di Dom Columba Marmion
Cos’è la vita religiosa? È un mistero sconosciuto ai più, un’altissima chiamata divina. La Religiosa è l’anima che Gesù Cristo chiama a vivere tutta per Lui e come Lui, rendendola sua Sposa. Essere Sposa di Cristo «è non saper altro che amare; amare adorando, amare riparando, amare pregando, domandando, dimenticandosi, amare sempre, sotto tutte le forme» (Beata Elisabetta della Trinità).
La grazia dell’adozione soprannaturale in Gesù Cristo, Verbo umanato, è il dono per eccellenza fatto da Dio alla creatura. L’Essere supremo, infinitamente perfetto, che da nessuno dipende, né ha bisogno d’alcuno, lascia affluire sulla creatura il suo Amore immenso, per elevarla fino alla partecipazione della sua vita e della sua Beatitudine.
Questo dono, eccedente le esigenze e le forze della natura, rende l’uomo veramente figlio del Padre Celeste, fratello di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo.
Questo dono, eccedente le esigenze e le forze della natura, rende l’uomo veramente figlio del Padre Celeste, fratello di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo.
Eppure, per l’anima religiosa esiste una relazione più intima con Dio, e, in certo modo, più profonda di quella derivante dalla qualità di figlio, essendo prescelta a sposa del Verbo eterno.
Gesù Cristo stesso, più d’una volta, ha paragonato il Regno di Dio a un convito nuziale, perché Dio, nel suo Verbo e per mezzo del suo Verbo, invita le anime al festino dell’unione divina.
In un festino si distinguono diverse categorie di persone.
Vi sono i servi. Per il rispetto dovuto al padrone, essi stanno in piedi, pronti a eseguir gli ordini; da parte sua, il padrone paga a ciascuno il salario; ne ha stima, se adempiono fedelmente le loro mansioni, ma non li ammette alla sua tavola, né alla sua intimità, svelando loro i segreti. Sono l’immagine dei cristiani che operano abitualmente sotto la spinta del timore servile; trattano perciò con Dio come con un padrone che, come quel servo del Vangelo, trovano alle volte troppo duro (cf. Mt 25,24); e compiono quel tanto che è loro dovere, per timore del castigo.
Vi sono poi gli invitati, gli amici. Il re li ha chiamati alla sua mensa, rivolge loro la parola con tono che suppone una scambievole benevolenza, divide con essi le vivande, beve dello stesso vino. E ciò pure in diverso grado. Sono l’immagine dei cristiani che amano Dio, senza, però, dargli tutto. Quando sono col re godono del suo favore, ma non vi restano sempre, lo lasciano per accudire ai propri affari, sicché la manifestazione della loro amicizia non è continua.
Congedati gli amici restano i figliuoli. Sono della famiglia; si trovano in casa loro e vi abitano; portano il nome del padre, ne ereditano i beni, la loro vita è consacrata a onorare il padre, a obbedirlo, ad amarlo, ricevendone, in ricambio, quelle confidenze che ignorano gli amici. Rappresentano le anime fedeli che vivono e operano da figli di Dio. Sono intenti all’esercizio della fede, della speranza, della carità, virtù specifiche dello stato di figli di Dio e raggiungono il loro sviluppo in uno spirito di completo abbandono al beneplacito del Padre Celeste. A tali anime Dio si dà come il Bene supremo che appaga ogni loro desiderio.
Finalmente ecco la sposa. Per questa lo sposo non ha segreti; la tratta con la più grande intimità e con tenerissimo amore. Nessun’altra unione vi può essere più perfetta di questa, neppure quella tra i genitori e i figli. “Gli sposi – dice Nostro Signore – lasceranno il padre e la madre, per congiungersi inseparabilmente” (cf. Mt 19,5). Nessun’altra unione vince questa intimità, in tenerezza, in fecondità.
Ora, il Verbo Incarnato invita l’anima consacrata con i voti religiosi a contrarre appunto una simile unione con Lui.
Ma voi mi direte: e che forse l’anima nel Battesimo non diventa già, in qualche modo, la sposa del Verbo? Certamente. Tanto è santa e santificante già l’unione con Cristo dell’anima battezzata.
Però l’unione è molto più stretta, la qualità di sposa riluce di maggiore splendore nell’anima consacrata a Cristo con i voti religiosi. A queste anime si applica, con tutta la verità, il titolo di Sposa del Verbo; in esse si attua questa sublime condizione nella sua pienezza. L’unione che, nella sua profonda intimità, somiglia, d’una maniera tutta spirituale, all’unione dello sposo e della sposa, non costituisce, difatti, il culmine di tutta la vita religiosa?
[...] Quando l’anima considera la grandezza infinita di Dio, e la santità incomprensibile e, d’altra parte, il proprio niente e la propria miseria, un sentimento di profonda meraviglia l’invade al pensiero d’esser l’oggetto d’un privilegio così segnalato, ed esclama: “Non è, forse, presunzione, temerità e follia sognar un titolo, aspirare a una condizione che sorpassa ogni desiderio umano?”.
Certo, senza la Rivelazione, un pensiero così elevato non avrebbe potuto mai venir in mente a una creatura. Eppure il Signore stesso desidera una tale unione, avanza la proposta, invita l’anima, con le parole e con le opere.
Il Vecchio Testamento, nonostante la severità per cui ha meritato il nome di “legge del timore”, preludia già, nelle forme più squisite, alle effusioni inaudite delle tenerezze divine, proprie della legge dell’amore.
La divina Sapienza afferma che «le sue delizie sono d’esser coi figliuoli dell’uomo» (Prv 8,81). «La sua gioia è di divertirsi, ogni giorno, sulla terra opera delle sue mani» (ivi, 80); espressioni sorprendenti, quando si pensa che riguardano i rapporti della Sapienza eterna con le creature, e denotano ben più di una semplice benevolenza d’amicizia.
Il Cantico dei Cantici che altro è se non un epitalamio composto dallo Spirito Santo, per celebrare, sotto il simbolo dell’amore umano, [...] l’unione di Cristo con la Chiesa e con le anime?
Nel Vangelo, però, questo pensiero si manifesta in tutta la sua estensione, trova il fondamento più saldo, e riveste la forza più persuasiva. Il Verbo Incarnato, Verità infallibile, non si dà Egli stesso in persona per Sposo, conducendo avanti a sé le vergini destinate a formar la sua corte? (cf. Mt 9,15; Mt 15,1-18; Gv 3,29).
Non viene dalle sue labbra divine l’invito più meraviglioso che possa far sussultare cuore umano: «Venite alle nozze, perché tutto è pronto» (Mt 21,4)? [...].
Certo, ancora una volta, dobbiamo prostrarci in una profonda adorazione davanti all’infinita maestà del Signore tre volte santo, perché non dobbiamo mai perdere di vista che Gesù Cristo è il Sovrano e il Padrone di tutte le cose. [...] Ma questo Maestro divino, questo Signore, s’abbassa davanti agli stessi discepoli, per lavar loro i piedi. L’amore lo spinge ad abbassarsi pure verso le anime consacrate. Per elevarle all’ineffabile condizione di spose. Un tale amore fa restare stupefatta la ragione, ma la fede n’è rapita fino all’entusiasmo: «E noi abbiamo creduto a questo Amore che Dio ci porta» (1Gv 4,16). Ogni anima consacrata a Dio con i voto religiosi, è così chiamata a questa qualità di sposa del Verbo; ne porta il titolo; s’è fedele, ne gode dei diritti annessi; è ricolma dei segni di tenerezza del divino Sposo, e la sua unione con Lui è fonte d’una fecondità ammirabile.
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