~ SE LA CHIESA DI ROMA DIVENTA OLTREOCEANO UNA SETTA PROTESTANTE. ~
RACCONTAVA NEGLI ANNI TRENTA
MARIO SOLDATI …~
Pare ad alcuni cattolici d’esser giunti alla definitiva e completa
protestantizzazione della Chiesa di Roma, una resa al verbo di Lutero di cui si
incolpa il Concilio novecentesco e la cultura che ne è scaturita in questi
ultimi decenni. Così è invalsa l’abitudine di mettere la sbarra che separa
l’epoca in quei primi anni sessanta che videro l’assemblea universale dei
vescovi rincorrere in modo patetico il mondo moderno. E sarà pure una giusta
periodizzazione purché non si dimentichi strada facendo che il disorientamento
moderno aveva inferto duri colpi alla Chiesa anche nella prima metà del
Novecento, nonostante la forma resistesse, nonostante la corazza d’oro della
tradizione contribuisse a darle un residuo fiato. E anzi, ben più indietro, già sul finire del
XVIII secolo si erano verificati crolli mai visti nella sua millenaria storia,
crolli delle architetture dottrinarie e istituzionali, crolli seguìti dall’arresto di cardinali e quindi del papa
stesso, con la deportazione del pontefice, l’abbattimento del potere romano, la
riforma del clero intrapresa dai vescovi passati dalla parte dell’impero, la
dissoluzione della universalità cattolica sostituita dal nuovo mondo
conquistato delle armate rivoluzionarie. Furono episodi storici, parentesi
tragiche cui seguì il ritorno dei papi a Roma, la restaurazione della sovranità
petrina, la riaffermazione in chiave dogmatica delle verità cattoliche, ma l’impianto
era ormai fragile: a Chateaubriand bastò assistere a una messa pontificale del
papa per avvertire un senso di morte nei Palazzi Apostolici. D’altronde, di lì
a poco si registrarono altre devastazioni, il papa fu di nuovo imprigionato nel
suo Vaticano, questa volta dalle truppe di uno staterello come il Regno dei
Piemontesi. L'Europa non reagì. Insomma, neppure la fulgida ostinazione del beato Pio IX e dei suoi
immediati successori nell’arroccarsi contro le lusinghe della modernità
produssero frutti troppo proficui. L’isolamento di Roma, cioè, era più profondo
di quanto apparisse in superficie, lo stesso termine ‘cattolicesimo’ copriva
differenze notevoli, equivoci, avversioni segrete, semplici incomprensioni.
Senza approfondire la faccenda dal punto di vista teologico e
filosofico – l’«Almanacco» si arresta sulla soglia della cultura cattolica, ne
raccoglie appena qualche spunto storico –, ci piace portare la testimonianza di
un letterato italiano negli anni trenta del Novecento, trascrivere la sua
inquietudine di fronte alle metamorfosi della Chiesa di Roma oltreoceano.
Benché educato dai gesuiti, anzi con una giovanile vocazione a entrare nella
Compagnia, Mario Soldati in quegli anni si dichiarava agnostico, eppure nel suo
brillantissimo America primo amore
leggiamo un singolare capitoletto intitolato «Cattolici americani» dove si
avverte che lontano da Roma, alla periferia esistenziale del mondo, anche la
religione ‘papista’ viene contraffatta, suscitando la reazione del giovanotto
che veniva dal Vecchio Continente. Qui in Europa, alla fine del Novecento, c’era
chi provava scandalo per il sincretismo
degli «incontri di Assisi», e perfino un dottissimo prefetto del Sant’Uffizio
se ne dichiarò perplesso; negli Usa
simili adunanze erano scontate sin dagli anni della fondazione.
(Del racconto di Soldati riportiamo alcuni passi, con le tante
maiuscole dell’autore, con i suoi vezzi di tradurre ‘street’ con
l’italo-americano ‘strade’, dalla edizione Einaudi del 1945.)
«Mi ritrovai di passaggio a New
York la mattina dell’otto dicembre: alcuni lettori penseranno subito che è la
data dell’Immacolata Concezione, festa di precetto, obbligo di Messa. Mi era
compagna una persona praticante. Lasciammo l’albergo Newyorker per andare alla
più vicina Chiesa Cattolica, a 33 Strade. Ma giungemmo nel momento che la Messa era finita e ci
scontrammo sulla soglia coi fedeli che uscivano avviandosi frettolosi al
lavoro: l’America è un paese protestante e l’otto dicembre non è festa. La
persona che mi accompagnava era seccata, non c’erano Messe fino alle 10, la
mattina andava a soqquadro. Ma ecco si avvicina un signore grasso, occhialuto,
tipico yankee, e orologio alla mano come per dare lo start in una competizione
sportiva e per dire all’amico ritardatario che il treno parte tra cinque minuti:
“C’è una Messa qui, all’angolo di 51 Strade e Settima Avenue, andate giù due
blocchi, girate a sinistra, state attenti, la Chiesa non ha facciata, c’è una reclame luminosa,
Padri Francescani, entrate dalla porticina…” […].
«L’entrata della Chiesa era
proprio come nella descrizione. In fondo al tratto di 33 Strade compreso tra
l’Ottava e la Settima,
dopo garages, tipografie, case di spedizioni, traffico di camions, operai in
tuta che attendevano ai primi lavori del mattino: una réclame al neon, azzurra
e vermiglia: The Capuchins – Franciscan Fathers – Roman Catholic Church.
«L’interno: pilastroni e ogive a
fasciature complicate, stile gotico inglese, lo stesso delle chiese protestanti
salvo il colore: una generale rivestitura di stucchi bianchissimi invece del
nudo e cupo cemento. E sorprendevano, agli altarini laterali, le tradizionali
statue di biscuit colorato, di San Giuseppe, dell’Addolorata, del Sacro Cuore,
mazzi di fiori finti, i grandi piatti di stagno dove una moltitudine di
candelotti infilati ardevano a varie altezze.
«Conosciamo da anni le chiese
cattoliche degli States. Eppure, ogni volta, il primo istante che lasciamo il
marciapiede avventuroso e l’atmosfera violenta di una via di una città
americana per entrare in una chiesa cattolica, ritrovarsi faccia a faccia con
la vecchia iconografia transoceanica pare un goffo anacronismo, un assurdo
macabro.
«Ricordiamo che […] gli Stati
Uniti da soli danno più soldi all’Obolo di San Pietro di tutto il resto del
mondo cattolico messo insieme. […]
«… il Cattolicesimo, in America,
se volesse conservare lo spirito di Roma, se volesse essere un vero
Cattolicesimo, ci starebbe come i cavoli a merenda e cioè non ci starebbe
affatto. Per vivere deve trasformarsi sotto l’influenza della religione americana,
diventare in sostanza una specie di setta protestante. Intendiamoci bene: nulla di cambiato, nulla di eretico nel dogma
e nelle formule. E i cattolici americani sono, quanto ad adempimento delle
pratiche, infinitamente più esatti dei nostri. Probabilmente sono anche molto
più buoni, più casti, più ordinati, più caritatevoli. Commettono molto meno
peccati. Ma è più cattolico lo stile di una bagascia di Trastevere che quello
di una monaca di Chicago. Gratta gratta, ha più fede quella di questa.
«Non si arrabbi la Propaganda Fide.
Tra il 1583 e il 1610 il padre Matteo Ricci S.J. convertiva trionfalmente i
cinesi inventando un rito cattolico-cinese. Sulle sue orme, tra il 1605 e il
1656 il padre Roberto de’ Nobili conquistava il Maduré. E tra il 1672 e il 1693
il padre Juan de Britto il Malabar. A poco a poco tutta la Cina, la Concina e l’India furono
in mano dei gesuiti, che non contrastavano, ma soltanto modificavano il culto
locale, e si facevano passare in India per bramini e saniassi, in Cina per bonzi.
«Frattanto, in Europa, i
giansenisti menavano scandalo. I francescani e domenicani protestavano presso
il Vaticano. E lungo tempo fu dibattuta la questione. Finché, nel 1742 (bolla Ex quo singulari) e nel 1744 (bolla Omnium sollicitudinum) Benedetto XIV
proibì, sotto pena di scomunica, le cerimonie cinesi e i riti malabraici.
«I gesuiti obbedirono. E furono
cacciati dall’India e dalla Cina, che tornarono a Brama e Confucio, perché di
Brama e Confucio erano rimaste, nonostante da un secolo e mezzo invocassero la Madonna e ottemperassero
irreprensibilmente alle pratiche essenziali della nostra religione. Benedetto
aveva capito questo, e aveva preferito non annoverar pecorelle nella lontana
Cina che accogliere sotto il proprio manto tutto un gregge di buonissime e
zelantissime che però non erano vere pecorelle, bensì il frutto dei geniali
trucchi dell’ardente Compagnia di Gesù. Ma si vede che nel secolo XVIII l’Obolo
di San Pietro poteva fare a meno dei mandarini.
«Un ciabbattìo mi riscuote: è
entrato il celebrante. Tutti i fedeli, come un sol uomo, si levano. L’accolito,
premendo alcuni bottoni, fa suonare campanelle elettriche simili ai segnali
orari delle nostre radio. All’Introito tutti s’inginocchiano; al Vangelo si
levano; al Laus tibi Christe siedono, ecc. compiendo queste manovre con una
simultaneità meccanica, che da noi non troviamo neppure nei noviziati. Così si comunicano
e così si confessano. Immaginiamo i peccati standardizzati che dicono. E del
resto i sacerdoti americani non possono capire, classificare e perdonare che
delle colpe, come dire? regolari. Un fervente cattolico europeo soffrirebbe a
confessarsi da un prete americano: lo troverebbe, indipendentemente da severità
e indulgenza, disumano.
«Inversamente, i cattolici
americani che vengono a Roma, non credono ai loro occhi: stentano a riconoscere
nel nostro il loro stesso Cattolicesimo, nella Chiesa romana la Romana Chiesa; e devono
compiere veri sforzi di buona volontà per non tornarsene a casa con la
convinzione che il Vaticano sia culla di scandali ed eresie. Generalmente se la
cavano con la teoria delle minoranze.
«“Siccome in Italia e in Francia
tutti sono cattolici, si capisce che saranno cattolici non solo i buoni, ma
anche i cattivi cittadini, i ladri, i libertini, le ragazze non tanto serie. Ma
in America, al nostro paese, c’è la concorrenza coi protestanti e noi cattolici
dobbiamo per forza mantenere una perfetta condotta morale, se vogliamo
sostenere che la nostra religione è la sola vera. Oh! certamente… i cattolici americani
sono i migliori cattolici di questo mondo!”.
«Sono frasi che ho fonografate,
dopo la Messa
di mezzogiorno, uscendo dalla Basilica di San Giovanni in Laterano. Era
d’estate: per tutto il tempo della Messa, all’altare dove si stava celebrando,
due ragazzini seminudi ornarono i gradini della balaustra. Scherzavano, giocavano,
si muovevano snelli e graziosi come bestiole, facevano le boccacce ai fedeli.
Le pie signore americane erano al colmo dell’indignazione. […] Chi non ricorda
i putti di Raffaello ai piedi della Madonna Sistina? Il mento in mano, i gomiti
puntati, guardano distratti il pubblico con una innocenza che gli occhi delle
vecchie miss, dietro le lenti e la grata delle dita incrociate, non ne hanno il
più piccolo riflesso.
«Roman Catholic! La scritta al
neon mi fa pena. Non per altro che per la tradizione, il decoro, la nostalgia
di una fede che fu la mia. E mi fa pena la restrizione mentale e pittoresca di
questi Capuchins (Cappuccini) che, per non contravvenire alla regola d’ordine e
insieme non offendere troppo i gusti americani, portano pizzettini curatissimi
e si rasano ogni mattina collo e gote.
«Oh i bei barboni di via Veneto e
del mio Monte! Dalla sagrestia odorosa di muffa e di incenso secolare, sotto un
cartello oblungo, nero e oro, dove è ancora il Silentium dei pomeriggi del
soleggiato Seicento, appaiono qua e là per gli stalli del coro, nella penombra
marrone solcata da raggi polverosi, i solenni fratoni in preghiera. Volti
scolpiti dalle gioie e dalle sofferenze della vita; orbite scavate in fondo a
cui brillano le pupille come dal segreto abisso dei confessionali; barbe
fluttuanti che paiono nascondere il bene e il male componendoli in nobili
armonie: nei cappuccini italiani vive ancora, se non l’anima e la dottrina, un nostalgico
fantasma della Controriforma.
«Antica pace e verità, sommerse,
come un ricordo della prima puerizia, nel fluire disordinato di tre secoli. Mai
più potremo, a volta a volta, peccare e pentirci: uccidere chi ci è odioso
sulla soglia di un convento e súbito, entrati, con sincere lacrime sentirci
assolti. O San Pietro, primo degli Apostoli, caduti sono da tempo i Tuoi
altari. Sotto il colonnato che Bernini Ti dedicò, ormai gli spazzini del
governatorato puliscono accuratamente ogni mattina. La morale ha fatto passi da
gigante. C’è una gran vigilanza: le serve a Te care più non osano nascondersi
col focoso soldato tra colonna e colonna, le dolci sere di primavera. E le
pellegrine americane arricciano il naso quando vedono i nostri Cappuccini:
pensano al bagno quotidiano.
«Panem nostrum quotidianum da
nobis hodie, il celebrante sull’altare aspira l’h di hodie. Glabri
maggiordomi in tight passano stendendo tra i banchi le rosee mani: esigono da
ogni fedele un quarto di dollaro. I cattolici poveri, in America, non possono
entrare in tutte le Chiese cattoliche.
Devono andare nelle loro chiese per i poveri diavoli, nelle chiese dei
gangsters perseguitati: delle mogli e
delle sorelle dei gangsters, i giorni pericolosi che soltanto più la Madonna di Pompei può far
la grazia e salvare Tony dalla mitraglia dei nemici o dalle manette della
polizia federale.
«Gli organizzatori, i dirigenti
del Cattolicesimo americano sono corrotti fino in fondo dallo spirito protestante. Nella maggioranza dei casi le
forme sono salve e non possiamo intentare un processo alle intenzioni. Ma
quando, sui giornali della domenica, la pagina riservata alla pubblicità dei
Culti riunisce insieme ad una quarantina di sette protestanti e alle sette
ebraiche e a quelle massoniche, l’annunzio delle funzioni Roman Catholic, dove
questi due grandi esclusivi attributi sono stampati nello stesso carattere di
certe abominevoli aberrazioni come Christian Science o i vari crocchi dei
Teosofi – allora la nostra inconscia dignità cattolica si ribella, vincendo gli
scetticismi: invochiamo da Roma provvedimenti disciplinari. Scomunicare, il
Successor di Piero dovrebbe, scomunicare quegli eretici.
«Proibire, il giorno della
commemorazione dei Caduti in Guerra, proibire al Sacerdote cattolico di intervenire
alla cerimonia e di recitare il nostro De Profundis accanto al borbottio del
rabbino e all’enfasi del ministro episcopale. Proibire alle università dei
Gesuiti (perfino i Gesuiti sono sradicati) di farsi réclame reclutando i
migliori giocatori di foot-ball. Scatenare ancora una volta la potenza
dell’anatema. Forse. Lo trattiene la paura di non far colpo. Ma è certo che più
aspetta, peggio è. Verrà un giorno che ci sarà obbligato. Ma forse sarà troppo
tardi». (pp.179-185)
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