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martedì 28 gennaio 2014

Nella Chiesa è esploso alla fine il conflitto dottrinale

Maradiaga contro Muller: nella Chiesa è esploso alla fine il conflitto dottrinale

mardgHa destato un certo scalpore la recente intervista del cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, rilasciata al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger, nella quale egli ha pesantemente attaccato Gerhard Ludwig Müller, al tempo monsignore e oggi  anch’egli cardinale, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e quindi “defensor fidei” ufficiale della Chiesa cattolica.  Lo scalpore è derivato anche dal tono aggressivo, per non dire spavaldo usato dal porporato honduregno.  Egli ha accusato l’eminenza Müller di non aver capito che, con Papa Francesco, “la Chiesa è all’alba di una nuova èra, come cinquant’anni fa, quando Giovanni XXIII aprì le finestre per far entrare aria fresca”[1].   Non l’avrebbe capito in quanto “troppo tedesco”!  Ha detto infatti Maradiaga:  “Lo capisco, è un tedesco, un professore di teologia tedesco.  Nella sua testa c’è solo il vero e il falso.  Però io dico: fratello mio, il mondo non è così, tu dovresti essere un po’ flessibile quando ascolti altre voci.  E quindi non solo ascoltare e dire no”.

Maradiaga dileggia l’ortodossia dottrinale di Müller
mllrDire “no” a che cosa?  Quale sarebbe stata la colpa del cardinale Müller?  Quella, ci ricorda il giornalista, di aver detto fermamente no “al riaccostamento ai sacramenti dei divorziati risposati”.  In effetti in un documento pubblicato il 22 ottobre 2013  su LOsservatore Romano, il Prefetto ha riprovato l’ostilità sempre più aperta di una parte consistente dell’episcopato tedesco contro la bimillenaria dottrina della Chiesa a proposito dei divorziati risposati, ai quali si vorrebbe oggi concedere l’accesso ai Sacramenti. L’atteggiamento di questi vescovi, sottolineo da parte mia, è un caso classico di falsa carità .  Esso rende insicuro il concetto stesso del matrimonio cattolico, intaccando il dogma della fede.  Infatti, già il proporla, questa scandalosa comunione, implica un riconoscimento implicito della legittimità della scelta dei divorziati “risposati”: cattolici che hanno voluto disobbedire ai comandamenti della Chiesa, fondati sul dogma, stabilito da Nostro Signore, della indissolubilità del matrimonio cristiano, l’unico che sia veramente tale poiché santifica i rapporti carnali nel fine superiore (voluto da Dio) della procreazione ed educazione della prole.
Contro questa scandalosa proposta in odor di eresia, il cardinale Müller ha preso posizione con un documento nel quale ha difeso con limpida teologia la dottrina della Chiesa di sempre, negando ogni concessione.  Tra l’altro ha scritto che, con l’invocato lassismo, “si banalizza l’immagine stessa di Dio, secondo la quale Egli non potrebbe far altro che perdonare”.  Troppo facile, allora, diventerebbe rompere il matrimonio, che è invece “una realtà che viene da Dio e non è più nella disponibilità degli uomini”.  “Rompere” il matrimonio, per un cattolico, è peccato.  E bisogna dire, aggiungo io:  peccatomortale, che provoca la dannazione eterna in chi non se ne pente e non lo espia in questa vita nei modi previsti dalla Chiesa.  Invece oggi, cattolici e cattoliche artefici di divorzi si risposano civilmente e pretendono che la Chiesa riconosca come buona la loro scelta, ammettendoli ai Sacramenti!  Ma questo, oltre che offensivo nei confronti di Nostro Signore, non lo sarebbe anche nei confronti di tutti quei cattolici che, con l’aiuto della Grazia, sono rimasti sempre fedeli al loro matrimonio, nonostante le inevitabili difficoltà, i pesi, come si suol dire, che il Demonio riesce sempre a caricarvi?  Dare la comunione ai divorziati risposati rappresenterebbe, inoltre, una violazione patente di un principio elementare di giustizia:  chi ha fatto quello che ha voluto e ha violato la legge morale e religiosa verrebbe trattato allo stesso modo (positivo) di chi ha seguito ed applicato quella legge, spesso a prezzo di duri sacrifici morali e materiali.  In tal modo l’iniquità  verrebbe premiata e tra il talamo incontaminato e l’infedeltà, tra il vero e il falso non ci sarebbe più alcuna differenza.  Tra l’altro, che efficacia avrebbe un Sacramento somministrato ad un peccatore che resta tale e convinto di esser nel giusto, e talmente nel giusto da considerare un suo diritto  ricevere il Sacramento medesimo?  Una tale “apertura” non distruggerebbe il significato stesso dei Sacramenti agli occhi dei fedeli, che sarebbero costretti a considerarli una cosa poco seria?
Müller ci ricorda che Dio è giustizia, oltre che misericordia
Il cardinale Müller ha detto anche qualcos’altro, di estrema importanza a mio avviso, e che non si sentiva dai tempi di Giovanni XXIII, quando nell’ambigua Allocuzione di apertura del pastorale Vaticano II disse (ma l’aveva detto più volte anche prima) che la Chiesa non avrebbe più dovuto condannare gli errori ma usare invece la “medicina della misericordia”.  È iniziata da allora la “banalizzazione” lamentata oggi dal cardinale Müller, secondo la quale “Dio non potrebbe far altro che perdonare”. Così come ha fatto l’autorità ecclesiastica nei confronti degli errori del Secolo a partire dal Vaticano II, rinunziando ad esercitare l’autorità che le viene da Dio e cadendo pertanto nell’inanità e nella corruzione che oggi la stanno consumando. Il concetto di estrema importanza, riesumato inaspettatamente dal Prefetto dell’ex Sant’Uffizio, è proprio quello della “giustizia di Dio”, del quale si era persa appunto memoria. La misericordia, ha ribadito, non può esser separata dalla giustizia:  “al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”[2].  In effetti, Dio perdona a chi si pente e cambia vita, non a chi continua a vivere nel peccato come prima e pretende persino di esser accettato dalla Chiesa allo stesso titolo di chi nel peccato non ci vive.  Questo significa cercare di prender in giro il vero Dio, Uno e Trino.
Un falso concetto di Incarnazione alla radice dell’errore
Ma la colpa di questa falsa idea di un Dio che non giudica mai e non ricompensa per l’eternità i meriti e le colpe di ciascuno (come risulta invece come estrema chiarezza dai Vangeli) non è tutta dei credenti:  la Gerarchia ha lasciato che entrasse in circolazione e si diffondesse la bizzarra idea che tutti sarebbero già stati salvati dalla divina misericordia grazie a Gesù Cristo poiché Egli  “con l’Incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo” (costituzione del Vaticano II Gaudium et spes, 22.2).  In tal modo Egli avrebbe svelato l’uomo a se stesso, rivelandone la sua altissima vocazione (Gaudium et spes GS.1 e 3-5). La “vocazione” dell’uomo, come si evince da svariati testi del pastorale e non dogmatico Concilio, consisterebbe nell’affermare la dignità dell’uomo come supremo valore e nel concorrere pertanto con tutti gli altri uomini alla realizzazione della pace nel mondo, all’istituzione di un nuovo ordine mondiale su di essa fondato, includente tutti i popoli con tutte le loro religioni. Si tratterebbe nientedimeno che di realizzare l’unità del genere umano e senza convertirlo a Cristo! Ora, se con l’Incarnazione il Cristo si è unito ad ogni uomo, nessun uomo può esser condannato all’Inferno poiché in ogni uomo resterebbe sempre  quest’unione per così dire cosmica con il Cristo, essendo Cristo ab aeterno il Verbo divino.  Ogni uomo ed ogni donna vengono così divinizzati, in quanto partecipi in qualche modo dell’Incarnazione del Verbo.  Una dottrina così assurda, già combattuta come eretica da san Giovanni Damasceno (morto nell’AD 749, fustigatore dell’iconoclastìa) e confutata da san Tommaso, riesumata da teologi gesuiti censurati da Pio XII per le loro cattive dottrine, come Henri de Lubac e Karl Rahner e sventuratamente penetrata grazie a loro (immessi nelle Commissioni conciliari dal “buon cuore” di Giovanni XXIII) in uno dei testi più discussi e contestati del Concilio, contraddice evidentemente quanto sempre insegnato dalla Chiesa sul dogma dell’Incarnazione, il cui contenuto appare di un’evidenza palmare nei Testi Sacri, sorretti dalla Tradizione della Chiesa:  il Verbo si è incarnato in un solo uomo, storicamente esistito, l’ebreo Gesù di Nazareth, non si è “unito ad ogni uomo”.  Come avrebbe potuto il Verbo “unirsi” all’uomo che è ciascuno di noi, afflitto dalle conseguenze del peccato originale?  Egli ha innalzato la natura umana ad una dignità sublime in Lui non in noi, in Lui stesso poiché era senza peccato, mostrandoci in Lui stesso, il divino Maestro, il modello dell’uomo come dovrebbe essere per noi.  Nostro Signore ha sempre detto che era venuto  a salvare i peccatori (“veni vocare peccatores”, Mc 2 17), non a farci scoprire chissà quale nostra supposta dignità, della quale non ci saremmo accorti prima della sua venuta. E ha anche detto che sarebbe tornato il Giorno del Giudizio per dividere per sempre l’umanità in Eletti e Reprobi, dando a ciascuno la sua retribuzione in eterno, secondo i suoi meriti o le sue colpe.
Queste erano una volta nozioni elementari della dottrina cattolica, si imparavano con il Catechismo. Oggi ai più possono sembrare inusuali, sostituite dal linguaggio ambiguo e confuso della pastorale attuale, volta da cinquant’anni a trovare un terreno d’intesa con gli pseudovalori del Secolo.  E non solo con gli pseudovalori, persino con le deviazioni e le aberrazioni che ormai dilagano da tutte le parti.
Maradiaga vuole un’apertura a tutti gli usi corrotti del Secolo
Infatti, il cardinale Maradiaga non se la prende con il cardinale Müller solo per la questione della comunione ai divorziati risposati.  Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dovrebbe diventare più flessibile anche per ciò che riguarda le famiglie allargate, i genitori single; la maternità in affitto, i matrimoni senza figli, le coppie tra persone dello stesso sesso[3].  Insomma, bisognerebbe dimostrarsi più elastici nei confronti di tutta la panoplia della vasta e molteplice corruttela contemporanea, per ciò che riguarda la famiglia. Ma come si può conciliare un’apertura del genere con la dottrina tradizionale della Chiesa?  Niente paura, assicura il cardinale:  “la dottrina tradizionale continuerà ad esser insegnata”.  Tuttavia, “ci sono sfide pastorali alle quali non si può rispondere con l’autoritarismo ed il moralismo”. Anche il cardinale Mueller arriverà a capirlo[4]. Insomma, è un “tedesco”, un po’ duro di comprendonio ma si sveglierà, non c’è dubbio!  E la dottrina tradizionale?   Potrà pur continuare ad esser insegnata, come assicura il cardinale, ma in quali condizioni, mi chiedo?  E ci tocca di vedere che una vigorosa ed efficace difesa dell’insegnamento perenne della Chiesa, proprio un cardinale osa bollarla come “autoritaria” e “moralista”?
Il cardinale Maradiaga è coordinatore o segretario del Comitato di otto cardinali scelti da Bergoglio per coadiuvarlo nel governo della Chiesa. Occupa dunque una posizione  influente nella catena di comando della Gerarchia attuale. Le cronache ci dicono che “è legato da antica amicizia a Bergoglio”.   Il suo modo di intendere la pastorale della Chiesa non sembra pertanto lontano da quello del Papa, anche se presentato in forma più estrema, come risulta da una conferenza tenuta all’Università di Dallas, nel Texas, il 25 ottobre 2013, sull’ “Importanza della nuova evangelizzazione”.  Si tratta di  un testo che sembra una vera e propria sinossi della più aggiornata “teologia della liberazione” o “popolare”, la “teologia” che notoriamente vede l’essenza della Chiesa nella cosiddetta “Chiesa dei poveri” – il che, sia detto incidentalmente, non si può ammettere, in quanto il Verbo, come ho appena ricordato, si è incarnato per convertire a Lui tutti i peccatori, che si trovano oltre che tra i ricchi anche tra i poveri, a meno che non si voglia sostenere che i poveri, gli indigenti, in quanto tali non commettono mai peccato![5].
L’approccio del cardinale Maradiaga non è teorico, è pratico, come quello di Bergoglio, del resto.  Egli afferma:  quello che serve alla Chiesa oggi  “è più pastorale che dottrina”[6].  È un discorso che abbiamo sentito fare molte volte, da Giovanni XXIII in poi.  E lo si capisce:  se la pastorale è utilizzata per cercare di “aprire” in ogni modo possibile agli usi e costumi del Secolo, “dialogando” quindi con i suoi errori, giunti oggi alle brutture e deviazioni che sappiamo, la vera dottrina cattolica è chiaramente d’impaccio.  Essa non serve, anzi dà fastidio.  Nella scala gerarchica, Maradiaga non occupa una posizione paragonabile a quella del cardinale Müller.  In quanto Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, quest’ultimo è la seconda autorità nella Chiesa, dopo il Sommo Pontefice, o la terza se gli si antepone il Segretario di Stato. Come si spiega allora l’audacia dell’attacco, spinto ai limiti dell’insulto personale?  Evidentemente, con il fatto che Maradiaga si sente le spalle ben protette dal Papa. Se non vorrà subire una fine simile a quella toccata ai Francescani dell’Immacolata, il cardinale Müller dovrà adeguarsi alla svelta alla pastorale della “teologia popolare” di Papa Bergoglio.
Bisogna schierarsi con il cardinale Müller, difensore della fede
Ma il cardinale Maradiaga si sbaglia, se pensa di poter liquidare in questo modo la dottrina ortodossa della Chiesa.  Lo scontro con il Prefetto della Congregazione della Fede non è pastorale, è eminentemente dottrinale, coinvolge direttamente il dogma della fede. Coinvolge il dogma perché coinvolge di per sé la natura stessa del matrimonio cattolico, che riposa sulle verità rivelate da Nostro Signore. La nuova “pastorale” invocata dal cardinale Maradiaga è solo una cattiva dottrina che vuole scacciare quella buona, difesa dal cardinal Prefetto.
Cattolici:  mettiamo da parte una buona volta conformistici ossequi per nulla graditi a Dio, pane quotidiano dei sepolcri imbiancati; ossequi che ci verranno sicuramente rinfacciati da Nostro Signore nel giorno del Giudizio: cerchiamo, invece, di capir bene il significato dell’attuale offensiva contro il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio.  Non si tratta solo di “stracci che volano”.  Sotto attacco è il dogma della fede e quindi la nostra stessa salvezza, la vita eterna.  Si sta tentando di imporre false dottrine, che corrompono la fede e avviano le anime sulla strada della perdizione.  Ricordiamoci bene di quello che ha ordinato san Paolo al fedele Timoteo, da lui ordinato vescovo, come suo fondamentale dovere:  “O Timoteo, custodisci il deposito [della fede], evitando le profane novità d’espressioni e le contraddizioni di quella che falsamente si chiama scienza, cui annunziando taluni persero la mira della fede” (1 Tm, 6,20).  Dobbiamo pregare per il cardinale Müller, affinché resista all’assalto concentrico che gli si sta portando dall’interno della Chiesa e mantenga ad ogni costo le posizioni, respingendo la “falsa scienza” di falsi profeti.  Pregare, e nello stesso tempo prendere pubblicamente posizione, come hanno già fatto Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, contro la deriva sempre più accentuata della Chiesa.
Riscossa Cristiana
di Paolo Pasqualucci
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[1] IL FOGLIO.it – On line, 22 gennaio 2014, articolo di Matteo Matzuzzi, Siamo agli stracci. Maradiaga contro il “troppo tedesco” Müllerhttp://www.ilfoglio.it/sol/soloqui/21575.  Invece dell’aria fresca è entrata nella Chiesa quella mefitica del Secolo, ma in troppi continuano oggi a non volerlo ancora capire.
[2] Quest’ultima frase, è riportata sempre dal medesimo giornalista ma in un articolo del 25 gennaio 2014, che contiene un’intervista con il noto teologo laico progressista Vito Mancuso:  Mutare la dottrina, si può e si deve, IL FOGLIO.it – On line. 25.1.2014; http://www.ilfoglio.it/soloqui/21626.
[3] Articolo inizialmente citato.
[4] Ivi.
[5]Il testo di Maradiaga è reperibile sul sito: http://whispersintheloggia.blogspot.it/2013/10/the-councils-unfinished-business.html, con il titolo:  “The Importance of the New Evangelization”, pp. 1-8.

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