ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 6 febbraio 2014

FFII, FSSPX e PUNTI IN COMUNE



Letto l’intervento di Marco Bongi sul parallelo tra FFII e FSSPX,
ci si trova di fronte alla necessità di fare qualche precisazione, perché l’accostamento proposto ci sembra un po’ azzardato; anzi, abbiamo avuto l’impressione che, forse senza accorgersene, l’Autore abbia usato strumentalmente tale accostamento per esprimere una legittima opinione personale sulla vicenda del tentativo di riconciliazione con Roma attuato dal Superiore Generale della FSSPX. Opinione che, lo diciamo subito, non condividiamo, se non altro perché, così com’è presentata dall’Autore, non è fondata sul reale svolgimento della vicenda.

Che al momento della svolta, quella fatidica mattina del 14 luglio 2012, si sia potuto percepire l’intervento del Cielo, è cosa condivisa da molti, ma che tale intervento fosse relativo esclusivamente alla tenuta interna della FSSPX e non al supposto voltafaccia della Curia Romana, è cosa che solo pochi continuano a negare. Per tutti, basti l’esempio della nomina di Mons. Müller a Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, voluta da Benedetto XVI, certo non a caso, il 2 luglio del 2012.Che, come dice l’Autore, “questi uomini di Chiesa non meritano fiducia, non sono credibili, non sono né onesti né, con tutta probabilità, in buona fede. Le loro promesse non valgono nulla, i loro impegni non hanno alcuna consistenza”… è cosa che si sapeva da anni e non c’era bisogno dell’intervento del Cielo per averne conferma. Tale intervento, invece, era e fu necessario per impedire che la roccaforte della Tradizione aprisse le porte all’irrompere devastante delle conseguenze di un impossibile accordo con gli attuali uomini di Chiesa romani ormai votati alla progressiva demolizione della Chiesa di Cristo.

L’errore che si commette, infatti, e che certuni fanno di tutto per indurre gli altri a commetterlo, è di ritenere che si possa fare un accordo con gli uomini di Chiesa del post-Concilio perché si debba fare un accordo con Roma. Errore fondato sul pregiudizio, e per certuni sull’argomentare strumentale, che la Gerarchia post-conciliare coincida col legittimo vertice della Chiesa cattolica; così che l’amore per la Chiesa e l’attaccamento alla Cattedra di Pietro si potrebbero dimostrare solo con la sottomissione a detta Gerarchia. La stessa Gerarchia che qui si definisce del tutto inaffidabile.
E questo errore determina una sorta di corto circuito mentale che rischia di incenerire l’intelligenza e determina situazioni deflagranti negli ambiti in cui viene praticato.

Grazie a Dio, la Fraternità è scampata al pericolo della devastazione, almeno per ora; ma fino a quando al suo interno continueranno a persistere i germi della collusione con i nemici della Chiesa, il rischio della distruzione resterà altissimo. E questi germi hanno un nome e un cognome e si riconoscono dai luccichii che producono: la Curia Romana avrebbe attuato un voltafaccia, l’attaccamento alla Chiesa anche a rischio di spezzare l’unità della Congregazione, il ritorno di Roma alla Tradizione anche se non ancora completo, la Crociata del Rosario, ecc.
Questi luccichii servono a camuffare il vero volto dei germi che, come per tutti i germi, è sempre un volto poco piacevole e al tempo stesso multiforme e cangiante.

Dal 1965, anno di chiusura del Vaticano II, la Curia Romana non ha mai cambiato faccia, e l’ha mantenuta fino al 13 luglio 2012 e ha continuato a mantenerla fino ad oggi. Quello che è invece accaduto è che all’interno della Fraternità alcuni hanno supposto che ci fosse un cambiamento di faccia, basandosi sulle proprie aspettative e sulla soggettiva percezione di quella faccia. Così viziato, il giudizio su quanto maturò nel luglio 2012 portò, e porta ancora a credere che l’intervento del Cielo fosse servito a smascherare la Curia, mentre servì ad aprire gli occhi di chi fino ad allora li aveva tenuti tanto chiusi da immaginare con gli occhi della mente che quella faccia romana fosse cambiata. Intervento provvidenziale, che ha impedito il tracollo, ma che in certuni non ha mutato il vizio percettivo della realtà vera in cui versa la Chiesa conciliare, fin al punto che si continua a scambiare quest’ultima con la Chiesa cattolica.

Amore per la Chiesa e attaccamento alla Cattedra di Pietro percepiti e vissuti secondo un’ottica talmente limitata e umana da far supporre che la Chiesa di Cristo si identifichi con la Chiesa conciliare che ha gli uffici a Roma e che la Cattedra di Pietro si identifichi con chi, oggi o ieri, vi sta nominalmente assiso. Dimenticando che operare tale confusione significaservire, non più il volere di Cristo, ma le pretese degli uomini. Edimenticando altresì che viviamo in tempi nei quali servire Cristo può significare prendere le distanze dalla Chiesa attuale e dall’attuale successore di Pietro, come è già accaduto 40 anni fa e continua ad accadere ancora oggi. Etrascurando l’elemento principale di questa vicenda: la nascita provvidenziale della Fraternità perché i cattolici attenti potessero legittimamente e giustamente tenersi lontani dalla Chiesa conciliare e dagli uomini di questa Chiesa. Trascuratezza che ha portato certuni a considerare giusta la rottura dell’unità della Fraternità come prezzo da pagare per rappacificarsi con coloro che con la propria eterodossia avevano resa necessaria e provvidenziale la nascita della stessa Fraternità.

Scambiare il ritorno sia pure parziale di Roma alla Tradizione, con l’ingresso della roccaforte della Tradizione nel caravanserraglio della Roma conciliare, fu ed è l’inevitabile conseguenza di tanta confusione.
In quasi 50 anni il processo di decattolicizzazione della Chiesa non si è mai arrestato, e gli stessi ritorni  di fiamma ora verbali ora formali, verificatisi principalmente sotto il regno di Benedetto XVI, sono serviti solo al duplice scopo di confermare il detto processo e di trasformare i difensori della Tradizione cattolica in sostenitori dell’anticattolicesimo conciliare, magari in nome della cervellotica invenzione dell’ermeneutica della riforma nella continuità.
Eppure certuni hanno creduto e ancora credono che certe trovate pubblicitarie scaturite dall’ermeneutica della riforma nella continuità, come la falsa liberalizzazione della Messa tradizionale, potessero essere letti come un ritorno sia pure parziale di Roma alla Tradizione.

Quanto alla Crociata del Rosario, non v’è dubbio che, tolto il fatto scontato che la recita del Santo Rosario possa solo far bene alla salute delle anime, è altamente dubbio che gli atti di Roma seguiti alle diverse Cociate possano essere fatte corrispondere alle intenzioni di partenza e soprattutto alla volontà del Cielo. La liberalizzazione della Messa tradizionale, la remissione della scomunica, la riuscita dei colloqui dottrinali, l’adeguamento di Roma alle esigenze della Tradizione cattolica, sono stati tutti obiettivi mancati e se in essi si può leggere l’intervento del Cielo è solo a condizione che si indossino gli occhiali della Tradizione, per rendersi conto che, diversamente da quanto credono certuni, tale intervento ha evidenziato l’inaffidabilità e la malafede degli uomini della Chiesa conciliare.
Il fatto che passo dopo passo si sia voluta presentare una lettura diversa dei fatti sopraggiunti come fossero effetti positivi delle Crociate del Rosario, dimostra che quei lettori non usavano gli occhiali della Tradizione o, se un tempo li avevano usati, ormai li avevano dismessi.

La cosa che fa particolarmente riflettere è l’impostazione complessiva dell’intervento di Marco Bongi, riconducibile peraltro ad un orientamento che non è solo il suo, ma di diversi amici appartenenti al mondo tradizionale.
L’Autore parte dalla considerazione definitiva, detta “semplice” e inequivocabile”, che “questi uomini di Chiesa non meritano fiducia, non sono credibili, non sono né onesti né, con tutta probabilità, in buona fede.” Ma non trae le conseguenze logiche della sua corretta diagnosi, poiché sviluppa poi il resto del suo ragionamento a partire da “nonostante queste disincantate considerazioni”.
Così facendo, egli salta a pie’ pari il nocciolo del problema: dopo 40 anni di resistenza alle pressioni della Chiesa conciliare e dopo lo sterminato numero di dati, di fatti e di dichiarazioni da parte degli uomini di questa Chiesa, nessun cattolico fedele alla Tradizione poteva e doveva lasciarsi ingannare dalla irreale possibilità che qualcosa potesse essere cambiato a Roma; se invece ciò è accaduto, è inevitabile e doveroso che si debbano approfondire le cause e le eventuali attitudini personali o di gruppo di certuni. Perché delle due l’una: o certuni erano e sono in buona fede, ma incapaci di leggere correttamente la realtà, o erano e sono interessati a far passare una distorta lettura della realtà, magari con tutte le buone intenzioni. In entrambi i casi è chiaro che il centro del problema è l’inaffidabilità di questi certuni, perché costituiscono un grave pericolo per la Tradizione; com’è chiaro che il dovere di vigilanza e di analisi dei cattolici esige che non si possa far finta che niente sia accaduto.

Marco Bongi ha ragione quando ricorda che “non è possibile… appellarsi all’obbedienza, … quando si pretende di imporre comportamenti palesemente in contrasto con la Dottrina”, purtroppo non ha tratto le dovute conseguenze da questo suo richiamo, perché se lo avesse fatto avrebbe svolto di seguito tutto un altro ragionamento.

Avrebbe ricordato, per esempio, il caso dei sacerdoti della Fraternità che, in nome della Verità e della Tradizione, hanno resistito al loro Superiore Generale che si appellava all’obbedienza. E avrebbe potuto offrire questo caso, come esempio, ai Francescani dell’Immacolata perseguitati dal loro Commissario conciliare.
Avrebbe ricordato, per esempio, che la soluzione per i Francescani dell’Immacolata, sta in qualcosa di simile a quella resistenza e a quella disubbidienza che si determinò dal 1965 in poi, dopo l’introduzione della Messa riformata e delle riforme degli Ordini religiosi; resistenza e disubbidienza che furono di pochi, certo, Fraternità San Pio X compresa, ma che permisero alla Chiesa cattolica di non scivolare in toto nell’eterodossia e permetteranno, a Dio piacendo, la persistenza della Chiesa cattolica nel piccolo resto di fedeli di Cristo voluto e assistito dallo Spirito Santo.

Il prezzo da pagare è sempre gravoso e ha sempre comportato grandi sacrifici, fino all’ostracismo e alla scomunica, ma oggi come ieri: o ci si adegua alla volontà dell’autorità, che sia della Congregazione o della Roma conciliare, e si ubbidisce anche in contrasto con la dottrina, o si resiste all’abuso e, per il bene della vera Religione, della Chiesa e delle anime, si prendono le distanze, e allora si potrà star certi che non verrà a mancare l’aiuto del Cielo.

Questi nostri sono tempi di lotte e di divisioni, perché oggi più che mai il nemico famelico si aggira in mezzo in noi e ci sottopone ad ogni sorta di inganno, soprattutto sotto la copertura dell’abito ecclesiastico, non bisogna avere timore di affrontare la grande pena della disubbidienza e del rifiuto dell’autorità quando si corre il rischio di perdere la propria anima e di provocare la perdita delle anime dei fratelli.
Bisogna sempre ricordarsi che non bisogna ubbidire agli uomini, ma a Dio, e che bisogna mantenere la vera Fede perché non si può piacere a Dio senza la vera Fede.

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