che voleva bene ai poveri. Il nostro rapporto è iniziato così, in un modo insolito. Abbiamo iniziato a frequentarci, a pensare a progetti da realizzare insieme e Claudio ha suonato per i poveri e per i carcerati della Dozza».
Colpisce, don Giovanni, che un uomo laico, come si è sempre professato il maestro Abbado, venga salutato tra le navate di una chiesa e con un rito religioso.
Santo Stefano è sempre stato un luogo caro a Claudio: era proprio di fronte a casa sua e qui spesso sostava in silenzio. Anche Claudio era povero, povero di fronte alla sua passione per la musica. Musica che non ha mai posseduto perché il suo era l’atteggiamento di una persona sempre in ricerca: bastava ascoltare come con il tempo cambiasse la sua interpretazione di una stessa sinfonia per accorgersi che non si considerava mai in possesso della verità. In questo, nel desiderio di trovare e proporre una musica antica, ma sempre nuova, l’ho sentito molto vicino alla mia vocazione di sacerdote chiamato ad annunciare la Parola di Dio, antica e sempre nuova.
Avete mai parlato di fede?
Se l’atteggiamento fondamentale della fede è quello della ricerca allora Claudio era un credente: quando pensiamo di aver trovato qualcosa ecco che non abbiamo raggiunto la verità, ma ci siamo costruiti un idolo. Il suo atteggiamento di fronte alla musica era quello di un uomo in continua ricerca. Credere, poi, vuol dire essere sempre in sintonia con la vita: e la musica di Claudio era vita, diventava lo strumento per la sua ricerca spirituale. Lei è stato vicino al maestro in questi mesi, avete parlato del dopo? La malattia, riacutizzatasi negli ultimi mesi, era stata lunga e combattuta e se c’era una cosa preparata era proprio questo, il momento del passaggio, l’incontro con la morte. Per me la morte di Claudio non è l’interruzione di qualcosa, ma una pienezza.
Avete pregato insieme?
Non nel senso di recitare alcune preghiere. Abbiamo pregato perché abbiamo riflettuto sul mistero della vita e della bellezza. Salutandolo l’ultima volta, quando era già immerso in un sonno che lo avrebbe portato al passaggio oltre la vita, mi è venuto in mente un insegnamento di Giuseppe Dossetti che ricordava che se qualcuno nella sua vita si è speso con convinzione e onestà per una causa il Padre non lo tradirà. Claudio ha fatto questo. E ora il Padre lo accoglie.
Pierachille Dolfini
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