Io non firmo perché sono cristiano
Lieti nella fede, siamo per le conversioni, il resto è affar vostro
Sono molti i miei amici che hanno firmato quell’appello. Io sinceramente no. E non perché sono migliore o più furbo, ma per il semplice motivo che in quella lettera vedo alcuni errori che non posso far finta di non considerare. Il primo errore lo vedo nella richiesta del direttore del Foglio: sostenere una controffensiva. La chiesa, caro Ferrara, non è un esercito, non è un partito, non è un moloch: la chiesa è un’unità di uomini sociologicamente identificabile per l’esperienza che fa di una forza che non proviene da lei.
Le controffensive le fanno i governi, le armate, le lobbies, non i cristiani. Anche nel Getsemani Pietro tentò una controffensiva tagliando l’orecchio al soldato, ma il Signore non fu molto entusiasta del gesto e arrivò a rimettere il suo nemico nuovamente nelle condizioni fisiche migliori per nuocergli. La più grande controffensiva di questa terra è l’Eucaristia che giace indifesa, muta e spoglia in milioni di tabernacoli in tutto il mondo: Essa c’è e questo fa tremendamente paura ad ogni potere. Le controffensive richiamano alla mente non un tipo di presenza costruttiva e originale, ma una presenza tesa sempre a reagire all’attacco ricevuto, una presenza difensiva e non lieta, indignata e non sicura del fatto che niente potrà mai prevalere su Cristo e sulla chiesa.
Ma questo, penseranno molti, non significa semplicemente “calarsi le braghe”?
A parte il fatto che non credo esista espressione più rozza e stupida di questa, la vera preoccupazione di un cristiano non risiede nelle vittorie politiche o culturali che consegue, ma nella certezza che possiede davanti a tutto e a tutti, una certezza che è tanto più autentica quanto più si esprime col silenzio e l’offerta di sé.
Come Cristo di fronte a Pilato. Egli non si “calò le braghe”, ma semplicemente si pose. Tutto il resto prende sempre le sue mosse da altro: bisogni psicologici di affermazione di sé, desiderio di potere, eccessiva considerazione della propria persona e del proprio ruolo nella storia. Cristo e la chiesa vengono così messi al servizio del proprio narcisismo e della propria ideologia.
La mia prima preoccupazione non è la difesa della civiltà cristiana, ma che il cristianesimo viva in me. A me non interessa che Hollande faccia un passo indietro sulla famiglia, a me interessa che Hollande si faccia una famiglia e scopra, così, la grandezza del matrimonio. Altrimenti è tutta tattica e, prima o poi, “i nemici di un tempo torneranno vincitori”.
L’appello di Ferrara ha dunque un sapore reattivo e sottilmente polemico: evoca Benedetto XVI e la sua lezione sulla ragione per mettere sotto assedio Francesco, in un’operazione surrettiziamente – ma pervicacemente – nostalgica. Prova ne è il fatto che l’Elefantino chieda al Papa cose che sono compito di ogni cristiano, quasi che – per fare legittime battaglie – alla fine ci fosse sempre bisogno dell’imprimatur gerarchico, quando, invece, il cristianesimo è rischio e libertà. Il Papa non può fare l’alfiere e il pedone, il cavallo e la torre: sono i laici a doversi mettere in gioco, certi che – come abbiamo visto su tutte le tematiche eticamente sensibili – la voce del Papa non si farà attendere. Voce di padre e non di generale, voce di pastore e non di partigiano.
Un assaggio di tutto questo credo proprio che lo vedremo al prossimo Sinodo, dove assisteremo alla cocente e strisciante delusione di molti media. Perché un gesuita è un gesuita. E non ha certamente bisogno di essere messo alle strette da un appello. Siamo noi che dobbiamo decidere che cosa fare. Se essere ancora cortigiani di un’ideologia o provare, molto umilmente, a rischiare tutto e a rischiare davvero su di Lui, su Gesù Cristo. Potrebbe essere questa una gran bella cosa. La risposta più disarmante e inattesa della storia. Una risposta che porterebbe alla resa chiunque, perfino i Caschi blu.
di don Federico Pichetto
Non importa la firma, ma l’ignavia
A un prete che considera “attivistica” la difesa della libertà
Ma gli argomenti, questo è il problema. Mentre don Pichetto aspetta tranquillo e fervente che Hollande scopra le gioie di una vita familiare consacrata (vaste programme), molti sindaci cattolici e non, anche laici razionali come noi, nella Francia occupata del politicamente e del religiosamente corretto rifiutano stupidamente, con obiezione di coscienza, di consacrare la parodia gay del matrimonio. C’è chi si preoccupa, ma invano evidentemente, dell’educazione dei figli e dei nipoti, e non apprezza una scuola pubblica in cui l’insegnante si spoglia, chiede ai bambini di che sesso desiderino dirsi, mette un preservativo su una banana per spiegare agli adolescenti le gioie dell’amore, diffonde l’idea dell’aborto e della contraccezione e della fertilità à la carte. Noi che esprimiamo scandalo e raccapriccio, ma con parole piane ed ecocompatibili, in una lettera mista di laici e di cattolici indirizzata rispettosamente al capo della chiesa, per sottolineare la gravità strategica, politica, l’intima natura di attentato alle libertà, prima tra tutte quella religiosa, di una Convenzione Onu per il fanciullo che mette sotto processo il clero per pedofilia, e fa risalire i mali osceni della chiesa alla sua predicazione in materia di matrimonio, di famiglia e di aborto, noi che chiediamo di andare oltre la misurata e dura ma diplomatica risposta alla quale era tenuta la Santa Sede per mezzo dei suoi portavoce, noi siamo agitatori che vogliono mettere il Papa con le spalle al muro. Bisogna essere ben maliziosi per pensarla così, per fare i processi alle intenzioni, per seminare tanta zizzania in un campo in cui, come diceva sant’Ignazio, il Papa è “il padrone del raccolto”, dunque ne è massimamente responsabile.
Non riesco a immaginare quale stato d’animo intimamente fazioso, più che dolcemente profetico o religioso, abbia potuto indurre un prete cattolico, non dico a non firmare, cosa in sé rispettabilissima e anche comprensibile, ma a motivare in modo tanto aspro e così politico, così assurdamente eucaristico, il suo diniego. Lasci don Pichetto che un giornalino non pregiudizialmente anticattolico, che non raccoglie spazzatura anticlericale e non ama il clericalismo, che sollecita il corpo della chiesa a muoversi secondo i suoi stessi princìpi, ma senza iattanza, senza insegnare alcunché ad alcuno, faccia il suo mestiere di idee e di cultura.
Tra cielo e terra vive la fede, e Gesù si è domandato se ci sarà ancora quando tornerà a trovarci. Tra cielo e terra vivono anche le ragioni della fede, che hanno bisogno di essere dette, che presuppongono non un arcigno modello di virtù, non un mondo senza misericordia e senza perdono o senza peccato, ma un mondo consapevole, insieme bambino nella speranza e adulto nella ragione, che conosca un cristianesimo fatto anche di luce, teologica e intellettuale, luce che non va posta sotto il moggio dell’esperienza individuale o dell’interpretazione individuale della comunionalità, ma in alto, in alto, sempre più in alto. Suggerisco a don Pichetto di rileggersi bene l’Evangelii Gaudium, per non parlare delle note della Congregazione della dottrina della fede, e di ripensare non alla firma, che c’è o non c’è – avremmo fatto la lettera anche in cinque o sei, con Scruton Besançon e gli altri – ma alla sequenza di non-argomenti con cui ha giustificato, si fa per dire, la santa pigrizia che è così simile all’ignavia.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/21971
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