E’
morto Mario Palmaro, prof. di filosofia del diritto, bioeticista e
apologeta cattolico. Ha vissuto la prova cercando sempre di alzare lo
sguardo alle “cose di lassù”. Questo, tra i tanti, è l’insegnamento più
grande che conserverò nel cuore. Insieme all’amico Alessandro Gnocchi,
nel lontano 2010, scrisse sul quotidiano Libero un articolo dal titolo “In prossimità della fine”,
rileggerlo può aiutarci a capire come Mario avesse ben chiaro che tra
tempo ed eternità c’è un abisso. Caro Mario, riposa in pace.
In prossimità della fine (di Gnocchi & Palmaro, fonte: Libero, 2010)
Se si trattasse solo di un comprensibile
timore che ogni uomo prova in prossimità della fine, forse basterebbe
una scommessa, un’ultima guasconata, per arrivare fin sulla soglia
storditi abbastanza da non pensarci. Se fosse così, avrebbero ragione
l’illuminismo e i suoi epigoni quando indicano nella banalissima paura
della morte la banalissima origine della religione.
Se fosse così. Ma evidentemente non lo
è, se fior di uomini di ingegno, figli delle più estrose varianti dei
lumi, in prossimità del momento cruciale, si sono incamminati lungo
strade imprevedibili. Evidentemente, non è così se le loro decisioni
ultime tengono banco tra credenti e non credenti.
Se si continua a parlare della
conversione di Renato Guttuso, di quella indecifrabile di Indro
Montanelli, di quella inquieta di Oriana Fallaci o di quella quasi certa
di Antonio Gramsci. La conversione, o comunque la fiduciosa apertura su
una trascendenza a lungo negata, continua a esercitare fascino persino
sui disincantati abitanti del terzo millennio poiché va alla radice
dell’esistenza di ogni singolo uomo. E sarebbe comico, se non fosse
tragico, che gli unici a esserne imbarazzati sono certi cattolici che
invitano il prossimo a non convertirsi in nome di una non meglio
precisata autenticità.
Eppure, non vi è autenticità più
concreta che la risposta al perenne richiamo del Vero, del Bello e Buono
indicato da papa Benedetto come cifra del cuore di ogni uomo. Un
richiamo pacificatore capace di rendere vero l’essere umano nel momento
più importante della propria vita. Quando a San Carlo Borromeo chiesero
che cosa avrebbe fatto se gli avessero detto che sarebbe morto entro
un’ora rispose: “Cercherei di fare particolarmente bene ciò che sto
facendo ora”.
Altri tempi, verrebbe da dire, e per
certi non si sbaglierebbe. Erano tempi in cui i sacerdoti tenevano sul
loro scrittoio un teschio proprio per aver ben presente la caducità
dell’esistenza. Erano i tempi in cui era facile trovare sin nelle case
più povere libretti che si intitolavano “Apparecchio alla buona morte”.
Eppure, proprio per questo, contrariamente a quanto sostiene la vulgata
corrente, erano tempi pieni di vita.
Un uomo del Seicento non aveva bisogno
di trovarsi davanti all’assurda tragedia del Love Parade per scoprire
che esiste la morte. E, soprattutto, ne aveva avuto ben chiaro il senso.
L’uomo moderno, invece, si trova sempre più spesso nella condizione di
dover prendere atto dell’epilogo solo poco prima che avvenga. E, allora,
non può più fingere. Per tutta la sua esistenza può aver giocato con la
sacralità della vita. Può aver occultato, dissacrato, violentato il
mistero della nascita, può continuare a ritenerlo un fatto puramente
biologico fino all’ultimo atto della sua esistenza.
Ma la morte gli si presenta
inevitabilmente anche sotto un aspetto soprannaturale. E, in questo
frangente, non c’è teoria che tenga. Per la prima volta, il mistero gli
si presenta in forma tanto decisa e prepotente da non essere eludibile.
Ma gli si presenta in forma sincera e generosa, come Qualcosa che non
deve essere decifrato o svelato, ma come Qualcosa che gli si fa incontro
per dirgli chi è veramente. La consapevolezza dell’eterno si fa largo
nella coscienza e mostra con le piccole, grandi e concrete evidenze
della decadenza che l’eternità non ha nulla a che fare con il dato
biologico ma con l’interezza della persona, anima e corpo.
Ed è qui, che la conversione giunge a
compimento, nel punto in cui la persona finita scopre che può trarre il
senso autentico della propria vita da una Persona che finita non può
essere. Oggi, molti sostengono che il problema dell’ateismo sta nella
difficoltà di spiegare l’origine della vita. In realtà, il vero problema
dell’ateismo sta nella sua strutturale incapacità di spiegarne la fine.
Il razionalista può anche illudersi di padroneggiare l’inizio
dell’esistenza, ma non potrà mai farlo con la sua fine, neanche
puntandosi un pistola alla tempia.
In prossimità della fine l’adulto è
molto meno adulto di quanto potrebbe immaginare. Non a caso, gli
insegnamenti più concreti sulla morte si trovano nelle fiabe. Ve n’è uno
straordinario in un racconto modernissimo, nel film “Mr Magorium e la
bottega delle meraviglie”. Al momento di lasciare questo mondo, uno
straordinario Dustin Hoffman spiega il senso di tutto dicendo: ‘Quando
re Lear muore nel quinto atto, sai Shakespeare che ha scritto? Ha
scritto ‘muore’!”. Ci voleva un genio per raccontare in una parola il
senso della vita. Ci vuole Dio per fare in modo che quel senso non sia
vano.
Ricordo di Mario Palmaro – di Giovanni Lugaresi
“Mario Palmaro è morto”. Poi, quattro scarne righe di annuncio e alla fine il saluto: “Sia lodato Gesù Cristo”. Il saluto che oggi non pronunciano più neppure i preti. Se ne è andato giovane: 45 anni, lasciando moglie e quattro figli, ma la sua breve vita è stata all’insegna dell’operosità nella e con la fede forte, sicura, coraggiosa.
di Giovanni Lugaresi
.
I media, e non soltanto quelli del mondo cattolico, di Palmaro e del suo sodale Alessandro Gnocchi, si sono occupati quando venne la cacciata da Radio Maria con una di quelle decisioni dittatoriali care ai direttori responsabili dei giornali del tempo che fu: senza preavviso e senza tante spiegazioni – e il modo ancor m’offende! – avevamo a suo tempo commentato.
Mario Palmaro era nato a Cesano Maderno il 5 giugno 1968, si era laureato in giurisprudenza all’Università di Milano con una tesi sull’aborto procurato, perfezionandosi quindi in bioetica all’Istituto San Raffaele. Già docente nel Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma, insegnava filosofia teoretica, etica e filosofia del diritto nell’Università Europea di Roma.
Collaboratore di varie testate, fra le quali, insieme a Gnocchi, il Foglio, il Giornale, Studi Cattolici.
Cattolico senza se e senza ma, tutto d’un pezzo, prediligeva in letteratura Guareschi e Chesterton.
Questa la succinta nota biografica, con l’aggiunta dei titoli di tanti libri e articoli scritti da solo o, appunto, con l’altro alfiere della retta dottrina, Alessandro Gnocchi.
Pur colpito da un gravissimo male che non gli dava speranza, sino alla fine si era battuto per la fede, in difesa dei principi non negoziabili, e criticando certi atteggiamenti della gerarchia, compreso Papa Francesco, come sappiamo, suscitando scandalo nelle anime belle conformiste e sempre compiacenti nei confronti di qualsiasi potere.
Ma lo stesso pontefice, avvertito della gravità delle sua salute, lo aveva chiamato al telefono e Mario aveva così commentato: “Ero stupito, meravigliato, soprattutto commosso: per me, cattolico, quella che stavo vivendo era una delle esperienze più belle della vita. Ma ho sentito il dovere di ricordare al Papa che io, insieme a Gnocchi, avevo espresso delle critiche precise al suo operato, mentre rinnovavo la mia totale fedeltà in quanto figlio della Chiesa. Il Papa quasi non mi ha lasciato finire la frase, dicendo che aveva compreso che quelle critiche erano state fatte con amore e come fosse importante, per lui riceverle…”.
Ecco, a questo punto, possiamo ben capire come anche per Mario Palmaro si possano adattare le espressioni di Domenico Giuliotti: “La mia carità e armata… In questo libro violento non c’è odio. C’è disprezzo e collera per ciò che è falso e si dà per vero… Ma lo spettacolo del peccato, che si gloria di se stesso, m’infuria”…
Cattolico tradizionalista, Mario Palmaro? Diremmo più semplicemente: cattolico, apologeta e testimone della fede. E non gli diciamo addio, ma semplicemente facciamo nostro il saluto letto su Riscossa Cristiana: Sia lodato Gesù Cristo – anche se ormai non lo dicono più nemmeno i preti!
di Giovanni Lugaresi
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I media, e non soltanto quelli del mondo cattolico, di Palmaro e del suo sodale Alessandro Gnocchi, si sono occupati quando venne la cacciata da Radio Maria con una di quelle decisioni dittatoriali care ai direttori responsabili dei giornali del tempo che fu: senza preavviso e senza tante spiegazioni – e il modo ancor m’offende! – avevamo a suo tempo commentato.
Mario Palmaro era nato a Cesano Maderno il 5 giugno 1968, si era laureato in giurisprudenza all’Università di Milano con una tesi sull’aborto procurato, perfezionandosi quindi in bioetica all’Istituto San Raffaele. Già docente nel Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma, insegnava filosofia teoretica, etica e filosofia del diritto nell’Università Europea di Roma.
Collaboratore di varie testate, fra le quali, insieme a Gnocchi, il Foglio, il Giornale, Studi Cattolici.
Cattolico senza se e senza ma, tutto d’un pezzo, prediligeva in letteratura Guareschi e Chesterton.
Questa la succinta nota biografica, con l’aggiunta dei titoli di tanti libri e articoli scritti da solo o, appunto, con l’altro alfiere della retta dottrina, Alessandro Gnocchi.
Pur colpito da un gravissimo male che non gli dava speranza, sino alla fine si era battuto per la fede, in difesa dei principi non negoziabili, e criticando certi atteggiamenti della gerarchia, compreso Papa Francesco, come sappiamo, suscitando scandalo nelle anime belle conformiste e sempre compiacenti nei confronti di qualsiasi potere.
Ma lo stesso pontefice, avvertito della gravità delle sua salute, lo aveva chiamato al telefono e Mario aveva così commentato: “Ero stupito, meravigliato, soprattutto commosso: per me, cattolico, quella che stavo vivendo era una delle esperienze più belle della vita. Ma ho sentito il dovere di ricordare al Papa che io, insieme a Gnocchi, avevo espresso delle critiche precise al suo operato, mentre rinnovavo la mia totale fedeltà in quanto figlio della Chiesa. Il Papa quasi non mi ha lasciato finire la frase, dicendo che aveva compreso che quelle critiche erano state fatte con amore e come fosse importante, per lui riceverle…”.
Ecco, a questo punto, possiamo ben capire come anche per Mario Palmaro si possano adattare le espressioni di Domenico Giuliotti: “La mia carità e armata… In questo libro violento non c’è odio. C’è disprezzo e collera per ciò che è falso e si dà per vero… Ma lo spettacolo del peccato, che si gloria di se stesso, m’infuria”…
Cattolico tradizionalista, Mario Palmaro? Diremmo più semplicemente: cattolico, apologeta e testimone della fede. E non gli diciamo addio, ma semplicemente facciamo nostro il saluto letto su Riscossa Cristiana: Sia lodato Gesù Cristo – anche se ormai non lo dicono più nemmeno i preti!
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