Wojtyla e la croce insanguinata
Brescia, 25 aprile 2014.
Una splendida giornata di sole. La primavera sta esplodendo, con i suoi colori e odori, e investe allegramente il mio piccolo borgo della Bassa e la sua Festa della Liberazione, fatta di cori dei Bersaglieri urlati da un gracchiante registratore davanti alla sede dei Combattenti, fianco Poste.
I tricolori quest’anno, a pochi giorni dalle Comunali, sono davvero ovunque, e riempiono vie e piazze di quel calore nazionale che, un tempo, segnava l’avvicinarsi della gita scolastica di fine anno (e quindi anche il termine della scuola). La mia corteccia fotografa tutte queste immagini in movimento, mentre pedalo attraverso il paese, direzione caffè.
Che bella la vita.
La familiare sedia del baretto vicino casa, sotto la loggia del vecchio cascinale ristrutturato, mattoni a vista, mi accoglie con tutto il calore accumulato in mezza mattinata di esposizione solare. La ciliegina sulla torta: sull’unico tavolino libero, il mio, hanno lasciato il quotidiano locale, neanche troppo stropicciato per essere giorno di Festa.
Un caffè, grazie.
Giornale di Brescia.
Prima pagina.
Crolla la croce di Wojtyla. Muore un ragazzo di 21 anni. Domenica a Lovere i funerali.
La croce di Wojtyla?
Un’opera d’arte, creata da Enrico Job in occasione della visita bresciana del Papa nel 1998, e portata a Cevo in Valcamonica nel 2005. Di cui io, me ne vergogno, non avevo mai sentito parlare. La mia ignoranza geografica e monumentale, in queste occasioni, mi fa sempre sentire un po’ marziano.
Il primo pensiero, lo riconosco, un po’ empio e un po’ cinico è stato: ma non si poteva farla dritta quella croceinguardabile? Con un Cristo ripiegato su se stesso, inchiodato al legno, la testa penzoloni, in una posizione angosciante, insolita, azzardata…
Il secondo pensiero, forse più incredulo che cinico (vado migliorando): ma quella trave in legno lamellare, con un carico in punta (il Cristo), piazzata sui monti, esposta al vento e alle intemperie, trattenuta dai cavi, davvero si pensava potesse resistere all’infinito?
Questo lavorio cognitivo, spontaneo, freddo, dedicato all’analisi tecnica del disastro (forse una forma di difesa?) ha subito lasciato spazio al resto della notizia: l’incredibile dramma di una famiglia che ha perso improvvisamente un figlio ventunenne, in modo meschino e beffardo, tanto doloroso quanto ingiusto.
Che bella la vita.
Marco, come tanti della sua età, poteva morire di sabato notte, dopo uno schianto causato dal troppo alcool e dalla velocità elevata. Marco poteva morire cadendo da un motorino, oppure finire accoltellato durante una rissa, oppure esalare l’ultimo respiro in una corsia d’ospedale.
E invece no. Marco è morto sotto una croce, durante una gita con l’oratorio insieme ai suoi amici e al curato del paese.
Schiacciato dall‘opera d’arte.
Una croce insanguinata che i Media hanno subito chiamato di Wojtyla, un po’ legati al fatto che tra un paio di giorni, il 27 aprile, in occasione della Festa della Divina Misericordia, Giovanni Paolo II verrà canonizzato da Papa Francesco insieme all’altro illustre predecessore, Papa Roncalli. Un percorso di canonizzazione semplificato da Bergoglio: un solo miracolo, anziché due, per Papa Wojtyla.
Ma qualcuno grida al secondo miracolo proprio pensando alla strage scampata in quel di Cevo: potevano morire molte persone sotto i sei quintali della croce di Wojtyla. Il bicchiere mezzo pieno, lo stesso sprecato da Schettino in merito alle vite salvate dal disastro della Costa Concordia.
Nessun miracolo, purtroppo, in Valcamonica. Una morte fisica, e tante morti spirituali, di chi ha visto coi propri occhi l’ingiustizia di una morte assurda, in un posto meraviglioso, sotto un monumento assurdo. Un’opera d’arte.
Nessun movente, nessuna spiegazione razionale. Un po’ le stesse sensazioni che alcuni di noi provano quando pensano al senso della vita, di questa vita.
Sto pedalando verso casa, sotto il sole e una leggera brezza che sventola i tricolori del 25 aprile.
Passo davanti alle Scuole Elementari.
Non riesco a ricordare in quale classe (forse la Terza?) ho imparato che
La mela di Mario
indica che c’è un Mario a cui appartiene una mela.
I tricolori quest’anno, a pochi giorni dalle Comunali, sono davvero ovunque, e riempiono vie e piazze di quel calore nazionale che, un tempo, segnava l’avvicinarsi della gita scolastica di fine anno (e quindi anche il termine della scuola). La mia corteccia fotografa tutte queste immagini in movimento, mentre pedalo attraverso il paese, direzione caffè.
Che bella la vita.
La familiare sedia del baretto vicino casa, sotto la loggia del vecchio cascinale ristrutturato, mattoni a vista, mi accoglie con tutto il calore accumulato in mezza mattinata di esposizione solare. La ciliegina sulla torta: sull’unico tavolino libero, il mio, hanno lasciato il quotidiano locale, neanche troppo stropicciato per essere giorno di Festa.
Un caffè, grazie.
Giornale di Brescia.
Prima pagina.
Crolla la croce di Wojtyla. Muore un ragazzo di 21 anni. Domenica a Lovere i funerali.
La croce di Wojtyla?
Un’opera d’arte, creata da Enrico Job in occasione della visita bresciana del Papa nel 1998, e portata a Cevo in Valcamonica nel 2005. Di cui io, me ne vergogno, non avevo mai sentito parlare. La mia ignoranza geografica e monumentale, in queste occasioni, mi fa sempre sentire un po’ marziano.
Il primo pensiero, lo riconosco, un po’ empio e un po’ cinico è stato: ma non si poteva farla dritta quella croceinguardabile? Con un Cristo ripiegato su se stesso, inchiodato al legno, la testa penzoloni, in una posizione angosciante, insolita, azzardata…
Il secondo pensiero, forse più incredulo che cinico (vado migliorando): ma quella trave in legno lamellare, con un carico in punta (il Cristo), piazzata sui monti, esposta al vento e alle intemperie, trattenuta dai cavi, davvero si pensava potesse resistere all’infinito?
Questo lavorio cognitivo, spontaneo, freddo, dedicato all’analisi tecnica del disastro (forse una forma di difesa?) ha subito lasciato spazio al resto della notizia: l’incredibile dramma di una famiglia che ha perso improvvisamente un figlio ventunenne, in modo meschino e beffardo, tanto doloroso quanto ingiusto.
Che bella la vita.
Marco, come tanti della sua età, poteva morire di sabato notte, dopo uno schianto causato dal troppo alcool e dalla velocità elevata. Marco poteva morire cadendo da un motorino, oppure finire accoltellato durante una rissa, oppure esalare l’ultimo respiro in una corsia d’ospedale.
E invece no. Marco è morto sotto una croce, durante una gita con l’oratorio insieme ai suoi amici e al curato del paese.
Schiacciato dall‘opera d’arte.
Una croce insanguinata che i Media hanno subito chiamato di Wojtyla, un po’ legati al fatto che tra un paio di giorni, il 27 aprile, in occasione della Festa della Divina Misericordia, Giovanni Paolo II verrà canonizzato da Papa Francesco insieme all’altro illustre predecessore, Papa Roncalli. Un percorso di canonizzazione semplificato da Bergoglio: un solo miracolo, anziché due, per Papa Wojtyla.
Ma qualcuno grida al secondo miracolo proprio pensando alla strage scampata in quel di Cevo: potevano morire molte persone sotto i sei quintali della croce di Wojtyla. Il bicchiere mezzo pieno, lo stesso sprecato da Schettino in merito alle vite salvate dal disastro della Costa Concordia.
Nessun miracolo, purtroppo, in Valcamonica. Una morte fisica, e tante morti spirituali, di chi ha visto coi propri occhi l’ingiustizia di una morte assurda, in un posto meraviglioso, sotto un monumento assurdo. Un’opera d’arte.
Nessun movente, nessuna spiegazione razionale. Un po’ le stesse sensazioni che alcuni di noi provano quando pensano al senso della vita, di questa vita.
Sto pedalando verso casa, sotto il sole e una leggera brezza che sventola i tricolori del 25 aprile.
Passo davanti alle Scuole Elementari.
Non riesco a ricordare in quale classe (forse la Terza?) ho imparato che
La mela di Mario
indica che c’è un Mario a cui appartiene una mela.
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