Una lettera di stile ecclesiale contro la menzogna di stato
Che cosa sta succedendo? Niente di importante. La chiesa ha duemila anni e passa, il Foglio appena diciotto. Non ci facciamo illusioni. Non siamo mosche cocchiere e nemmeno vogliamo mettere bastoncini tra le ruote a gente, il Papa tra i primi, che crede in quello che fa, che cerca una strada nell’opacità di un mondo scristianizzato, dove il narcisismo abbatte il senso di realtà e l’importanza della vita umana, in un dilagare di sterminio eugenetico per legge, dal concepimento alla fine del corso degli anni (vedi il pezzo di Riccardo De Benedetti su Pierre Legendre e quello di Giulio Meotti sull’eutanasia in Olanda, guardata ormai con terrore anche da chi l’ha inventata come macchina di libera morte).
Il nostro modo di procedere è modestamente veritativo. L’Onu prende a schiaffi il cristianesimo incarnato nella chiesa, il suo credo e le sue idee sulla vita umana che ancora un pezzo di mondo laico condivide? Bè, con la massima deferenza verso le autonome decisioni della Santa Sede, verso il suo linguaggio diplomatico, verso le sue priorità pastorali, noi scriviamo una rispettosa lettera a Francesco, uno a cui è bello dare del tu e che è bello chiamare padre, per dirgli che ci aspettiamo dai cristiani e dalla loro chiesa, che per alcuni dei molti firmatari è la “nostra chiesa” (“Wir sind Kirche”) una forte e significativa reazione. Non più di questo gli Scruton, i Besançon, i Giancarlo Cesana, i Giuliano Ferrara e un diluvio di altri hanno firmato. Qui non si fanno giochini. Non siamo organo di Vatileaks, disprezziamo il nostro mondo mondano quando si fa beffe della chiesa o sputtanandola e descrivendola a misura delle miserie del sistema mediatico o adulandola per ottenere una fede senza conseguenze sulla vita adulta, sulla cultura, sulla carità.
La sorpresa in quel che facciamo, con i modesti mezzi di un giornale di minoranza, è la vastità delle reazioni, lo zelo e il fervore e la cristallina chiarezza con cui in tanti ci offrono un anticipo, ma motivato, di simpatia, di fiducia e di buonumore nel combattere quella che considerano una buona battaglia. Non contro, ma per il Papa. Per vedere se nel suo magnifico stile personale, nel suo progetto di ritorno al cuore e al cuore della fede, nella sua predicazione di grande intensità biblica e misericordiosa, un tale monumentale gesuita del Cinquecento, che per grazia è divenuto signore dei cristiani di confessione cattolica, se in tutto questo c’è spazio per un’alleanza di ragione e fede non in nome di un astratto furore per i valori della tradizione, e men che meno per una deformazione etica della dottrina o della prassi cristiana; ma per una vigile attenzione alla deriva suicidaria dell’occidente.
E’ vero, di fronte alle molte cose che sono cambiate per famiglia, sesso, vita, identità culturale e civile, senso della realtà, la chiesa deve agire per una riconquista dell’interlocuzione con una vasta platea mondiale di fedeli e cittadini, di ex fedeli e uomini e donne, tutti ammutoliti dal politicamente e dall’ideologicamente corretto, e tutti incapaci ormai di riconoscere le virtù e la bellezza, che la coltivino o no nel proprio cuore, della fede come oggetto e come cultura, linguaggio, esperienza, storicità di un incontro con Cristo e con duemila anni di letteratura e vita cristiana. Ma il cardine della riconquista, stabilito che prima di tutto viene la fede in quello che per i cattolici è il Signore, non può non avere una relazione stretta e gioiosa non con l’astratta nozione di verità ma con la buona battaglia contro la menzogna di cattedra e di stato che, massime sulla vita, ci stanno propinando.
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Firme caritatevoli
Successo della lettera internazionale a Francesco in risposta all’arcigna sfida ipersecolarista. Qui si racconta chi c’è, chi non c’è, chi ci sarà. Priscilla, 4 anni
Sono moltissime le adesioni all’appello a Papa Francesco lanciato martedì in prima pagina sul Foglio. Allo storico francese Alain Besançon e al filosofo inglese Roger Scruton si sono uniti studenti e docenti, sacerdoti secolari e sacerdoti regolari, giornalisti, medici, bioeticisti, avvocati, ingegneri, filosofi, casalinghe, pensionati, politici. E soprattutto tante famiglie: padri, madri e figli. Compresa Priscilla, quattro anni e convinta firmataria. Tutti uniti per chiedere in modo deferente al Santo Padre Francesco di reagire affinché la chiesa cattolica non ceda al ricatto sempre più forte delle avanguardie fanatizzate del mondo laicizzato. Un mondo dove a dominare è proprio quella cultura dello scarto contro la quale più volte Jorge Mario Bergoglio ha scagliato anatemi e infuocate omelie all’alba di Santa Marta. “Il diritto alla vita è il primo dei diritti umani. Abortire equivale a uccidere chi non ha modo di difendersi”, diceva qualche anno fa l’allora arcivescovo di Buenos Aires all’amico Abraham Skorka.
Qualcuno, però, anche tra le file di conferenze episcopali pronte a fare del prossimo Sinodo sulla famiglia l’occasione propizia per ribaltare decenni di insegnamento magisteriale su morale ed etica sessuale, non sembra aver fatto proprie le parole del Pontefice. Così, mentre in Germania illustri prelati invocano la musealizzazione dell’Humanae Vitae e della Familiaris Consortio perché rottami vecchi e superati, in Belgio si procede ex lege all’iniezione letale ai bambini di cinque, sei, sette, otto anni. Basta che lo chiedano ed è fatta. E con la grande maggioranza dei belgi che approva la norma perché, dopotutto, a quell’età e in casi di morte prossima, “i minori sviluppano velocemente un forte livello di maturità, fino a diventare in grado di riflettere”. Così spiegano illustri pediatri del luogo dalle colonne dei giornali.
Ecco perché davanti a queste avvisaglie del ciclone in arrivo, ci si appella all’autorità del Papa per una controffensiva di preghiera, azione pastorale, idee. Sono problemi che precedono il credo religioso di ciascuno, ricordava qualche giorno fa mons. André Léonard, arcivescovo di Bruxelles, grande periferia esistenziale e spirituale dove solo ora, tiepidamente, la chiesa si sta riconquistando uno spazio pubblico perso nel corso dei decenni scorsi, passati a discettare di tutto – dalle donne prete al celibato sacerdotale, fino al posizionamento dell’altare nelle chiese che intanto si svuotavano – tranne che di vita e famiglia. In gioco, spiegava mons. Léonard, c’è la vita, la libertà umana, la società. Tra i firmatari, c’è pure una decina di sacerdoti, tra cui anche qualche soldato d’Ignazio pronto ad accompagnare con la forza della fede cristiana l’offensiva contro le agguerrite maggioranze del secolo. Qualcun altro, un sacerdote S. I., invece, dopo aver meditato una notte, ha preferito ritirare la firma all’appello, “pur condividendolo in parte”. Hanno aderito La Manif pour Tous Italia, sorella di quella francese che di recente è scesa in piazza per protestare – tra bandiere della Marianna e vessilli vaticani – contro il nuovo diritto di famiglia studiato e portato in Parlamento dal governo socialista. C’è la bioeticista Assuntina Morresi, lo psicoanalista Mario Binasco, del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II; c’è Marco Ferrini, direttore della Fondazione internazionale Giovanni Paolo II di cui è presidente mons. Luigi Negri, vescovo di Ferrara-Comacchio.
C’è il giornalista e scrittore Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuan di cui è presidente mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste. C’è lo storico tradizionalista Roberto De Mattei, la presidente di Scienza e Vita di Castelfiorentino, Letizia Marino, l’ex governatore lombardo Roberto Formigoni, l’eurodeputato Luca Volontè, l’ex deputata Isabella Bertolini. E poi i sociologi Sergio Belardinelli, animatore del progetto culturale di Camillo Ruini, e Salvatore Abbruzzese, sociologo, e l’ex primo presidente della Corte d’appello di Perugia Renato Santilli. Numerose le adesioni personali dalla galassia di Comunione e Liberazione, a partire da Giancarlo Cesana, Adriana Mascagni e Giuseppe Zola. Un appello che ha riscosso adesioni in rete anche oltreoceano: dalla Florida ha firmato Fredrick Penar, dall’Illinois Elizabeth Fitzmaurice. Dal New Jersey Thomas P. Farnoly, civil trial attorney del New Jersey. Dalla Nuova Scozia, in Canada, Barry Gabriel. E firme sono giunte anche dall’Austria un tempo felix del cardinale Christoph Schönborn, dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Gran Bretagna.
Laici e cattolici che idealmente condividono quanto scritto da Matteo Colella, imprenditore della provincia di Varese e padre di tre bambini che si è unito all’appello del Foglio “affinché si possa sentire anche la voce di chi non vuole una società che non sa più apprezzare il dono più grande che si può ricevere su questa terra: un bambino”.
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