GIOVANNI XXII E GIOVANNI PAOLO II
Quella del 27 aprile sarà la canonizzazione del Concilio
di Lorenzo Maria Alvaro
Parla Riccardo Cristiano, vaticanista di Radio Rai. «In piazza domenica ci saranno i Papi santi e Papa Francesco. I principali timonieri del Vaticano II, che hanno accompagnato la Chiesa e il mondo attraverso cambiamenti epocali»
Domenica 27 aprile Piazza San Pietro sarà teatro di un evento unico nella storia. Sarà il giorno in cui due Papi, Giovanni XXIII eGiovanni Paolo II diventeranno Santi, e a canonizzarli saranno altri due Pontefici, Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto XVI. Un momento storico unico che non ha mai avuto precedenti e difficilmente sarò possibile rivedere. Per commentare un così particolare evento Vita.it ha chiesto a Riccardo Cristiano, vaticanista di Radio Rai
Quello che accadrà in Vaticano il 26 aprile sarà un momento unico. La canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXII celebrata da Papa Francesco e dal Papa emerito Benedetto XVI è qualcosa che non si è mai visto nella storia...
Si, la canonizzazione dei Papi è un fatto abbastanza recente. Due insieme è raro. Quattro Papi in piazza è senza precedenti. Non c'è dubbio. Però di questo evento a me sembra che la cosa che più colpisce è un'altra.
Quale?
Anche se non bisogna dimenticarsi di Paolo VI, la cui canonizzazione sarà l'anno prossimo, possiamo dire che in piazza il 27 ci saranno i tre Papi che hanno traghettato il mondo nelle più difficili e insidiose sfide sia per la Chiesa che per il mondo. Una triade quella di Giovanni XXII, Giovanni Poalo II e Francesco che in piazza riassumerà lo sguardo del mondo, che poi è il nostro a prescindere dell'identità religiosa, sulla realtà in movimento di questi decenni. C'è il mondo diviso in blocchi che si contrappongono, il mondo in cui i blocchi si sgretolano, e il mondo alle prese con la ricerca di un nuovo ordine nell'epoca della globalizzazione.
Francesco dunque è già nella storia?
La rilevanza di Francesco è che sta cercando un nuovo ordine globale. Anche questo è un fatto un po' strano: nell'era globalizzata non c'è un ordine globale. Da questo punto di vita mi ha colpito molto che nell'anticipazione del libro di Parolin, che uscirà nei prossimi giorni, si parla della riforma dell'Onu. Una scelta significativa. Mi sembra un punto di arrivo in cui queste canonizzazione stanno in modo naturale.
Perché?
Perché Giovanni XXII è il Papa della “Pacem in Terris” e del superamento della teoria della guerra giusta. Nell'epoca della possibile guerra nucleare la guerra giusta non esiste più. Giovanni Paolo II invece è quello della autodeterminazione dei popoli. Il superamento della cortina di ferro senza la tragedia bellica. E poi c'è Papa Francesco, alle prese con una sorta di caos globale cui cercare di dare ordine. Non a caso si tratta del primo Papa non europeo
Perché canonizzare due Papi tanto amati e tanto diversi insieme?
Io credo che si possa vedere tutto in due modi. O dal buco della serratura, andando a sindacare ogni piccolo particolare della faccenda. Ma si può anche guardare l'evento in sé, con uno sguardo ampio, valutando il valore di quello che succede, da un punto di vista storico e di significato. Se usiamo questo sguardo il valore di quello che succede a me sembra un fatto evidente. Si è chiuso il '900 e domenica noi avremo queste grandi fasi che vengono a congiungersi in un momento delicatissimo della storia della Chiesa e della storia del mondo. Vederla in modo troppo intra ecclesiale fa perdere le giuste proporzione. Pur essendo Papi il loro ruolo è stato senza dubbio di protagonisti storici.
C'è chi pensa che i due Papi santi riassumano le due anime della Chiesa: quella petrina e quella paolina. È così?
Ci sono diverse sensibilità. È normale. Questo è innegabile, contestarlo sarebbe un po' far finta di non vedere. Quindi certamente esistono queste due anime
Una dicotomia che si può rintracciare anche nei celebranti?
Questo lo vedo di meno. Mentre una diversa sintonia tra orientamenti decisamente c'è, e sarebbe strano che non ci fosse, il fatto dei due Papi odierni è il prodotto di un altro accadimento storico: quello delle dimissioni. Guardandolo da un punto di vista di temi si dovrebbe parlare di un progressista e di un conservatore. Ma è anche vero che quello cosiddetto conservatore ha fatto il gesto più rivoluzionario e progressista di tutti con il passo indietro. Ma anche qui, quando si arriva di fronte a fatti di questa portata, è bene cambiare lenti con cui osserviamo. Altrimenti sfugge il significato. Dobbiamo guardare a questo evento con lenti che ci permettano di capire questo evento dove va e cosa significa.
Quindi la canonizzazione in tandem secondo lei è anche un messaggio che ha rilevanza politica?
Si certo. Se ci fosse stato un evento diverso. Immaginiamo la canonizzazione di uno solo dei due. Sarebbe stata un'altra cosa. Prende un significato proprio per la contestuale presenza di due Papi, che uniti a quello in cattedra, danno un senso di una prospettiva epocale. Prospettiva data da quello che hanno avviato e portato avanti in un periodo storico che ha vissuto cambiamenti eccezionali.
Carlo Maria Martini però non era d'accordo con la canonizzazione dei Papi. Tema su cui l'allora cardinale Bergoglio era d'accordo...
Le perplessità sulla canonizzazione dei Papi erano della Chiesa in quanto tale più che di singoli prelati. Perché l'idea stessa di un Papa santo può essere percepita come un'autoglorificazione. Nascono anche interrogativi, come: ma allora perché alcuni lo sono e altri no? È un argomento molto convincente quello di Martini. Anche se, ne parlavo con Melloni in un’intervista, e lui mi ha detto, che anche lui ha ricostruito la storia di come c'è sempre stata una certa criticità su questo tema. Ma secondo lui non è questo il caso. Qui siamo in una dinamica di canonizzazione del Concilio Vaticano II. In un registro di canonizzazione del governo del cambiamento. È un'idea interessante. Non so se Martini abbia parlato anche di questo, ma non mi sembra. Non sapevo che Bergoglio fosse d'accordo con lui. Ma è una tematica presente da tempo. È naturale che ci siano dubbio. Ma se la canonizzazione è legata al governo della Chiesa la storia è totalmente diversa e supera queste problematiche.
Il giorno dopo inizierà la riforma della curia. I primi mesi di Papa Francesco al soglio di Pietro fanno pensare ad un vera rivoluzione. Sarà così?
Credo che l'idea di riforma si cominci già ad intravedere. Il segretario di Stato ad esempio è diventato un po' come il Segretario di Stato americano. Il titolare della politica estera. Senza contare che Parolin entra nell'organismo dello Ior ma non lo presiede al contrario di prima. Pell è il nuovo del dicastero dell'economia. Prima non c'era una figura del genere. Poi ci sarà un “Mediator cuirae”, una specie di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. A questi ruoli si affianca il famoso G8 che risponde ad un principio di sinodalità. Quelli del G8 chi sono: i rappresentanti delle macro regioni ecclesiali. Dunque la macro struttura si comincia a vedere in questo duplice rapporto tra i responsabili delle grandi aree tematiche e quelli delle grande aree geografiche. Quindi un governo curiale e territoriale che si incrociano. Se così fosse comunque lunedì dovrebbe cominciare a delinearsi chiaramente.
http://www.vita.it/mondo/religioni/quella-del-27-aprile-sar-la-canonizzazione-del-concilio.html
Si, la canonizzazione dei Papi è un fatto abbastanza recente. Due insieme è raro. Quattro Papi in piazza è senza precedenti. Non c'è dubbio. Però di questo evento a me sembra che la cosa che più colpisce è un'altra.
Quale?
Anche se non bisogna dimenticarsi di Paolo VI, la cui canonizzazione sarà l'anno prossimo, possiamo dire che in piazza il 27 ci saranno i tre Papi che hanno traghettato il mondo nelle più difficili e insidiose sfide sia per la Chiesa che per il mondo. Una triade quella di Giovanni XXII, Giovanni Poalo II e Francesco che in piazza riassumerà lo sguardo del mondo, che poi è il nostro a prescindere dell'identità religiosa, sulla realtà in movimento di questi decenni. C'è il mondo diviso in blocchi che si contrappongono, il mondo in cui i blocchi si sgretolano, e il mondo alle prese con la ricerca di un nuovo ordine nell'epoca della globalizzazione.
Francesco dunque è già nella storia?
La rilevanza di Francesco è che sta cercando un nuovo ordine globale. Anche questo è un fatto un po' strano: nell'era globalizzata non c'è un ordine globale. Da questo punto di vita mi ha colpito molto che nell'anticipazione del libro di Parolin, che uscirà nei prossimi giorni, si parla della riforma dell'Onu. Una scelta significativa. Mi sembra un punto di arrivo in cui queste canonizzazione stanno in modo naturale.
Perché?
Perché Giovanni XXII è il Papa della “Pacem in Terris” e del superamento della teoria della guerra giusta. Nell'epoca della possibile guerra nucleare la guerra giusta non esiste più. Giovanni Paolo II invece è quello della autodeterminazione dei popoli. Il superamento della cortina di ferro senza la tragedia bellica. E poi c'è Papa Francesco, alle prese con una sorta di caos globale cui cercare di dare ordine. Non a caso si tratta del primo Papa non europeo
Perché canonizzare due Papi tanto amati e tanto diversi insieme?
Io credo che si possa vedere tutto in due modi. O dal buco della serratura, andando a sindacare ogni piccolo particolare della faccenda. Ma si può anche guardare l'evento in sé, con uno sguardo ampio, valutando il valore di quello che succede, da un punto di vista storico e di significato. Se usiamo questo sguardo il valore di quello che succede a me sembra un fatto evidente. Si è chiuso il '900 e domenica noi avremo queste grandi fasi che vengono a congiungersi in un momento delicatissimo della storia della Chiesa e della storia del mondo. Vederla in modo troppo intra ecclesiale fa perdere le giuste proporzione. Pur essendo Papi il loro ruolo è stato senza dubbio di protagonisti storici.
C'è chi pensa che i due Papi santi riassumano le due anime della Chiesa: quella petrina e quella paolina. È così?
Ci sono diverse sensibilità. È normale. Questo è innegabile, contestarlo sarebbe un po' far finta di non vedere. Quindi certamente esistono queste due anime
Una dicotomia che si può rintracciare anche nei celebranti?
Questo lo vedo di meno. Mentre una diversa sintonia tra orientamenti decisamente c'è, e sarebbe strano che non ci fosse, il fatto dei due Papi odierni è il prodotto di un altro accadimento storico: quello delle dimissioni. Guardandolo da un punto di vista di temi si dovrebbe parlare di un progressista e di un conservatore. Ma è anche vero che quello cosiddetto conservatore ha fatto il gesto più rivoluzionario e progressista di tutti con il passo indietro. Ma anche qui, quando si arriva di fronte a fatti di questa portata, è bene cambiare lenti con cui osserviamo. Altrimenti sfugge il significato. Dobbiamo guardare a questo evento con lenti che ci permettano di capire questo evento dove va e cosa significa.
Quindi la canonizzazione in tandem secondo lei è anche un messaggio che ha rilevanza politica?
Si certo. Se ci fosse stato un evento diverso. Immaginiamo la canonizzazione di uno solo dei due. Sarebbe stata un'altra cosa. Prende un significato proprio per la contestuale presenza di due Papi, che uniti a quello in cattedra, danno un senso di una prospettiva epocale. Prospettiva data da quello che hanno avviato e portato avanti in un periodo storico che ha vissuto cambiamenti eccezionali.
Carlo Maria Martini però non era d'accordo con la canonizzazione dei Papi. Tema su cui l'allora cardinale Bergoglio era d'accordo...
Le perplessità sulla canonizzazione dei Papi erano della Chiesa in quanto tale più che di singoli prelati. Perché l'idea stessa di un Papa santo può essere percepita come un'autoglorificazione. Nascono anche interrogativi, come: ma allora perché alcuni lo sono e altri no? È un argomento molto convincente quello di Martini. Anche se, ne parlavo con Melloni in un’intervista, e lui mi ha detto, che anche lui ha ricostruito la storia di come c'è sempre stata una certa criticità su questo tema. Ma secondo lui non è questo il caso. Qui siamo in una dinamica di canonizzazione del Concilio Vaticano II. In un registro di canonizzazione del governo del cambiamento. È un'idea interessante. Non so se Martini abbia parlato anche di questo, ma non mi sembra. Non sapevo che Bergoglio fosse d'accordo con lui. Ma è una tematica presente da tempo. È naturale che ci siano dubbio. Ma se la canonizzazione è legata al governo della Chiesa la storia è totalmente diversa e supera queste problematiche.
Il giorno dopo inizierà la riforma della curia. I primi mesi di Papa Francesco al soglio di Pietro fanno pensare ad un vera rivoluzione. Sarà così?
Credo che l'idea di riforma si cominci già ad intravedere. Il segretario di Stato ad esempio è diventato un po' come il Segretario di Stato americano. Il titolare della politica estera. Senza contare che Parolin entra nell'organismo dello Ior ma non lo presiede al contrario di prima. Pell è il nuovo del dicastero dell'economia. Prima non c'era una figura del genere. Poi ci sarà un “Mediator cuirae”, una specie di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. A questi ruoli si affianca il famoso G8 che risponde ad un principio di sinodalità. Quelli del G8 chi sono: i rappresentanti delle macro regioni ecclesiali. Dunque la macro struttura si comincia a vedere in questo duplice rapporto tra i responsabili delle grandi aree tematiche e quelli delle grande aree geografiche. Quindi un governo curiale e territoriale che si incrociano. Se così fosse comunque lunedì dovrebbe cominciare a delinearsi chiaramente.
http://www.vita.it/mondo/religioni/quella-del-27-aprile-sar-la-canonizzazione-del-concilio.html
Vaticano
La chiesa di Bergoglio e il bisogno dei papi santi
La Repubblica - Spogli
La chiesa di Bergoglio e il bisogno dei papi santi
La Repubblica - Spogli
(Vito Mancuso) Tra le religioni monoteiste è solo il cristianesimo a conoscere il fenomeno della santità, che invece rimane del tutto sconosciuto all’ebraismo e all’islam. Non che in queste due grandi religioni non vi siano stati e non vi siano uomini e donne di grande spessore spirituale, ma né l’ebraismo né l’islam nel riconoscerne il valore hanno mai sentito l’esigenza di dichiararli “santi”.
Per queste due religioni infatti la santità appartiene per definizione solo a Dio, e l’uomo, fosse anche il migliore di tutti, fosse anche il profeta Elia o il profeta Muhammad, non può strutturalmente partecipare al divino, e quindi può essere sì giusto, osservante, devoto, ma mai può essere santo. Il cristianesimo al contrario crede nella possibilità della comunione ontologica tra il divino e l’umano.
Di una comunione cioè che non riguarda solo la volontà del credente ma giunge a comprenderne anche l’essere. In questo senso si può dire che la santità è una conseguenza dell’incarnazione, del farsi uomo da parte di Dio in Gesù di Nazaret: come il Figlio infatti da vero Dio è diventato uomo, così i suoi discepoli migliori da semplici uomini giungono alla possibilità di partecipare alla condizione divina denominata santità. C’è molto ottimismo, c’è molta simpatia verso l’uomo, nel dichiararne la santità.
E non è certo un caso che tra le diverse forme di cristianesimo siano in particolare il cattolicesimo e l’ortodossia a insistere sulla santità, che invece è quasi del tutto dimenticata nel protestantesimo la cui teologia è perlopiù caratterizzata da un’antropologia pessimista secondo cui l’uomo non potrà mai giungere a una natura pienamente riconciliata (per Lutero si è sempre simul iustus et peccator , il male cioè non può essere mai del tutto sradicato neppure nel migliore dei giusti).
In questa prospettiva il cattolicesimo mostra una grande affinità con l’induismo, per il quale la comunione tra il divino e l’umano è all’ordine del giorno, e con il buddhismo, per il quale la natura di Buddha appartiene di diritto a ogni essere umano. E infatti entrambe queste grandi religioni conoscono, come il cattolicesimo, il fenomeno della santità, fino a giungere a condividere l’appellativo “Sua Santità” che appartiene tanto al Romano pontefice quanto al Dalai Lama, mentre l’appellativo Mahatma (grande anima) riservato dall’induismo ai suoi figli migliori è solo un altro modo di dichiararne la santità.
Che cosa contraddistingue allora la santità cattolica? La risposta è la Chiesa, ovvero il fatto che la santità non viene riconosciuta dal basso, dal popolo, per gli evidenti meriti del maestro, come fu il caso di Gandhi chiamato Mahatma già in vita, ma diviene tale solo in seguito a una formale dichiarazione della gerarchia ecclesiastica detta canonizzazione.
E qui si inserisce, oltre alla dimensione teologico-spirituale dichiarata sopra, la valenza politica del fenomeno santità. La politica infatti ha sempre giocato un grande ruolo nella storia della Chiesa alla prese con la dichiarazione della santità dei suoi figli migliori. Nel bene e nel male. Si pensi nel primo caso alla rapidissima canonizzazione di Francesco d’Assisi, proclamato santo a neppure due anni dalla morte. E si pensi nel secondo caso alla canonizzazione dell’imperatore Costantino o alla beatificazione di Carlo Magno, uomini di immenso potere, dalla vita non proprio integerrima e tuttavia elevati agli onori dell’altare.
La canonizzazione da parte del papato di propri esponenti, compresa quella di domenica prossima, rientra alla perfezione in questa prospettiva dalla forte connotazione politica: degli otto pontefici del ‘900 ormai ben tre (Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II) sono diventati santi e tre sono sulla via per diventarlo (Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I), lasciando peraltro la memoria degli altri due (Benedetto XV e Pio XI) in grave imbarazzo.
Aveva del tutto torto il cardinal Martini a essere contrario alla canonizzazione dei papi recenti? Tanto più che la politica ecclesiastica non si esprime solo sulle canonizzazioni in positivo, ma anche su quelle in negativo, sull’esclusione cioè di chi meriterebbe di essere riconosciuto santo ma non lo diviene. È il caso di monsignor Oscar Romero, ucciso dagli squadroni della morte il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa nella cattedrale di San Salvador per la difesa dei diritti dei poveri, e mai beatificato da Giovanni Paolo II, che anzi in vita l’umiliò, né in seguito da Benedetto XVI. Ed è il caso di Helder Camara, il vescovo di Recife, nel nord del Brasile, famoso per la sua lotta a favore degli ultimi (amava ripetere «quando do da mangiare a un povero dicono che sono un santo, quando chiedo perché è povero dicono che sono comunista») per la sua gente già santo ma non per il Vaticano.
La santità esprime un grande ottimismo sulla natura umana in quanto ritenuta capace realmente di bene e per questo il suo istituto è tanto importante e andrebbe governato con maggiore spirito di profezia. La politica però ha purtroppo spesso la meglio, e la canonizzazione parallela di domenica prossima di due papi tanto diversi lo dimostra ancora una volta.
fonte: Spogli
Per queste due religioni infatti la santità appartiene per definizione solo a Dio, e l’uomo, fosse anche il migliore di tutti, fosse anche il profeta Elia o il profeta Muhammad, non può strutturalmente partecipare al divino, e quindi può essere sì giusto, osservante, devoto, ma mai può essere santo. Il cristianesimo al contrario crede nella possibilità della comunione ontologica tra il divino e l’umano.
Di una comunione cioè che non riguarda solo la volontà del credente ma giunge a comprenderne anche l’essere. In questo senso si può dire che la santità è una conseguenza dell’incarnazione, del farsi uomo da parte di Dio in Gesù di Nazaret: come il Figlio infatti da vero Dio è diventato uomo, così i suoi discepoli migliori da semplici uomini giungono alla possibilità di partecipare alla condizione divina denominata santità. C’è molto ottimismo, c’è molta simpatia verso l’uomo, nel dichiararne la santità.
E non è certo un caso che tra le diverse forme di cristianesimo siano in particolare il cattolicesimo e l’ortodossia a insistere sulla santità, che invece è quasi del tutto dimenticata nel protestantesimo la cui teologia è perlopiù caratterizzata da un’antropologia pessimista secondo cui l’uomo non potrà mai giungere a una natura pienamente riconciliata (per Lutero si è sempre simul iustus et peccator , il male cioè non può essere mai del tutto sradicato neppure nel migliore dei giusti).
In questa prospettiva il cattolicesimo mostra una grande affinità con l’induismo, per il quale la comunione tra il divino e l’umano è all’ordine del giorno, e con il buddhismo, per il quale la natura di Buddha appartiene di diritto a ogni essere umano. E infatti entrambe queste grandi religioni conoscono, come il cattolicesimo, il fenomeno della santità, fino a giungere a condividere l’appellativo “Sua Santità” che appartiene tanto al Romano pontefice quanto al Dalai Lama, mentre l’appellativo Mahatma (grande anima) riservato dall’induismo ai suoi figli migliori è solo un altro modo di dichiararne la santità.
Che cosa contraddistingue allora la santità cattolica? La risposta è la Chiesa, ovvero il fatto che la santità non viene riconosciuta dal basso, dal popolo, per gli evidenti meriti del maestro, come fu il caso di Gandhi chiamato Mahatma già in vita, ma diviene tale solo in seguito a una formale dichiarazione della gerarchia ecclesiastica detta canonizzazione.
E qui si inserisce, oltre alla dimensione teologico-spirituale dichiarata sopra, la valenza politica del fenomeno santità. La politica infatti ha sempre giocato un grande ruolo nella storia della Chiesa alla prese con la dichiarazione della santità dei suoi figli migliori. Nel bene e nel male. Si pensi nel primo caso alla rapidissima canonizzazione di Francesco d’Assisi, proclamato santo a neppure due anni dalla morte. E si pensi nel secondo caso alla canonizzazione dell’imperatore Costantino o alla beatificazione di Carlo Magno, uomini di immenso potere, dalla vita non proprio integerrima e tuttavia elevati agli onori dell’altare.
La canonizzazione da parte del papato di propri esponenti, compresa quella di domenica prossima, rientra alla perfezione in questa prospettiva dalla forte connotazione politica: degli otto pontefici del ‘900 ormai ben tre (Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II) sono diventati santi e tre sono sulla via per diventarlo (Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo I), lasciando peraltro la memoria degli altri due (Benedetto XV e Pio XI) in grave imbarazzo.
Aveva del tutto torto il cardinal Martini a essere contrario alla canonizzazione dei papi recenti? Tanto più che la politica ecclesiastica non si esprime solo sulle canonizzazioni in positivo, ma anche su quelle in negativo, sull’esclusione cioè di chi meriterebbe di essere riconosciuto santo ma non lo diviene. È il caso di monsignor Oscar Romero, ucciso dagli squadroni della morte il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa nella cattedrale di San Salvador per la difesa dei diritti dei poveri, e mai beatificato da Giovanni Paolo II, che anzi in vita l’umiliò, né in seguito da Benedetto XVI. Ed è il caso di Helder Camara, il vescovo di Recife, nel nord del Brasile, famoso per la sua lotta a favore degli ultimi (amava ripetere «quando do da mangiare a un povero dicono che sono un santo, quando chiedo perché è povero dicono che sono comunista») per la sua gente già santo ma non per il Vaticano.
La santità esprime un grande ottimismo sulla natura umana in quanto ritenuta capace realmente di bene e per questo il suo istituto è tanto importante e andrebbe governato con maggiore spirito di profezia. La politica però ha purtroppo spesso la meglio, e la canonizzazione parallela di domenica prossima di due papi tanto diversi lo dimostra ancora una volta.
fonte: Spogli
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