La scomunica di Noi siamo chiesa, un problemino anche per Schönborn
Di chiedere perdono, Martha Heizer non ha la minima intenzione. La fondatrice e leader austriaca del Movimento progressista Noi siamo chiesa, scomunicata perché da tre anni ormai era solita celebrare assieme al marito “messe private” alla presenza di parenti, amici e parrocchiani, non ha voluto neppure accettare dalle mani del vescovo di Innsbruck il decreto che la condanna per aver aver commesso ciò che rientra nella categoria dei delicta graviora. Se all’inizio la professoressa di Religione in pensione si era detta scioccata per la decisione delle autorità romane, ora sullo scoramento prevale la rabbia.
“Per tutta la vita ho lavorato per il bene della chiesa”, dice ai media austriaci, “cercando di rinnovarla affinché potesse essere ancora attraente”. E che la ricetta per far guadagnare alla causa di Roma qualche gruppo di convertiti fossero le messe in salotto non sarebbe – stando a quanto assicura Heizer – una sua intima convinzione. No, “anche il parroco di qui ha partecipato alle mie messe”, ha detto la professoressa, spiegando che però il sacerdote è trapassato e dunque non può confermare con quanta gioia assistesse ai riti presieduti dalla coppia che da diciotto anni invoca la fine del celibato sacerdotale, l’ordinazione delle donne, l’elezione dei vescovi e un più ampio coinvolgimento dei laici. “Noi siamo chiesa” aveva anche fatto firmare a due milioni di persone (per lo più raccolte nei paesi della Mitteleuropa) un appello al Papa per “liberare lo spirito rinnovatore” del Vaticano II imprigionato dalla burocrazia e da una chiesa non troppo convinta di aprirsi a quelle riforme che i padri conciliari avevano profeticamente immaginato e che poi erano state repentinamente archiviate. Martha Heizer contesta che a celebrare la messa debbano essere solo uomini, anche perché il ruolo del prete necessita di essere riconsiderato alla luce dei tempi correnti, in quanto troppo divisivo: a suo giudizio, infatti, i sacerdoti “creano una società che si divide in classi, loro da una parte e i fedeli dall’altra”. Il Papa, dunque, dovrebbe avere il coraggio di aprire le porte alle donne – e non solo assegnando loro qualche poltrona curiale di second’ordine – affinché possano distribuire l’eucaristia.
Alla fondatrice di Noi siamo chiesa ha risposto il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn: “Se qualcuno compie e diffonde una scelta particolare che è del tutto estranea alla nostra fede, come l’eucaristia, si pone al di fuori della chiesa. E’ una cosa grave”. Il vescovo di Innsbruck, mons. Manfred Scherer, spera ancora nel ravvedimento, si dice triste per non essere riuscito a portare a più miti consigli Martha e il marito Gert e parla di sconfitta per la chiesa. E’ preoccupato, il presule, anche perché consapevole che dietro la coppia dei due scomunicati c’è un movimento che valica le Alpi ed è diffuso non solo in Europa, ma anche al di là dell’oceano Atlantico. Ed è su questo che punta Martha Heizer, tutt’altro che rassegnata, per proseguire la sua battaglia pubblica contro le istituzioni ecclesiastiche che l’hanno condannata: “Ci indigna essere messi nella stessa categoria di chi compie abusi sessuali”, ha scritto in una nota ufficiale redatta poche ore dopo la lettura del provvedimento che la scomunicava, evidentemente non al corrente che quando si parla di delicta graviora ci si riferisce alla celebrazione illecita dell’eucaristia, di abusi sessuali e di infrazione del segreto confessionale. Sperava, la fondatrice di Noi siamo chiesa, che con Papa Francesco le cose potessero mutare, dopo la freddezza di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che nel 2011, parlando con i seminaristi di Friburgo, ricordò che “quando diciamo ‘noi siamo Chiesa’, il ‘noi’ è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il ‘noi’ è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi. E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste, per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può mai esserci una maggioranza contro gli apostoli e contro i santi”. In un’intervista al manifesto di qualche settimana fa, il coordinatore italiano del movimento, Vittorio Bellavite, si diceva sicuro che “l’approccio alla realtà di Francesco è nettamente diverso da quello di Benedetto XVI”. E poi – aggiungeva –, “ci sembra che, a differenza dei suoi predecessori, si muova più sull’orizzonte della pastorale che su quello della riaffermazione della dottrina. Mi pare che possa avere delle conseguenze e portare dei cambiamenti, anche significativi, nella chiesa”.
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