Santità, siamo ventisei donne amanti di preti, sia cortese, ci dia una mano…
… secondo la moda secolarizzata del nostro tempo, la Verità non esiste, i tempi che viviamo sono all’insegna del soddisfacimento dei propri comodi e di ciò cui aspiriamo, legittimamente o no… tutti hanno il diritto di ottenere quello che vogliono senza alcuna considerazione dei motivi, morali o semplicemente umani, che potrebbero essere di ostacolo al loro desiderio; il sesso (reale o virtuale sul WEB) dilaga e allora perché non potrebbero prendere moglie anche i preti?
di Carla D’Agostino Ungaretti
.
Lo scorso mese è stata riportata una notizia un po’ particolare e perciò, io credo, meritevole di una particolare attenzione: un gruppo di ventisei donne, sia italiane che straniere, avrebbe inviato a Santa Marta una raccomandata – firmata con i soli nomi di battesimo, il che (a mio giudizio) già renderebbe la missiva poco seria e forse provocatoria[1] – con la quale intendevano rivolgere al Papa una patetica richiesta.
Le ventisei signore si dichiarano innamorate di preti e per questo motivo si sentono umiliate e discriminate (quanto va di moda oggi questo termine e quanto poco basta per sentirsi discriminati!… Forse all’umanità sta spuntando la coda di paglia?) perciò chiedono con insistenza che la Chiesa cattolica, ritenuta non più al passo con i tempi, riveda la sua posizione intransigente e oscurantista che vieta il matrimonio ai sacerdoti e perciò costringe le donne innamorate di loro al nascondimento e all’ipocrisia sociale, mentre esse si ritengono in diritto di fare il loro outing e di vivere alla luce del sole nella piena libertà di sposare uomini che (guarda caso) esercitano la professione di prete, così come tanti altri mariti esercitano quella di impiegato, medico, avvocato, operaio, commerciante e così via.
La regola del celibato ecclesiastico nella Chiesa cattolica non aveva mai subito particolari attacchi negli ultimi secoli; essa era stata sempre accettata come degna di stima e considerazione sociale, lo status di sacerdote era stato sempre circondato, anche in sede civile, di rispetto e spesso ambito da molti genitori per i propri figli. Solo con il consolidarsi del relativismo nell’ultimo mezzo secolo esso ha cominciato a costituire un problema. E’ facile intuirne i motivi: secondo la moda secolarizzata del nostro tempo, la Verità non esiste, i tempi che viviamo sono all’insegna del soddisfacimento dei propri comodi e di ciò cui aspiriamo, legittimamente o no. E’ in gran voga, presso gli omosessuali, fare il cosiddetto “outing”proponendo il loro stile di vita anche nelle scuole; il “pro choice” viene proposto a tutti i livelli, dall’aborto, alla procreazione assistita; tutti hanno il diritto di ottenere quello che vogliono senza alcuna considerazione dei motivi, morali o semplicemente umani, che potrebbero essere di ostacolo al loro desiderio; il sesso (reale o virtuale sul WEB) dilaga e allora perché non potrebbero prendere moglie anche i preti, in un momento storico in cui gli stessi omosessuali rivendicano il diritto a sposarsi tra di loro, anche se l’antichissimo istituto del matrimonio sta subendo delle colossali mazzate?
L’argomento dilaga sul WEB con dovizia di testimonianze e di motivazioni, queste (ovviamente) tutte di segno positivo, quelle poverissime delle argomentazioni che dovrebbero, quanto meno, essere di impronta teologica pari alla complessità del problema, dato che coinvolgono uomini consacrati a Dio dal Sacramento dell’Ordine, che – imprimendo all’anima di chi lo riceve un “carattere permanente“, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica – li rende sacerdoti per sempre.
Invece, niente di tutto ciò. Poiché delle motivazioni contrarie di ordine teologico non importa nulla a nessuno, e nessuno si preoccupa di conoscerle o di approfondirle, i pareri favorevoli al matrimonio dei preti sono molto frequenti e appaiono di una banalità scoraggiante a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il Catechismo e con la morale cattolica. Si va dalla denuncia “della disumana e antievangelica legge che vieta l’amore”,alla frustrazione delle amanti tenute alla segretezza mentre vorrebbero potersi sposare in abito bianco con torta e confetti, all’esegesi biblica a buon mercato, che cita e travisa completamente le stesse parole del Creatore: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2, 18). Di sciocchezze su questo argomento in giro se ne sentono e se ne leggono tante, ma fa male al mio cuore di cattolica “bambina e parruccona” constatare che sia proprio un intellettuale come Vito Mancuso ad avallarle portando, come prove a favore di questi argomenti triti e ritriti, il matrimonio consentito dalla Chiesa ai preti nel primo millennio cristiano, quello dei pastori protestanti (che, specie in Inghilterra, sono impiegati pubblici) e dei preti ortodossi o la famosa “sessuofobia” del Cattolicesimo[2]. Proprio lui, che si fregia del titolo di teologo, ignora i motivi che hanno indotto la Chiesa Cattolica a emanare questa disciplina che, se non costituisce, un dogma, si fonda tuttavia sull’esempio di Cristo, eterno e casto sacerdote?
Giuliano Ferrara ha scritto un acuto commento ai frequenti argomenti di questo tipo – unitamente a quelli riguardanti l’omosessualità e la pedofilia – addotti da molte parti per abolire il celibato dei sacerdoti[3] ed io non resisto alla tentazione di fare un “commento al commento“, aggiungendovi alcune glosse e dicendo anche io la mia, pur consapevole di non poter mai uguagliare l’acutezza di giudizio, lo spirito e l’icasticità del nostro amico Elefantino. Anzitutto mi sembra che IL FOGLIO QUOTIDIANO sia stato l’unico giornale a dare, con diversi articoli, un ampio risalto a quella richiesta delle “fidanzate” dei preti il che, a mio giudizio, denota che anche un ateo, sia pure devoto, come il nostro amico Giuliano può afferrare e comprendere (condividendola o no) l’esatta natura del celibato ecclesiastico.
Questa forma di vita, nella Chiesa Cattolica è richiesta ai ministri ordinati, diaconi, presbiteri, vescovi. E’ consentita l’ordinazione di diaconi permanenti sposati i quali, però, rimasti vedovi, non possono contrarre un nuovo matrimonio. Paolo VI ha descritto questo status come un legame con Cristo unico, totale, caritatevole e senza alternative; il celibato e la castità sono “una nuova concezione della vita, un’adesione al modello di perfezione del Maestro e Signore dei cristiani, una vita di rara efficacia santificante, in cui il presbitero si fa tutto e a vantaggio di tutti in una più vasta e alta paternità … La scelta libera di rinunziare all’amore legittimo è una quotidiana morte a tutto se stesso e insieme la dimostrazione che l’uomo non è solo carne e istinto sessuale, dimostrazione di cui proprio oggi il mondo ha bisogno …[4]“.
Il testo della I Lettera di Pietro è, in proposito, particolarmente illuminante ( 2,5): per esercitare il sacerdozio bisognaavvicinarsi a Cristo, pietra vivente, appoggiarsisu di lui,formare con lui tutti insiemeun edificio che è un tempio. La parola usata da Pietro per indicare il “sacerdozio” non è una parola astratta, la denominazione di una dignità terrena, ma una parola concreta che significa “organismo sacerdotale ” (hierateuma: in greco il suffisso - ma ha un senso concreto). Quindi, il sacerdozio è un impegno totalizzante al servizio di Dio e dei fratelli; quindi, esso investe per sempre l’intera vita dell’uomo chiamato ad esso, la sua anima, il suo corpo, la sua mente, il suo spirito, così come (d’altro canto) totalizzante è il matrimonio perché, a sua volta, investe per sempre l’intera vita dei coniugi.
Perciò, essendo stati entrambi questi status elevati da Dio alla dignità di Sacramenti, è evidente che essi sono incompatibili l’uno con l’altro. Se non si capisce questo, vuol dire che non si è capito niente né del Sacerdozio né del Matrimonio e forse non è neppure colpa di coloro che non comprendono l’incommensurabile valore di questi due sublimi Sacramenti, ma delle carenze educative di cui sono stati vittime. Perciò io penso che oggi un’intera generazione di cattolici dovrebbe recitare il “mea culpa”. Comunque, ecco spiegato perché si invoca insistentemente il diritto alle nozze per i preti come al divorzio per i coniugi o, addirittura, il “matrimonio a tempo determinato”, come sarebbe stato proposto da una deputata messicana[5], ecco spiegati l’outing delle ventisei signoree il loro desiderio di vivere alla luce del sole con un marito che fa il prete così come (secondo il loro punto di vista) potrebbe fare l’avvocato, il medico,l’operaio o il commerciante.
Ma io voglio fermarmi a un livello di riflessione meno elevato e forse maggiormente alla portata di quelle donne (che, firmandosi col solo nome di battesimo, forse neanche esistono) e vorrei rivolgere loro alcune domande: “Voi che piagnucolando avete inviato al Papa quella patetica istanza siete cattoliche?” Probabilmente risponderebbero di sì, altrimenti non credo che avrebbero avvertito lo scrupolo morale in questione. “Quando vi siete innamorate di quegli uomini, sapevate che essi erano sacerdoti cattolici?”. Anche in questo caso dovremmo credere di sì, altrimenti sarebbe lecito supporre che gli uomini da loro amati le abbiano ingannate tacendo fraudolentemente il loro status.” Allora”, vorrei ancora domandare loro – sempre da cattolica “bambina, parruccona” e forse anche un po’ ingenua, nonostante la mia età non più molto verde – “se, essendo cattoliche, voi conoscevate, come è presumibile, la disciplina della Chiesa in materia di celibato ecclesiastico, perché non siete “fuggite” a gambe levate da una situazione allo stato attuale senza via di uscita e probabilmente vicina a diventare peccaminosa secondo la morale cattolica, non appena vi siete accorte che quel sentimento di amicizia o di simpatia o di stima che nutrivate per quel sacerdote stava trasformandosi in un altro tipo di sentimento che non prometteva nulla di buono?”. Nel recitare l’Atto di Dolore,al momento di ricevere l’assoluzione sacramentale, il penitente non promette solennemente a Dio di “fuggire le occasioni prossime al peccato”?
Le mie interlocutrici potrebbero obiettare che il mio ragionamento è vetero – maschilista e antifemminista, dimostrando di essere (loro sì … ) perfettamente al passo con il pensiero dominante. Forse hanno ragione, ma essendo io donna ed essendo anch’esse donne, mi immedesimo meglio nel problema dal punto di vista femminile (a proposito, i loro “fidanzati” dov’erano quando esse hanno firmata la famosa raccomandata? Forse essi si vergognavano davanti al Papa comparendo con i loro nomi e cognomi e allora hanno prudentemente mandato avanti le loro donne con i soli nomi di battesimo?).Comunque, riconosco che il discorso è valido anche per il partner maschile della vicenda, forse anche più responsabile in quanto persona consacrata che ha fatto a Dio un preciso giuramento. Allora rivolgerò anche ai sacerdoti coinvolti una precisa domanda: “Perché, avvertendo la nuova situazione che andava creandosi nella vostra vita – sicuramente dovuta all’opera del “nemico”, sempre pronto a seminare la sua zizzania nel campo del Padrone – voi non avete allontanato dal vostro orizzonte, con decisione e con fermezza, quelle donne che stavano per diventare l’oggetto dei vostri desideri? Perché non vi siete confidati con i vostri Vescovi, sicuramente capaci di consigliarvi e aiutarvi, magari destinandovi a qualche diverso incarico da svolgere altrove?”
Mi sembrano domande semplicissime e lapalissiane che qualunque “povero di spirito” dovrebbe poter rivolgere agli interessati ricevendo una risposta intelligente e umanamente degna di rispetto; invece, quando si parla di questo problema sui mass – media o tra amici, la risposta che si ottiene è quella tipica degli amori proibiti che si ritengono in diritto di vedere soddisfatto sempre e comunque il proprio desiderio, rappresentati nelle tele-novelas: “E’ successo e non abbiamo potuto farci niente”. Risposta stupida ed è ancora più stupida se è un prete a darla, perché nega il raziocinio che il Creatore ha donato a tutti gli esseri umani insieme alla libertà e alla capacità di discernere il Bene dal Male, oltre a denotare l’ignoranza colpevole del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ecco quindi un altro effetto perverso della secolarizzazione e del relativismo dominanti: pur proclamandosi paladini della libertà ad oltranza, essi finiscono per negare la libertà di scelta dell’uomo, se ammettono che una persona consacrata – che ben conosce i paletti posti alla sua vita dall’impegno che lo rende sacerdote in eterno – possa, a buon diritto, assecondare un istinto che contraddice quell’impegno.
Allora devo dire che ha perfettamente ragione il nostro amico Elefantino, ateo devoto (ma fino a che punto ateo e fino a che punto devoto? … ): gli argomenti più frequentemente addotti per chiedere l’abolizione del celibato dei preti sono solo “mondanità spirituale pura, frivolezza, confetti nuziali”, mutuati (aggiungo io) dai rotocalchi rosa e dai talk – show televisivi, regno incontrastato delle chiacchiere preconfezionate e fini a se stesse. Quella legge non è un dogma e potrà anche essere cambiata, ma essa è di una tale complessità spirituale e cristologica, è una tale prefigurazione del Regno e, al contempo, è di una tale profondità di significato umano che per abolirla ci vogliono motivazioni molto meno banali dell’amore romantico e della frustrazione degli amanti clandestini. E neppure sarà sufficiente addurre come scusa i recenti casi di omosessualità e pedofilia, che si sono rivelati non certo esclusivi del clero cattolico.
Ma i cattolici “adulti” mi obiettano come recitando un mantra: “I tempi sono cambiati!” E’ vero, ma chi li ha cambiati? Cristo - le cui parole non passeranno, a differenza del “cielo e della terra”, e che ha detto che “vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei Cieli” ( Mt 19, 12) – o gli uomini? Non certo Cristo, perché quelle parole (riportate dall’evangelista Matteo secondo lo stile e il linguaggio semitici che gli sono propri) se lette alla luce della “Sacerdotalis Coelibatus” di Paolo VI, sono una chiarissima spiegazione delle ragioni per le quali Dio preferisce che i suoi ministri rimangano casti per dedicarsi totalmente al Suo servizio e a quello dei fratelli. E la Chiesa – che, a sua volta, preferisce accontentare Dio piuttosto che gli uomini – giustamente si adegua (At 5, 29), pur senza farne un dogma di fede. Però essa è convinta che ogni altra interpretazione di quelle parole sia di origine umana e perciò merita solo di essere ignorata (At 5, 39).
Per concludere, voglio condividere con gli amici un pensiero che mi assale sempre quando affronto questi problemi. Se un giorno dovessi andare in cerca del mio Parroco per confessarmi, o spinta dal bisogno spirituale di chiedergli un consiglio utile per la mia anima, o perché mi sento vicina alla morte, o semplicemente per piangere sulla sua spalla e, non trovandolo, mi sentissi dire da qualcuno che, in quel momento, il Parroco è assente perché doveva andare al colloquio con gli insegnanti dei suoi figli, che cosa proverei?
Credo che proverei una tentazione terribile, sicuramente ispirata dal demonio che probabilmente non proverei se mi si dicesse che il Parroco è andato dal medico o dal dentista (anche lui ne ha bisogno …): quella di pensare che Dio non ha tempo o voglia di darmi retta. In altri termini: proverei la disperazione, perché mi sentirei abbandonata da Lui.
Signore, salvami da un simile evento!
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[1] Cfr. Assuntina Morresi, Lo strano club delle amanti dei preti, IL FOGLIO QUOTIDIANO, 21.5.2014, pag.3
[2] Cfr. LA REPUBBLICA, 19.5.2014.
[3] Cfr. IL FOGLIO QUOTIDIANO, 20.5.2014.
[4] Cfr Enciclica “Sacerdotalis coelibatus”, 1967
[5] Cfr. RADICI CRISTIANE, maggio 2014, pag. 23.
http://www.riscossacristiana.it/santita-siamo-ventisei-donne-amanti-di-preti-sia-cortese-ci-dia-una-mano-di-carla-dagostino-ungaretti/
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Lo scorso mese è stata riportata una notizia un po’ particolare e perciò, io credo, meritevole di una particolare attenzione: un gruppo di ventisei donne, sia italiane che straniere, avrebbe inviato a Santa Marta una raccomandata – firmata con i soli nomi di battesimo, il che (a mio giudizio) già renderebbe la missiva poco seria e forse provocatoria[1] – con la quale intendevano rivolgere al Papa una patetica richiesta.
Le ventisei signore si dichiarano innamorate di preti e per questo motivo si sentono umiliate e discriminate (quanto va di moda oggi questo termine e quanto poco basta per sentirsi discriminati!… Forse all’umanità sta spuntando la coda di paglia?) perciò chiedono con insistenza che la Chiesa cattolica, ritenuta non più al passo con i tempi, riveda la sua posizione intransigente e oscurantista che vieta il matrimonio ai sacerdoti e perciò costringe le donne innamorate di loro al nascondimento e all’ipocrisia sociale, mentre esse si ritengono in diritto di fare il loro outing e di vivere alla luce del sole nella piena libertà di sposare uomini che (guarda caso) esercitano la professione di prete, così come tanti altri mariti esercitano quella di impiegato, medico, avvocato, operaio, commerciante e così via.
La regola del celibato ecclesiastico nella Chiesa cattolica non aveva mai subito particolari attacchi negli ultimi secoli; essa era stata sempre accettata come degna di stima e considerazione sociale, lo status di sacerdote era stato sempre circondato, anche in sede civile, di rispetto e spesso ambito da molti genitori per i propri figli. Solo con il consolidarsi del relativismo nell’ultimo mezzo secolo esso ha cominciato a costituire un problema. E’ facile intuirne i motivi: secondo la moda secolarizzata del nostro tempo, la Verità non esiste, i tempi che viviamo sono all’insegna del soddisfacimento dei propri comodi e di ciò cui aspiriamo, legittimamente o no. E’ in gran voga, presso gli omosessuali, fare il cosiddetto “outing”proponendo il loro stile di vita anche nelle scuole; il “pro choice” viene proposto a tutti i livelli, dall’aborto, alla procreazione assistita; tutti hanno il diritto di ottenere quello che vogliono senza alcuna considerazione dei motivi, morali o semplicemente umani, che potrebbero essere di ostacolo al loro desiderio; il sesso (reale o virtuale sul WEB) dilaga e allora perché non potrebbero prendere moglie anche i preti, in un momento storico in cui gli stessi omosessuali rivendicano il diritto a sposarsi tra di loro, anche se l’antichissimo istituto del matrimonio sta subendo delle colossali mazzate?
L’argomento dilaga sul WEB con dovizia di testimonianze e di motivazioni, queste (ovviamente) tutte di segno positivo, quelle poverissime delle argomentazioni che dovrebbero, quanto meno, essere di impronta teologica pari alla complessità del problema, dato che coinvolgono uomini consacrati a Dio dal Sacramento dell’Ordine, che – imprimendo all’anima di chi lo riceve un “carattere permanente“, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica – li rende sacerdoti per sempre.
Invece, niente di tutto ciò. Poiché delle motivazioni contrarie di ordine teologico non importa nulla a nessuno, e nessuno si preoccupa di conoscerle o di approfondirle, i pareri favorevoli al matrimonio dei preti sono molto frequenti e appaiono di una banalità scoraggiante a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il Catechismo e con la morale cattolica. Si va dalla denuncia “della disumana e antievangelica legge che vieta l’amore”,alla frustrazione delle amanti tenute alla segretezza mentre vorrebbero potersi sposare in abito bianco con torta e confetti, all’esegesi biblica a buon mercato, che cita e travisa completamente le stesse parole del Creatore: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2, 18). Di sciocchezze su questo argomento in giro se ne sentono e se ne leggono tante, ma fa male al mio cuore di cattolica “bambina e parruccona” constatare che sia proprio un intellettuale come Vito Mancuso ad avallarle portando, come prove a favore di questi argomenti triti e ritriti, il matrimonio consentito dalla Chiesa ai preti nel primo millennio cristiano, quello dei pastori protestanti (che, specie in Inghilterra, sono impiegati pubblici) e dei preti ortodossi o la famosa “sessuofobia” del Cattolicesimo[2]. Proprio lui, che si fregia del titolo di teologo, ignora i motivi che hanno indotto la Chiesa Cattolica a emanare questa disciplina che, se non costituisce, un dogma, si fonda tuttavia sull’esempio di Cristo, eterno e casto sacerdote?
Giuliano Ferrara ha scritto un acuto commento ai frequenti argomenti di questo tipo – unitamente a quelli riguardanti l’omosessualità e la pedofilia – addotti da molte parti per abolire il celibato dei sacerdoti[3] ed io non resisto alla tentazione di fare un “commento al commento“, aggiungendovi alcune glosse e dicendo anche io la mia, pur consapevole di non poter mai uguagliare l’acutezza di giudizio, lo spirito e l’icasticità del nostro amico Elefantino. Anzitutto mi sembra che IL FOGLIO QUOTIDIANO sia stato l’unico giornale a dare, con diversi articoli, un ampio risalto a quella richiesta delle “fidanzate” dei preti il che, a mio giudizio, denota che anche un ateo, sia pure devoto, come il nostro amico Giuliano può afferrare e comprendere (condividendola o no) l’esatta natura del celibato ecclesiastico.
Questa forma di vita, nella Chiesa Cattolica è richiesta ai ministri ordinati, diaconi, presbiteri, vescovi. E’ consentita l’ordinazione di diaconi permanenti sposati i quali, però, rimasti vedovi, non possono contrarre un nuovo matrimonio. Paolo VI ha descritto questo status come un legame con Cristo unico, totale, caritatevole e senza alternative; il celibato e la castità sono “una nuova concezione della vita, un’adesione al modello di perfezione del Maestro e Signore dei cristiani, una vita di rara efficacia santificante, in cui il presbitero si fa tutto e a vantaggio di tutti in una più vasta e alta paternità … La scelta libera di rinunziare all’amore legittimo è una quotidiana morte a tutto se stesso e insieme la dimostrazione che l’uomo non è solo carne e istinto sessuale, dimostrazione di cui proprio oggi il mondo ha bisogno …[4]“.
Il testo della I Lettera di Pietro è, in proposito, particolarmente illuminante ( 2,5): per esercitare il sacerdozio bisognaavvicinarsi a Cristo, pietra vivente, appoggiarsisu di lui,formare con lui tutti insiemeun edificio che è un tempio. La parola usata da Pietro per indicare il “sacerdozio” non è una parola astratta, la denominazione di una dignità terrena, ma una parola concreta che significa “organismo sacerdotale ” (hierateuma: in greco il suffisso - ma ha un senso concreto). Quindi, il sacerdozio è un impegno totalizzante al servizio di Dio e dei fratelli; quindi, esso investe per sempre l’intera vita dell’uomo chiamato ad esso, la sua anima, il suo corpo, la sua mente, il suo spirito, così come (d’altro canto) totalizzante è il matrimonio perché, a sua volta, investe per sempre l’intera vita dei coniugi.
Perciò, essendo stati entrambi questi status elevati da Dio alla dignità di Sacramenti, è evidente che essi sono incompatibili l’uno con l’altro. Se non si capisce questo, vuol dire che non si è capito niente né del Sacerdozio né del Matrimonio e forse non è neppure colpa di coloro che non comprendono l’incommensurabile valore di questi due sublimi Sacramenti, ma delle carenze educative di cui sono stati vittime. Perciò io penso che oggi un’intera generazione di cattolici dovrebbe recitare il “mea culpa”. Comunque, ecco spiegato perché si invoca insistentemente il diritto alle nozze per i preti come al divorzio per i coniugi o, addirittura, il “matrimonio a tempo determinato”, come sarebbe stato proposto da una deputata messicana[5], ecco spiegati l’outing delle ventisei signoree il loro desiderio di vivere alla luce del sole con un marito che fa il prete così come (secondo il loro punto di vista) potrebbe fare l’avvocato, il medico,l’operaio o il commerciante.
Ma io voglio fermarmi a un livello di riflessione meno elevato e forse maggiormente alla portata di quelle donne (che, firmandosi col solo nome di battesimo, forse neanche esistono) e vorrei rivolgere loro alcune domande: “Voi che piagnucolando avete inviato al Papa quella patetica istanza siete cattoliche?” Probabilmente risponderebbero di sì, altrimenti non credo che avrebbero avvertito lo scrupolo morale in questione. “Quando vi siete innamorate di quegli uomini, sapevate che essi erano sacerdoti cattolici?”. Anche in questo caso dovremmo credere di sì, altrimenti sarebbe lecito supporre che gli uomini da loro amati le abbiano ingannate tacendo fraudolentemente il loro status.” Allora”, vorrei ancora domandare loro – sempre da cattolica “bambina, parruccona” e forse anche un po’ ingenua, nonostante la mia età non più molto verde – “se, essendo cattoliche, voi conoscevate, come è presumibile, la disciplina della Chiesa in materia di celibato ecclesiastico, perché non siete “fuggite” a gambe levate da una situazione allo stato attuale senza via di uscita e probabilmente vicina a diventare peccaminosa secondo la morale cattolica, non appena vi siete accorte che quel sentimento di amicizia o di simpatia o di stima che nutrivate per quel sacerdote stava trasformandosi in un altro tipo di sentimento che non prometteva nulla di buono?”. Nel recitare l’Atto di Dolore,al momento di ricevere l’assoluzione sacramentale, il penitente non promette solennemente a Dio di “fuggire le occasioni prossime al peccato”?
Le mie interlocutrici potrebbero obiettare che il mio ragionamento è vetero – maschilista e antifemminista, dimostrando di essere (loro sì … ) perfettamente al passo con il pensiero dominante. Forse hanno ragione, ma essendo io donna ed essendo anch’esse donne, mi immedesimo meglio nel problema dal punto di vista femminile (a proposito, i loro “fidanzati” dov’erano quando esse hanno firmata la famosa raccomandata? Forse essi si vergognavano davanti al Papa comparendo con i loro nomi e cognomi e allora hanno prudentemente mandato avanti le loro donne con i soli nomi di battesimo?).Comunque, riconosco che il discorso è valido anche per il partner maschile della vicenda, forse anche più responsabile in quanto persona consacrata che ha fatto a Dio un preciso giuramento. Allora rivolgerò anche ai sacerdoti coinvolti una precisa domanda: “Perché, avvertendo la nuova situazione che andava creandosi nella vostra vita – sicuramente dovuta all’opera del “nemico”, sempre pronto a seminare la sua zizzania nel campo del Padrone – voi non avete allontanato dal vostro orizzonte, con decisione e con fermezza, quelle donne che stavano per diventare l’oggetto dei vostri desideri? Perché non vi siete confidati con i vostri Vescovi, sicuramente capaci di consigliarvi e aiutarvi, magari destinandovi a qualche diverso incarico da svolgere altrove?”
Mi sembrano domande semplicissime e lapalissiane che qualunque “povero di spirito” dovrebbe poter rivolgere agli interessati ricevendo una risposta intelligente e umanamente degna di rispetto; invece, quando si parla di questo problema sui mass – media o tra amici, la risposta che si ottiene è quella tipica degli amori proibiti che si ritengono in diritto di vedere soddisfatto sempre e comunque il proprio desiderio, rappresentati nelle tele-novelas: “E’ successo e non abbiamo potuto farci niente”. Risposta stupida ed è ancora più stupida se è un prete a darla, perché nega il raziocinio che il Creatore ha donato a tutti gli esseri umani insieme alla libertà e alla capacità di discernere il Bene dal Male, oltre a denotare l’ignoranza colpevole del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ecco quindi un altro effetto perverso della secolarizzazione e del relativismo dominanti: pur proclamandosi paladini della libertà ad oltranza, essi finiscono per negare la libertà di scelta dell’uomo, se ammettono che una persona consacrata – che ben conosce i paletti posti alla sua vita dall’impegno che lo rende sacerdote in eterno – possa, a buon diritto, assecondare un istinto che contraddice quell’impegno.
Allora devo dire che ha perfettamente ragione il nostro amico Elefantino, ateo devoto (ma fino a che punto ateo e fino a che punto devoto? … ): gli argomenti più frequentemente addotti per chiedere l’abolizione del celibato dei preti sono solo “mondanità spirituale pura, frivolezza, confetti nuziali”, mutuati (aggiungo io) dai rotocalchi rosa e dai talk – show televisivi, regno incontrastato delle chiacchiere preconfezionate e fini a se stesse. Quella legge non è un dogma e potrà anche essere cambiata, ma essa è di una tale complessità spirituale e cristologica, è una tale prefigurazione del Regno e, al contempo, è di una tale profondità di significato umano che per abolirla ci vogliono motivazioni molto meno banali dell’amore romantico e della frustrazione degli amanti clandestini. E neppure sarà sufficiente addurre come scusa i recenti casi di omosessualità e pedofilia, che si sono rivelati non certo esclusivi del clero cattolico.
Ma i cattolici “adulti” mi obiettano come recitando un mantra: “I tempi sono cambiati!” E’ vero, ma chi li ha cambiati? Cristo - le cui parole non passeranno, a differenza del “cielo e della terra”, e che ha detto che “vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei Cieli” ( Mt 19, 12) – o gli uomini? Non certo Cristo, perché quelle parole (riportate dall’evangelista Matteo secondo lo stile e il linguaggio semitici che gli sono propri) se lette alla luce della “Sacerdotalis Coelibatus” di Paolo VI, sono una chiarissima spiegazione delle ragioni per le quali Dio preferisce che i suoi ministri rimangano casti per dedicarsi totalmente al Suo servizio e a quello dei fratelli. E la Chiesa – che, a sua volta, preferisce accontentare Dio piuttosto che gli uomini – giustamente si adegua (At 5, 29), pur senza farne un dogma di fede. Però essa è convinta che ogni altra interpretazione di quelle parole sia di origine umana e perciò merita solo di essere ignorata (At 5, 39).
Per concludere, voglio condividere con gli amici un pensiero che mi assale sempre quando affronto questi problemi. Se un giorno dovessi andare in cerca del mio Parroco per confessarmi, o spinta dal bisogno spirituale di chiedergli un consiglio utile per la mia anima, o perché mi sento vicina alla morte, o semplicemente per piangere sulla sua spalla e, non trovandolo, mi sentissi dire da qualcuno che, in quel momento, il Parroco è assente perché doveva andare al colloquio con gli insegnanti dei suoi figli, che cosa proverei?
Credo che proverei una tentazione terribile, sicuramente ispirata dal demonio che probabilmente non proverei se mi si dicesse che il Parroco è andato dal medico o dal dentista (anche lui ne ha bisogno …): quella di pensare che Dio non ha tempo o voglia di darmi retta. In altri termini: proverei la disperazione, perché mi sentirei abbandonata da Lui.
Signore, salvami da un simile evento!
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[1] Cfr. Assuntina Morresi, Lo strano club delle amanti dei preti, IL FOGLIO QUOTIDIANO, 21.5.2014, pag.3
[2] Cfr. LA REPUBBLICA, 19.5.2014.
[3] Cfr. IL FOGLIO QUOTIDIANO, 20.5.2014.
[4] Cfr Enciclica “Sacerdotalis coelibatus”, 1967
[5] Cfr. RADICI CRISTIANE, maggio 2014, pag. 23.
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