"[...]
E ad un esame più attento scopriamo che i dogmi sono molto meno stabili
di quello che sembri. Norman Tanner, gesuita britannico, analizzando la
formula del Credo di Nicea e di Calcedonia, dimostra in un acuto saggio
come i primi Concilii ecumenici abbiano speso molto tempo e molta
sapienza teologica nel precisare e correggersi. Dunque se lo hanno fatto
in quell’epoca, perché non oggi? In pratica le definizioni dogmatiche
che consideriamo immutabli non lo erano al tempo in cui furono
determinate e per molti decenni sono state riviste e rielaborate".
(Concilium 2/2014, Dall’«anathema sit» al «Chi sono io per giudicare?», Queriniana, pp. 200, euro 15; www.queriniana.it).
Riporto quest’estratto da una recensione di un libro pubblicato dall'editrice Queriniana perché ha un’opinione
corrente e comune nel nostro povero mondo: "I dogmi sono relativi,
poiché già agli inizi si dimostrarono fluttuanti; quindi anche oggi
possiamo cambiarli (o relativizzarli)". Di fatto molti cristiani se ne
sono da tempo sbarazzati come se fossero vecchie scarpe rotte e questo
discorso, alla fine, va esattamente in questa direzione anche se chi lo
fa, magari, non lo vuole ammettere.
A differenza di un’argomentazione grezza che porta al relativismo, c’è
da dire che nella recensione di questo libro si discetta con una certa
raffinatezza intellettuale. Si sottolinea, infatti, che i termini usati
nei primi secoli cristiani erano fluttuanti, incerti, a volte
intercambiabili e, addirittura, dopo un po’ uno sostituiva un altro.
Questo è senz’altro
vero poiché allora si stava formando un vocabolario teologico e i
significati dei termini della cultura filosofica ed ellenistica non si
prestavano sempre all’uso cristiano.
Quello che, però, pare sfuggire totalmente a questi "teologi" e filologi è che sin dall’epoca apostolica la Chiesa aveva ben chiaro chi fosse Dio e come si
fosse manifestato in Gesù Cristo per averne avuto esperienza nei suoi
propri membri. La chiarezza e la rocciosa stabilità di questa coscienza
non nasceva da un apparato filosofico, da una sapienza di parole (come
direbbe san Paolo), ma da un incontro: l’uomo, attraverso la fede in Cristo, aveva incontrato Dio, l’Inconoscibile si era reso conoscibile, direi "palpabile". Al Dio sconosciuto dell’Areopago i cristiani sapevano dare un nome perché lo avevano incontrato. Si vedano, ad esempio, certi discorsi rivolti all’imperatore da sant’Ambrogio, discorsi che all’uomo attuale potrebbero parere di una sicumera irritante.
Dietro a ciò c’è quello che, in termini fin troppo banalizzati e alcune volte equivoci, definiamo "esperienza nello Spirito" [1].
Il
nucleo di tale esperienza è passato dagli apostoli alle comunità
cristiane e da queste è stato sempre più custodito in particolari
comunità di credenti. I monasteri, nati come reazione al rilassamento
dei cristiani in un impero che non li perseguitava più e che, anzi, li
allettava nel lusso della corte imperiale, conservarono il nucleo di
questa esperienza mistica: il Cristianesimo è prima di tutto un incontro
con il Dio della vita manifestato in Gesù Cristo, un incontro che è e
resta ineffabile, indicibile. Poco importa che siano relativamente pochi
ad averlo avuto. Quei pochi fanno la verità del Cristianesimo.
Non
a caso i più autorevoli padri della Chiesa, fatte le scuole più alte
dell'impero, si ritiravano in monastero o ne passavano un certo tempo.
Lo
stesso Gregorio Magno sospirava i tempi in cui poteva vivere in
monastero, lontano da mille problemi pastorali che gli assorbivano tutte
le energie, proprio perché quello era il luogo dell’incontro con l’Ineffabile, nella preghiera ininterrotta.
Se la Chiesa dei primi secoli ha la chiarissima coscienza di chi è Dio deve immediatamente confrontarsi con alcuni che, capendolo a modo loro, deformano quest’esperienza mostrando tutta un’altra via. Sono i cosiddetti eretici. I dogmi, allora, non nascono tanto dall’esigenza di affermare con parole umane chi è Dio (cosa in realtà impossibile e legata alla pura indicibile esperienza) ma dall’esigenza di dire chi Dio non è.
Nel
momento in cui si stabiliscono delle affermazioni simboliche per porre
dei "paletti" entro i quali orientare il proprio spirito, ci s’imbatte nelle difficoltà della lingua e della cultura di allora.
S’inizia, dunque, ad usare timidamente certi termini, li si sostituisce con altri, si dona nuovo significato a parole che, nell’ellenismo, volevano significare altro, ecc.
Questa
fluttuazione di linguaggio non significava che i dogmi (o meglio i
"paletti" per orientare il proprio spirito) non fossero chiari. Non
significava che Cristo nell’esperienza
dei cristiani non fosse Dio, non fosse la porta per il Padre, ecc.
Queste ultime cose erano gelosamente custodite ed erano chiare come il
sole!
La fluttazione terminologica significava, invece, che i termini utilizzati mostravano sempre qualche evidente limite.
Tuttavia
ci si rendeva conto che era necessario stabilire delle convenzioni
perché il Cristianesimo da via verso Dio (come lo era stato nell’esperienza dei più ferventi fino ad allora) non si trasformasse in una semplice filosofia umana.
Riassumendo: la chiarezza dell’esperienza
precede il tentativo, a volte a tentoni, di stabilire dei "paletti" o
dei dogmi. Una volta che questi si stabiliscono universalmente (con i
concili ecumenici) si tengono come punto di non ritorno, come
affermazioni simboliche per stabilire la differenza tra l'ortodossia
della fede dall'eterodossia che porterebbe ad un cammino spirituale
fuorviato.
Detto
ciò, oggi, si ha chiaro che il Cristianesimo è un cammino e che Cristo è
una porta verso Dio? Nella maggioranza dei casi, no! Viviamo in pieno
relativismo incoraggiato, talora, pure dagli stessi papi recenti.
Oggi, in molti ambienti occidentali, il Cristianesimo è un discorso su Dio con un’istanza puramente etica da seguire. L’orizzonte è sempre più puramente umano. Anzi, ormai è esclusivamente umano!
In un contesto vuoto di "esperienza nello Spirito", cambiare il linguaggio dei dogmi significherebbe senza dubbio alterarne il linguaggio simbolico chiudendo il Cielo, buttando la chiave e impedendo a se stessi e ad altri di accedere al Cielo stesso [2].
In un contesto vuoto di "esperienza nello Spirito", cambiare il linguaggio dei dogmi significherebbe senza dubbio alterarne il linguaggio simbolico chiudendo il Cielo, buttando la chiave e impedendo a se stessi e ad altri di accedere al Cielo stesso [2].
Per
giunta in questa nostra atmosfera relativistica è logico aspettarsi che
i dogmi siano addirittura dichiarati insensati. E, in una realtà "vuota
di Spirito", lo sono per davvero!
Quello che oggi manca, a differenza della Chiesa nei primi secoli, è la matura coscienza d’aver
incontrato Dio nella fede in Gesù Cristo, d'averne in qualche modo
"patita" la presenza, come dicono gli esicasti bizantini.
D'altronde, gli stessi santi occidentali sono raramente dei mistici e prevalentemente dei puri uomini etici.
D'altronde, gli stessi santi occidentali sono raramente dei mistici e prevalentemente dei puri uomini etici.
Tutto
diventa, allora, questione di semplici parole, di semplici concetti. Di
qui la paura più o meno incoscia che la scienza smentisca il
Cristianesimo!
Così,
senza un profondo incontro, si disquisisce dell'aria fritta e nulla ha
più senso: il relativismo vuoto di esperienza cristiana porta
all'agnosticismo bello e buono!
A
questo punto, pure la liturgia (della quale questo blog si occupa)
diviene pura celebrazione umana tra uomini e per gli uomini con qualche
istanza etica in nome di Dio. Lo vediamo, infatti...
La
Chiesa in occidente continua velocemente la sua corsa verso il basso
senza che alcuno la freni e queste pubblicazioni mostrano in modo
drammaticamente chiaro il vuoto di esperienza nello Spirito che pare
precederle. Tutto pare essere un puro discorso, una filosofia...
A
differenza di ciò, i santi antichi sapevano bene quello che facevano.
Essi dicevano: "Noi non lottiamo per delle parole (poiché una parola può
essere combattuta da un’altra) ma per una questione di vita o di morte. Il Cristianesimo è, infatti, vita in Dio e morte in chi non lo accetta".
I dogmi hanno questo background, cosa, oggi, quasi completamente persa.
Non fanno che affastellarsi fatti su fatti a riprova di tutto ciò...
Non fanno che affastellarsi fatti su fatti a riprova di tutto ciò...
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Note
[1] La definizione di "esperienza nello Spirito" è stata ampiamente sfruttata e abusata da parte di alcuni settori cristiani sia nel mondo protestante che in quello cattolico. Spesso si è manifestata come qualcosa di puramente psicologico, nevrotico, sentimentale, dunque assolutamente umano. Anche questo è il segno palese di un incredibile allontanamento dalla prassi e dalla prudenza della Chiesa antica. In realtà l' "esperienza nello Spirito" evangelica è qualcosa che rimane nel dominio dell'ineffabile, per quanto possa essere esperito.
[2] Chi presume di poter cambiare il linguaggio dei dogmi lo può pensare proprio perché mosso dall'individualismo di stampo moderno. Anticamente nessuno poteva pensarlo e questo è dimostrato pure dal dialogo avuto da papa Leone III con i presuntuosi teologi di Carlo Magno. Il dogma è cosa che riguarda tutta la Chiesa, non una sola persona, e quindi dev'essere discusso da tutta la Chiesa. Neppure un papa, affermava Leone III, può inserire, levare o modificare qualsiasi cosa dal dogma della Chiesa.
Relativismo e individualismo selvaggio oramai la fanno da padroni nel Cristianesimo di casa nostra. È, appunto, un Cristianesimo "vuoto di esperienza nello Spirito"!
[1] La definizione di "esperienza nello Spirito" è stata ampiamente sfruttata e abusata da parte di alcuni settori cristiani sia nel mondo protestante che in quello cattolico. Spesso si è manifestata come qualcosa di puramente psicologico, nevrotico, sentimentale, dunque assolutamente umano. Anche questo è il segno palese di un incredibile allontanamento dalla prassi e dalla prudenza della Chiesa antica. In realtà l' "esperienza nello Spirito" evangelica è qualcosa che rimane nel dominio dell'ineffabile, per quanto possa essere esperito.
[2] Chi presume di poter cambiare il linguaggio dei dogmi lo può pensare proprio perché mosso dall'individualismo di stampo moderno. Anticamente nessuno poteva pensarlo e questo è dimostrato pure dal dialogo avuto da papa Leone III con i presuntuosi teologi di Carlo Magno. Il dogma è cosa che riguarda tutta la Chiesa, non una sola persona, e quindi dev'essere discusso da tutta la Chiesa. Neppure un papa, affermava Leone III, può inserire, levare o modificare qualsiasi cosa dal dogma della Chiesa.
Relativismo e individualismo selvaggio oramai la fanno da padroni nel Cristianesimo di casa nostra. È, appunto, un Cristianesimo "vuoto di esperienza nello Spirito"!
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