Le convergenze tra il Papa e Putin
Sulla politica estera Francesco è cauto nei confronti di Obama, s’intende più con il presidente russo. Sull’Ucraina soltanto in parte, ma sulla Siria ben di più. Il caso delle dodici suore rapite, liberate e poi criticate
Domani il presidente americano Barack Obama sarà in Vaticano per parlare di dossier politici – crisi in Siria e Ucraina soprattutto – con un Papa che, secondo quanto mostrato in questo primo anno, sarà freddo e poco ricettivo con le sue posizioni. La cautela di Papa Francesco con il presidente americano è tale che potrebbe essere scambiata per una convergenza parallela con il presidente russo Vladimir Putin, che in Siria e Crimea è avversario di Washington.
In Ucraina i cristiani sono in molti casi schierati contro l’intervento militare russo in Crimea (ora diventata Russia) e a livello locale parlano con urgenza contro l’interferenza di Mosca. Dopo l’arrivo delle truppe russe (con divise anonime) il capo della chiesa cattolica di rito orientale ucraina, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, si appellò ai vertici internazionali della chiesa e ai leader dell’Unione europea per chiedere solidarietà “contro l’invasione dello stato sovrano dell’Ucraina in violazione di tutti i trattati” e avvertì che la fine della pace e della stabilità nel suo paese “potrebbe destabilizzare l’intero sistema mondiale della sicurezza”.
Due settimane più tardi Bronislav Biernacki, vescovo di Odessa e Sinferopoli, con un appello ai governi di tutto il mondo lanciato attraverso il Sir, il servizio di informazione religiosa, salì di livello nella scala d’allarme: “E’ insolito per la chiesa cattolica parlare della situazione politica di un paese, ma essendo cittadino ucraino e vescovo della diocesi che comprende la Crimea, non posso rimanere in silenzio in merito all’invasione russa del nostro paese. La Crimea era un luogo dove persone di molte nazioni diverse erano abituate a vivere in pace e in armonia. Ora è diventata luogo di odio nazionale e conflitti”.
Biernacki citò intenzionalmente due casi precedenti di guerre russe in Transnistria nel 1992 e in Georgia nel 2008. Il vescovo disse anche: “L’esercito russo ha invaso la Crimea e l’Unione europea e gli Stati Uniti si sono dichiarati ‘profondamente preoccupati’ e hanno ‘messo in guardia’ Putin. Il mondo parla, critica la Russia e ha fatto esattamente quello che Putin si aspettava, e cioè niente. Questa mancanza di reazione somiglia pericolosamente alla storia del 1933-1939, quando un’analoga mancanza di reazione ha portato alla Seconda guerra mondiale”.
La settimana scorsa l’arcivescovo Shevchuk è arrivato anche a Roma per parlare con Francesco, la settimana scorsa, ma nulla è trapelato dal loro incontro. Shevchuck non ha rilasciato interviste. L’ultimo messaggio pontificio sulla crisi risale all’inizio di marzo ed è un “un accorato appello rivolto alla comunità internazionale affinché sostenga ogni iniziativa in favore del dialogo e della concordia”.
Durante la crisi siriana le cose erano andate diversamente. Alla fine di agosto l’esercito del presidente Bashar el Assad bombardò con il gas nervino la periferia della capitale Damasco, controllata dai ribelli, uccidendo centinaia di civili. Davanti alla minaccia imminente di uno strike americano punitivo contro le infrastrutture militari di Assad, il Vaticano scelse una linea attiva ed esplicita, fino ad arrivare a una giornata di digiuno contro l’intervento di Washington e a parole di condanna come: “Sempre rimane il dubbio se questa guerra di qua o di là è davvero una guerra o è una guerra commerciale per vendere queste armi, o è per incrementarne il commercio illegale?”. Si trattò di un appoggio oggettivo alla linea scelta da Putin, che puntava a evitare a tutti i costi lo strike americano. La chiesa considera ancora Assad un protettore delle minoranze e teme la sua caduta perché ci sarebbero ripercussioni anche sul vicino Libano. A Raqqa, città del nord in mano al gruppo “Stato islamico”, gli islamisti costringono i cristiani a pagare una tassa, come ai tempi del Califfato – ma non rappresentano l’intera rivoluzione.
Il regime siriano ha con la minoranza cristiana un rapporto funzionale. Quando tre settimane fa le dodici suore di Maloula sono state liberate in cambio della scarcerazione di prigionieri, sono state maltrattate verbalmente dai fedelissimi del regime per avere detto di essere state trattate bene dai ribelli. Secondo un sito dell’opposizione, ora sono agli arresti domiciliari in una chiesa di Damasco. C’è persino il sospetto, indimostrabile, che abbiano collaborato volontariamente allo scambio, lasciandosi considerare ostaggi in pericolo fino alla fine dei negoziati.
La settimana scorsa l’arcivescovo Shevchuk è arrivato anche a Roma per parlare con Francesco, la settimana scorsa, ma nulla è trapelato dal loro incontro. Shevchuck non ha rilasciato interviste. L’ultimo messaggio pontificio sulla crisi risale all’inizio di marzo ed è un “un accorato appello rivolto alla comunità internazionale affinché sostenga ogni iniziativa in favore del dialogo e della concordia”.
Durante la crisi siriana le cose erano andate diversamente. Alla fine di agosto l’esercito del presidente Bashar el Assad bombardò con il gas nervino la periferia della capitale Damasco, controllata dai ribelli, uccidendo centinaia di civili. Davanti alla minaccia imminente di uno strike americano punitivo contro le infrastrutture militari di Assad, il Vaticano scelse una linea attiva ed esplicita, fino ad arrivare a una giornata di digiuno contro l’intervento di Washington e a parole di condanna come: “Sempre rimane il dubbio se questa guerra di qua o di là è davvero una guerra o è una guerra commerciale per vendere queste armi, o è per incrementarne il commercio illegale?”. Si trattò di un appoggio oggettivo alla linea scelta da Putin, che puntava a evitare a tutti i costi lo strike americano. La chiesa considera ancora Assad un protettore delle minoranze e teme la sua caduta perché ci sarebbero ripercussioni anche sul vicino Libano. A Raqqa, città del nord in mano al gruppo “Stato islamico”, gli islamisti costringono i cristiani a pagare una tassa, come ai tempi del Califfato – ma non rappresentano l’intera rivoluzione.
Il regime siriano ha con la minoranza cristiana un rapporto funzionale. Quando tre settimane fa le dodici suore di Maloula sono state liberate in cambio della scarcerazione di prigionieri, sono state maltrattate verbalmente dai fedelissimi del regime per avere detto di essere state trattate bene dai ribelli. Secondo un sito dell’opposizione, ora sono agli arresti domiciliari in una chiesa di Damasco. C’è persino il sospetto, indimostrabile, che abbiano collaborato volontariamente allo scambio, lasciandosi considerare ostaggi in pericolo fino alla fine dei negoziati.
Leggi anche Ferraresi Appunti per il Papa su Obama
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