(prima parte)
La volontà di decentrare ancor più il potere pontificio e frazionare l’autorità in una serie di poteri uguali e distinti quali le conferenze episcopali locali appare un passo decisivo verso quella collegialità tanto deprecata dai Concili e dai Padri in ogni epoca della Chiesa. Tanto più nell’attuale anomala condizione di un “co-papato”, non de iure ma de facto, primo ed unico caso nella storia. Le ultime immagini del primo concistoro nella storia della Chiesa presieduto da due Papi legittimamente eletti hanno allo stesso tempo toccato e scioccato. L’invenzione di un papa in carica e di un papa “emerito”, di un magistero papale attivo e di uno, per così dire, “passivo-contemplativo”, non ha convinto fra l’altro il buon Antonio Socci il quale, da diverse settimane sul suo blog sta giustamente ponendodei seri interrogativi in merito. Non ha tutti i torti il giornalista senese quando ricorda che tale sdoppiamento dell’esercizio del ministero petrino non ha alcun fondamento né teologico né canonico. Insomma non sta né in cielo né in terra.
Alcuni l’hanno definito come “l’ennesimo colpo al dogma del primato petrino” che tiene unito, in sostanza, tutto il “sistema-Chiesa”. Senza dubbio questa “doppia papalità” indebolisce l’importanza del Sommo Ponteficedeclassato, se non sul piano canonico, certamente sul piano del sensus communis, a mero primus inter pares. La sua autorità decisionale in materia di fede e di morale non sarebbe che quella di un vescovo fra gli altri. Esagerazioni? Leggiamo alcuni passaggi tratti dall’ultima esortazioneEvangelii gaudium: "Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente". La volontà, dunque, è chiaramente quella di traghettare la Chiesa Cattolica ad un organismo collegiale pluralistico di stampo federale.Tuttavia questo auspicio conciliare, osserva il Papa, "non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria". Ossia, non solo potere giurisdizionale alle conferenze episcopali ma anche autonomia dottrinale (come se già i vescovi non insegnassero tutto e il contrario di tutto!). Secondo l’auspicio di papa Francesco si dovrebbe, dunque, adottare una struttura ecclesiale federalista sul modello delle chiese “ortodosse” le quali sono autocefale per giurisdizione e per dottrina, organizzate appunto in “federazioni”.
Nel viaggio di ritorno da Rio, alla richiesta sul perché in Brasile non ha parlato di aborto, Francesco ha risposto: "Non era necessario. I giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa". A questo tipo di risposta, tuttavia, verrebbe da far notare: “Caro Papa, a suo figlio crede sia sufficiente dirgli una volta soltanto nella vita che deve fare i compiti e rimettere a posto la stanza, o non dovrà piuttosto con fatica e costanza ripeterlo fino alla nausea?”. Se questo vale in una famiglia in cui i figli sanno perfettamente come il padre la pensa, tanto più nella Chiesa attuale in cui i fedeli vivono, oggettivamente, nella più relativistica libertà d’opinione e non solo su questioni etiche ma sulle fondanti questioni della fede. Le generazioni di giovani, infatti, mutano ad una velocità crescente e non si può certamente affermare che sappiano già come la Chiesa la pensi in materia di aborto o anche di rapporti prematrimoniali dato che a seconda della parrocchia che vai, fede che trovi.
In questo scenario di anarchia dottrinale, di contraddizione in materia di fede e di morale alimentato dal frazionamento campanilista dei c.d. “movimenti ecclesiali”, l’unica preoccupazione dell’attuale pontificato è quella di aumentare ancora di più l’autonomia dottrinale e giuridica dei vescovi e delle chiese locali? Il discioglimento dell’autorità prelude al discioglimento dei valori e, quindi, della società. Una Chiesa “liquida”, dunque, che vorrebbe realizzare le aspirazioni di una tendenza che è sempre stata presente nelle frange più eterodosse della cattolicità. All’epoca del santo Concilio tridentino, ad esempio, la situazione era analoga alla presente: parte dell’episcopato premeva per la collegialità, la confusione dottrinale era diffusa (certo non come oggi) e tuttavia l’unica soluzione efficace fu di sottolineare la centralità del Sommo Pontefice e il rafforzamento del Papato, non la sua dissoluzione. Solo il Papa può riportare la barca di Pietro col vento in poppa, non delegare al nostromo o ai comandanti in seconda: il timone è stato dato a Lui. L’abbattimento del principio di autorità con il suo indispensabile accentramento, la moltiplicazione dei punti di riferimento che diventano punti di disorientamento, corrisponde a quella che è stata già definita la “svolta federalista di Francesco”. Il relativismo dottrinale e l’antidogmatismo sono i nuovi “dogmi” della Chiesa presente. Lo stesso presidente Napolitano ha elogiato l’antidogmatismo di papa Francesco. Un brivido ci corre lungo la schiena nell’assistere ai plausi del mondo al regnante pontefice, eletto personaggio dell’anno da “The Advocate”, la più nota ed antica rivista omosessuale americana la quale ha dichiarato: "Che piaccia o no", il suo "drastico cambiamento […] potrebbe avere un effetto duraturo sulla religione". Come dargli torto? Tanto più che sulle vetrine di alcune cliniche abortiste americane è apparsa questa frase in forma di slogan: “Chi sono io per giudicare?” firmato pope Francis.
Mistificazioni, manipolazioni, estrapolazioni, travisamenti, complotti? Inutile discutere sull’imprudenza del vescovo di Roma o sulla cattiva fede dei media. Noi ben sappiamo che “un albero si giudica dai frutti” e intanto ci risuonano assordanti le parole di Nostro Signore: “Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”(Lc 6,26).
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