Comunione ai risposati. Una soluzione che rispetta il dogma
Ricevo e pubblico.
Papa Francesco ha aperto una consultazione sul tema della famiglia in vista del prossimo sinodo dei vescovi. La mia intenzione è quella di dare un contributo a questa discussione.
Il problema della possibilità di riammettere ai sacramenti i (alcuni) divorziati risposati è straordinariamente delicato e complesso. Nella sua trattazione si intrecciano aspetti teologici, giuridici e pastorali e ogni decisione ha aspetti positivi e negativi che vanno valutati attentamente. Ogni cambiamento della disciplina attuale rischia di scuotere nel popolo la fiducia nella indissolubilità del matrimonio e quindi di creare scandalo e di indebolire l’impegno delle coppie in difficoltà nel difendere il proprio matrimonio e l’unità della propria famiglia.
È però anche evidente che esistono, e non sono marginali, situazioni alle quali non è facile e forse nemmeno possibile e desiderabile applicare la disciplina esistente. Senza una innovazione coraggiosa nel solco della tradizione, senza un nuovo approfondimento della tradizione, noi rischiamo di lasciare senza risposta una domanda di aiuto e anche di giustizia che viene da tanti fedeli.
Io sono lieto di non essere un vescovo e di non dovere portare la responsabilità della decisione. Credo però di avere il diritto e il dovere, come laico con una ormai lunga esperienza di studi e di vita, di dare un contributo a capire. È appena il caso di dire che comunque accetterò e difenderò la decisione del sinodo in comunione con il papa.
Sono ben note le parole del Signore: “L’uomo non divida ciò che Dio ha unito” (Matteo 19, 8). Lo sposo cristiano rende testimonianza davanti alla sposa dell’amore infinito di Dio per lei, un amore che Dio non revoca nemmeno davanti alle difficoltà più severe della vita, nemmeno davanti al tradimento e al martirio. Come Cristo ha amato gli uomini “fino alla morte ed alla morte in croce” (Filippesi 2,8) così lo sposo amerà la sposa con un amore indefettibile. La rottura di questa promessa ha dunque la forza di una bestemmia e di uno scandalo, da ragione alla persona abbandonata di dubitare dell’amore stesso di Dio. Per questo il matrimonio cristiano è per sempre. La Chiesa ha sempre difeso la indissolubilità del vincolo coniugale. Su questo non credo che ci sia nulla da aggiungere, non è pensabile una riforma della teologia del matrimonio.
I ministri del matrimonio sono gli sposi. Ciò che crea il vincolo matrimoniale è il loro dono reciproco. La celebrazione canonica e la benedizione del sacerdote costituiscono un accompagnamento della comunità cristiana e una presa d’atto della decisione degli sposi oltre che una verifica e una certificazione della loro volontà. Il fondamento della validità dell’atto è però la volontà degli sposi che non può certo essere sostituita dalla cerimonia liturgica. Se per la mancanza di sacerdoti o per altre ragioni la celebrazione liturgica non può avere luogo ma un uomo ed una donna decidono di vivere insieme come marito e moglie essi contraggono un matrimonio valido. Casi del genere erano frequenti nel Medio Evo e ciò generava naturalmente un mare di problemi. Come sapere con certezza se fra i due vi fosse una vera intenzione matrimoniale oppure solo una momentanea passione sessuale? Il concilio di Trento ha reso obbligatoria la cerimonia liturgica e la iscrizione nei registri parrocchiali proprio per evitare equivoci e dubbi. Resta però vero che il matrimonio è fatto dall’atto dei coniugi che sono i ministri del matrimonio.
La registrazione aiuta ma non scioglie tutti i dubbi. Fin dal principio la Chiesa ha riconosciuto che vi sono casi in cui, nonostante tutte le precauzioni, quello che è stato registrato come un vero matrimonio non era in realtà tale. Esistono cause di nullità matrimoniale. Se uno degli sposi non intende veramente assumere gli obblighi del matrimonio il matrimonio non è valido. Se uno degli sposi non è in grado di esprimere un valido atto di volontà il matrimonio non è valido. Se la volontà è compressa dalle circostanze o se il soggetto non capisce esattamente quello che fa il matrimonio non è valido.
Non ripercorreremo adesso tutte le cause di nullità matrimoniale, ci limitiamo a richiamare in linea generalissima il fatto della esistenza di pseudo/matrimoni, ovvero di matrimoni nulli.
Cosa si faceva (e si fa) quando si riteneva (e si ritiene) di avere contratto un matrimonio nullo? Si andava (si va) dal tribunale ecclesiastico per ottenere il riconoscimento della nullità del matrimonio. Dopo avere svolto i necessari accertamenti il tribunale (la Sacra Rota) pronuncia il giudizio di nullità.
La Sacra Rota, però, non annulla il matrimonio, non lo fa diventare nullo. Accerta e proclama che il matrimonio è nullo fin dall’origine.
Una volta il giudizio della Sacra Rota aveva effetti civili molto importanti che riguardavano il patrimonio ma anche il diritto di successione dei monarchi. Oggi nella quasi totalità dei casi non è più così. Lo stato ha i suoi registri di stato civile e i suoi tribunali che regolano tutti gli aspetti patrimoniali con le loro sentenze di divorzio. Il giudizio del tribunale ecclesiastico ha solo un valore (peraltro importantissimo) per la coscienza del credente.
Le cause nei tribunali ecclesiastici (come del resto in tutti i tribunali) durano molto tempo, non meno di due anni. Che fare se nel corso di questo tempo uno dei due coniugi si innamora di una altra persona e va a vivere con lei, e magari ha anche dei figli?
Che fare se risultasse poi alla fine che nella nuova relazione c’è una autentica “affectio coniugalis” mentre invece il primo matrimonio era nullo? Per chi guarda dall’esterno sembra che questa persona sia un pubblico peccatore, mentre in realtà ad essere valido sarebbe il secondo matrimonio, ancorché non celebrato.
Il matrimonio nullo è nullo fin dall’inizio, non è mai esistito. Perché vietare il matrimonio a una persona che, in realtà, ha diritto al matrimonio? Certo, è importante non dare scandalo a chi, non conoscendo come stanno veramente le cose e in mancanza di un accertamento del tribunale ecclesiastico, potrebbe essere turbato. Ma è questo un motivo sufficiente per congelare per anni e anni un amore coniugale autentico?
Il problema diventa particolarmente acuto nel nostro tempo perché non c’è chiarezza nella coscienza popolare sulla essenza del matrimonio, sui suoi diritti e sui suoi doveri, soprattutto sul fatto che il matrimonio è per sempre. Molti ricevono una evangelizzazione solo superficiale e poi, magari, quando prendono più sul serio la loro vocazione cristiana, si trovano invischiati in matrimoni contratti in modo superficiale.
Le coppie di credenti che divorziano sono così numerose che i tribunali ecclesiastici non possono tenere loro dietro. Molti fedeli che hanno in realtà pieno diritto ai sacramenti se li vedono negare per la situazione (presunta) irregolare in cui vivono. È probabile che, amareggiati, si allontanino dalla Chiesa.
Che fare? Si potrebbe conferire al parroco la facoltà di riammettere ai sacramenti i divorziati risposati che dichiarino in modo concordante e convincente, con testimonianza giurata, la nullità del loro primo matrimonio. Il parroco (o altro delegato del vescovo) potrebbe ascoltare i coniugi, invitarli a un tempo di preghiera perché il Signore illumini il loro spirito e, se convinto in coscienza, riammetterli ai sacramenti. Se le testimonianze non fossero concordanti, se uno dei coniugi non fosse convinto della nullità del vincolo, se il parroco non riuscisse a formarsi un giudizio sicuro (e forse anche, per maggiore sicurezza, se vi fossero dei figli) i coniugi dovrebbero essere invitati ad adire il tribunale ecclesiastico.
La proposta qui formulata non tocca in nulla la teologia del matrimonio, che non è nella disponibilità dei vescovi. Essa non riguarda l’essenza del matrimonio ma solo le modalità di accertamento della sussistenza del vincolo, cioè una questione giuridica e pastorale, che è nella disponibilità del sinodo e del Santo Padre.
È possibile obiettare che con la procedura suggerita si può essere tratti in inganno più facilmente che non con il rigoroso procedimento canonico.
È vero, però: 1. l’ inganno non può mai essere escluso nemmeno con il procedimento canonico attuale; 2. a questo procedimento si rivolgerebbero verosimilmente solo dei credenti, poco disponibili a giurare il falso; 3. i rapporti patrimoniali sarebbero stati regolati in via previa dalla sentenza di divorzio e quindi verrebbe meno l’incentivo materiale ad ingannare.
Scuoterebbe questo la convinzione della indissolubilità del matrimonio nella coscienza popolare? Credo di no.
Incoraggerebbe questo a riprendere con energia un cammino di fede tanti che oggi si sentono abbandonati e incompresi nelle loro difficoltà? Spero di sì.
Sono comunque contento che non spetti a me l’onere della decisione.
Giovanni Onofrio Zagloba
Roma, 13 marzo 2014
*
Tre anni dopo la sua prima apparizionein Settimo Cielo, il misterioso Giovanni Onofrio Zagloba è ricomparso inviandoci questo suo nuovo scritto.
Misterioso perché non vuole dirci chi si celi dietro il nome di questo personaggio del romanzo storico di Henryk Sienkiewicz “A ferro e fuoco”: un uomo di ventura dell’epopea polacca del Seicento, più loquace che fattivo, trovatosi però determinante nello sconfiggere il più temibile campione nemico.
Dalla lettura di questo suo scritto, si ricava comunque che il nostro Zagloba è ferrato in teologia, in diritto canonico e in storia della Chiesa.
Tre anni fa era intervenuto due volte in questo blog a proposito di un passaggio del libro-intervista “Luce del mondo” di Benedetto XVI sull’uso del preservativoe di un altro enunciato di papa Joseph Ratzinger sui cambiamenti della dottrina della Chiesa in materia di libertà religiosa.
Sul concistoro del 20-21 febbraio 2014 sul tema della famiglia, con la relazione introduttiva del cardinale Walter Kasper:
> Kasper cambia il paradigma, Bergoglio applaude
> Kasper cambia il paradigma, Bergoglio applaude
<<< >>>
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.