“Ior: le mani della Mafia, da Calvi a oggi”. Intervista a Maria Antonietta Calabrò
Esce
il sei marzo prossimo, ma è già disponibile in ebook, la nuova
edizione aggiornata di “Le mani della Mafia” (Chiarelettere) di
Maria Antonietta Calabrò, giornalista del Corriere
Della Sera.
Un libro inchiesta che affronta trent’anni di storia mettendo
l’accento sugli stretti legami tra la morte del banchiere Roberto
Calvi, il crac del Banco Ambrosiano, lo Ior (Istituto per le Opere di
Religione) e la mafia e che quando uscì per la prima volta nel 1991
contribuì a far riaprire le indagini sulla morte di Calvi.
Quali sono gli eventi per i quali ha deciso di ripubblicare, dopo più di venti anni, il suo libro?
Sono
due i punti fermi raggiunti dal 1991 ad oggi. Il primo è che Calvi è
stato ucciso, non si è suicidato. Il secondo è che lo Ior, la banca
vaticana che attraverso società estere aveva di fatto il controllo
del Banco Ambrosiano, riciclava soldi della mafia.Quali sono gli eventi per i quali ha deciso di ripubblicare, dopo più di venti anni, il suo libro?
Dobbiamo ricordare che lo scenario è quello di una lotta sanguinosa a Palermo agli inizi degli anni Ottanta con centinaia di morti, una drammatica guerra tra famiglie mafiose. Per quanto concerne i colpevoli dell’omicidio di Calvi, il cui corpo fu ritrovato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982, l’esito dell’ultimo processo è stato nullo: tutti gli imputati, Pippo Calò (cassiere della mafia), il faccendiere Flavio Carboni ed Ernesto Diotallevi (uomo vicino alla Banda della Magliana) sono stati assolti nel novembre 2011 in Cassazione dall’accusa di concorso in omicidio volontario.
Nel frattempo nel settembre 2010 è avvenuto un altro fatto clamoroso, il sequestro da parte della Procura di Roma di 23 milioni di euro posseduti dallo Ior sul conto corrente dell’Unicredito nella filiale di via della Conciliazione di Roma e per il quale furono indagati per riciclaggio l’allora Presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il Direttore Generale Paolo Cipriani.
Da una parte, quindi, la definizione della vicenda Calvi, con l’ultima sentenza della Cassazione nel novembre del 2011. Dall’altra, il momento in cui è partita l’altra inchiesta della Procura di Roma per il riciclaggio dello Ior, appunto nel 2010. Questa vicenda ha avuto l’effetto di spingere il Vaticano a migliorare e ciò è avvenuto alla fine del 2010 con il Motu Proprio di Papa Benedetto XVI. Sembravano storie separate. In realtà, non lo sono mai state.
Quindi poi il Vaticano ha ottemperato all’adeguamento richiesto dal modello internazionale di controllo?
Era assolutamente necessario che lo facesse, specialmente dopo l’attentato di Al Qaeda alle Torri Gemelle l’11 settembre del 2001 e l’adeguamento dell’Italia nel 2007 con la legge specifica n.231 (che recepisce la direttiva europea sul riciclaggio in merito alla segnalazione di operazioni sospette, nda) voluta dal GAFI (principale organismo internazionale attivo nel contrasto del riciclaggio, del finanziamento al terrorismo e della proliferazione delle armi di distruzione di massa, nda), ma l’adeguamento del Vaticano non è avvenuto con la necessaria rapidità che i valutatori di Moneyval avevano richiesto.
Infatti, il comitato Moneyval, venuto in Vaticano nel novembre 2011 per un’ispezione, chiese una modifica urgente della legge, perché altrimenti non avrebbe passato il test Moneyval del luglio 2012 e poi invece la storia è andata avanti. Dopo il primo passo del 2012, c’è stato un altro forte ritardo nell’adeguamento delle richieste di Moneyval e si è continuato a non dichiarare chi fossero i clienti, i possessori dei conti.
E, di lì a poco, è scoppiato un nuovo scandalo.
Sì, nel giugno del 2013, quello che ha visto coinvolto Monsignor Nunzio Scarano, alto prelato, ex capo contabile dell’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) per corruzione, riciclaggio e falso. Questo primo scandalo nel giugno 2013 fece crollare i vertici massimi dello Ior: il direttore generale dello Ior Paolo Cipriani e il suo vice MassimoTulli furono infatti costretti a dimettersi dai loro incarichi.
Cosa celava il ‘caso Scarano’ all’interno dello Ior?
Il caso di Monsignor Nunzio Scarano ha dimostrato che il problema dello Ior non era solo, come sosteneva l’ex presidente Gotti Tedeschi, relativo ai conti cosiddetti ‘laici’, cioè di personalità, eventualmente italiane, che non avevano diritto a possedere il conto. Il problema era anche il personale ecclesiastico che aveva legalmente tutti i diritti di possedere un conto allo Ior, come Scarano, ma che si prestava a fare il mediatore dietro pagamento, con punte percentuali del 2%, per il riciclaggio di denaro di altri soggetti italiani per milioni di euro. Il caso Scarano è quello che ha portato i più grandi cambiamenti, come ad esempio il cambio della direzione generale Ior, il rinnovo della commissione cardinalizia di controllo presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone. Papa Francesco ha poi voluto cambiare il Presidente dell’Aif (ovvero l’Authority di controllo sui flussi finanziari, l’organo che vigila sulle operazioni dello Ior, nda), sostituendo il cardinale Attilio Nicora con Monsignor Corbellini, e anche importanti dirigenti dell’l’Apsa, presso la quale il capo contabile era appunto Scarano.
Quindi i problemi dello Ior sono sia quello dei clienti ‘eccellenti’ di cui non conosciamo l’identità sia quello degli ecclesiastici che si sono prestati per un lavoro di intermediazione e di riciclaggio, come è scritto molto chiaramente nella seconda ordinanza di arresto contro Scarano dello scorso gennaio 2014.
Questi fatti emersi tra il 2012 e il 2013 mi hanno portato alla conclusione che forse il mio libro andava ripubblicato e integrato, perché alcuni protagonisti delle vecchie vicende hanno continuato ad operare indisturbati in Italia anche attraverso lo Ior.
Come ad esempio Ernesto Diotallevi?
Certo. Diotallevi fu arrestato nel 2012 per un caso di riciclaggio che coinvolgeva un prete romano, Don Palumbo, che secondo l’accusa riciclava denaro attraverso il suo conto allo Ior. Non era però un dettaglio che questo Don Palumbo fosse stato indagato ed arrestato assieme a Diotallevi, cioè lo stesso personaggio che è stato sotto processo per tanti anni per l’omicidio di Calvi. Altri fatti portano a poter constatare la sopravvivenza di una certa struttura in Italia e a Roma, in particolare, che ha lavorato per trent’ anni con lo Ior.
Ne “Le mani della mafia” sostiene che dopo il crac del Banco Ambrosiano quegli stessi conti dello Ior sono andati avanti operando in un’altra modalità, ma che di fatto questi vecchi conti hanno continuato ad esistere nonostante il crollo dell’Ambrosiano.
Sì. Sono i cosiddetti: “conti misti a gestione confusa”. Sono dei conti dello Ior aperti presso banche italiane. Gli stessi conti che sono sopravvissuti al vecchio Ambrosiano e che dopo il crac hanno continuato ad operare su altre sei banche, come ad esempio il vecchio conto della Banca di Roma di via della Conciliazione e poi fino a Unicredit, quelli dell’Ambrosiano Veneto poi divenuto Banca Intesa e ancora Banca Intesa San Paolo, la Banca del Fucino e altre banche.
Questi conti, come scrivono i magistrati, non sono dei semplici depositi interbancari, ma hanno continuato a funzionare con una modalità particolare. Per tutelare i propri clienti lo Ior operava su queste banche dicendo che quelli erano conti Ior, però le operazioni le faceva per altri senza identificare il cliente per cui le effettuava. Questa gestione confusa, secondo la Banca d’Italia e secondo la magistratura italiana, espone i conti Ior al rischio molto pesante del riciclaggio ed è il motivo per cui nel 2013 tutta l’operatività dello Ior con l’Italia è stata bloccata.
Si riferisce a quello che fu definito “il blocco dei bancomat” avvenuto all’inizio del 2013?
Sì, il blocco dei pagamenti elettronici ha provocato un danno di decine di milioni di euro al Vaticano. Prima sono stati bloccati i conti poi è stata bloccata la possibilità di operare in Vaticano della Deutsche Bank Italia (l’unico istituto che gestiva i Pos con i bancomat e il circuito mondiale delle carte di credito nello stato pontificio, nda) che è una filiale italiana soggetta al controllo della Banca d’Italia.
Invece per quanto riguarda la notizia dei conti bloccati delle ambasciate di Siria, Iran ed Indonesia presso il Vaticano?
È una notizia che non è mai stata smentita. I conti di alcune ambasciate presso la Santa Sede sono stati bloccati, come scrissi sul Corsera e con me anche l’agenzia Reuters. Tuttavia, presso la Santa Sede il fatto è rimasto ad oggi misterioso come quello più generale della ripulitura di questi conti e di chi non ha titolo per averli. Negli ultimi tempi, il Vaticano ha fatto uno sforzo di trasparenza nei confronti del pubblico, attraverso la comunicazione alla stampa e mettendo online i bilanci dello Ior, ma su queste faccende cruciali non ha dato sufficienti informazioni. Credo che siano stati fatti degli errori. I conti non si possono chiudere repentinamente, ci sono delle procedure anche se questi conti non fossero stati usati per il riciclaggio. Soprattutto se appartengono a soggetti italiani. Del resto è chiaro che lo Ior è rimasto indietro nell’opera di verifica dei conti, perché a metà gennaio scorso, attraverso un comunicato stampa, ha affermato che solo il 55% dei conti era stato revisionato in base alle procedure volute da Moneyval. Il processo è lento nonostante sia stata chiamata una società esterna americana, la Promontory, che svolge esclusivamente un ruolo di controllo.
Quali sono sinteticamente i primi rapporti di Roberto Calvi con lo Ior?
Calvi ereditò una situazione che proveniva da Michele Sindona. Una delle interpretazioni del mio libro è che mentre Sindona gestiva il patrimonio dei conti che provenivano dai cosiddetti ‘perdenti di Cosa Nostra’, cioè il gruppo di Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e altri; Calvi si occupò dei cosiddetti ‘vincenti di Cosa Nostra’, i Corleonesi. Da questo punto di vista, la recente estradizione in Italia di Vito Roberto Palazzolo, avvenuta nel dicembre 2013, è interessante, perché era considerato il finanziere dei ‘vincenti’ (Riina, Provenzano). Palazzolo, per intenderci, era nel mirino degli investigatori negli U.S.A. sin dai tempi di “Pizza Connection”. Ma la storia continua, appunto.
È in corso, proprio in queste ore, il cosiddetto ‘G8 della Chiesa’, cioè il Consiglio degli otto Cardinali e Papa Francesco, che si concluderà mercoledì 19 febbraio. Crede che ci saranno delle novità riguardanti la questione finanziaria del Vaticano e lo Ior?
Sono due aspetti distinti: una è la gestione finanziaria vaticana e un’altra è lo Ior. Un cambiamento c’è già stato, perché, tempo fa, c’erano due ‘banche’ vaticane: lo Ior e l’Apsa. Infatti, anche presso l’Apsa c’erano dei conti. Ora, anche grazie ai controlli di Moneyval, quei conti dell’Apsa sono stati trasferiti allo Ior. In modo che di banche del Vaticano ce ne sia una sola. Sempre che il Vaticano abbia bisogno di una banca, tenendo conto della missione della Chiesa.
Nel suo libro afferma che gli anni trascorsi dalla morte di Calvi hanno determinato i fattori all’origine del blocco del sistema italiano. È un discorso che riguarda la crisi economica o il ricambio di classe dirigente politica?
Sicuramente entrambi. I vari faccendieri che hanno frequentazioni con alcune eminenti personalità della politica e dell’economia italiane non sono una novità, non c’è bisogno di fare rivelazioni. Continuano ad agire indisturbati. Questo gruppo di persone è rimasto intatto. Il nostro Paese ha subito agli inizi degli anni Novanta una forte iniziativa antimafia, ma poi non c’è stata più nel corso degli anni una stretta così forte. Finché non è apparsa un’emergenza internazionale che io individuo nell’attentato alle Torri Gemelle e che ha portato a una nuova stretta sul sistema finanziario internazionale. Per questi gruppi c’è stata la possibilità di avere una propria influenza penetrante all’interno della politica e dell’economia italiana per moltissimi anni senza controlli.
Non è un caso che il dato emerso dal rapporto annuale dell’Unità di Informazione Finanziaria (Uif) della Banca d’Italia indichi che le segnalazioni del sistema bancario italiano di operazioni bancarie sospette ammontino a 85 miliardi di euro nell’ultimo anno e siano raddoppiate dal 2007, da quando c’è la legge 231, proprio a seguito degli attentati dell’11 settembre, e dimostra quanto sia necessario tenere gli occhi vigili. Il sistema internazionale non può permettersi più una falla come quella dello Ior, garantita dalla sovranità dello Stato vaticano, perché il pericolo per il sistema finanziario europeo è troppo grande.
Lei traccia una differenza netta tra il ruolo del Banco Ambrosiano nei confronti di Solidarnosc e quello svolto in Sudamerica, in particolare in Argentina.
Per Solidarnosc, l’Ambrosiano è stato solo un canale economico, attraverso finanziamenti che venivano dal potentissimo sindacato americano Afl-Cio, perché la tesoreria dell’Ambrosiano in dollari era a New York, c’era proprio una facilitazione di passaggio di denaro negli Stati Uniti.
Invece, per quanto riguarda il ruolo dell’Ambrosiano in Sudamerica?
L’Ambrosiano in Sudamerica possedeva banche, società finanziarie, lì c’era la costellazione estera dell’Ambrosiano, le famose società estere che hanno generato il crac e per cui erano state emesse nel 1981 da Paul Marcinkus, allora Presidente dello Ior, le cosiddette lettere di patronage. Tutto ciò ha avuto un ruolo decisivo anche nella morte di Calvi. Se pensiamo al Presidente del Banco Ambrosiano in Argentina Carlos Guido Natal Coda, ex ammiraglio argentino, legato alla P2, uomo del famigerato ex dittatore e generale Emilio Eduardo Massera, mentre il direttore generale era il capostipite di una famiglia di banchieri, i Trusso, che ha portato alla bancarotta la diocesi di Buenos Aires. Una situazione molto complicata che è stata gestita con grande esperienza da papa Bergoglio quando è diventato Cardinale di Buenos Aires. Ricordiamoci che ebbe come conseguenza anche l’arresto e il carcere del segretario particolare del Cardinale Quarracino, il predecessore di Bergoglio.
La storia del Banco Ambrosiano in Argentina si collega anche all’acquisto di armi durante la guerra delle Falkland, ormai è acclarato, mentre allora sembrava quasi una storia folcloristica. Ora ci sono documenti ufficiali che spiegano come il Banco Ambrosiano avesse garantito per trecento milioni di dollari l’acquisto degli Exocet all’Argentina da usare nella guerra contro gli inglesi. Calvi finanziava l’invio di armi ai dittatori argentini.
In sintesi, mentre per la questione Solidarnosc si tratta di flussi di denaro del Banco Ambrosiano, non di una struttura veramente impegnata all’interno, per l’Argentina, per il Sudamerica, è diverso. Basti pensare al ruolo di Calvi e del Banco Ambrosiano nella più grande operazione di riciclaggio dell’epoca, la “Green back”, che nel 1984 fu portata all’attenzione del presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan, di una portata immane, enorme, che riguardava il riciclaggio per i cartelli che gestiscono il traffico e la vendita della cocaina a livello internazionale.
In tutta questa storia, grande rilevanza ebbe il ruolo di Licio Gelli e la P2. Chi eredita questo ruolo oggi?
Io credo più alla sopravvivenza delle strutture che degli uomini. Quello che mi pare importante sottolineare nella ricostruzione dei fatti di questi trent’anni, è che non è il singolo episodio che fa la differenza nella storia, ma la struttura complessiva e gli intrecci che sono rimasti per trent’anni e che hanno un sottofondo criminale.
Tanto è vero che Pierluigi Maria Dell’Osso, il pubblico ministero nel processo per la bancarotta dell’Ambrosiano, dopo l’arresto di Nunzio Scarano ha detto che se fosse stato fatto buon uso di quello che era emerso nei processi dell’Ambrosiano, non sarebbe accaduto di nuovo. C’è un legame diretto con la bancarotta del vecchio Ambrosiano, una sopravvivenza delle strutture.
(18 febbraio 2014)
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