Presentazione nostra
Don Anthony Cedaka è un valente e preparato sacerdote cattolico americano. Egli appartiene a quella parte di cattolici che ritengono che la sede di Pietro sia vacante. I lettori sanno bene che noi non condividiamo questa opinione, ma questo non toglie nulla al valore delle considerazioni espresse da Don Cedaka. In questa intervista egli fa cenno alle giustificazioni che fondano l'opinione sedevacantista e questo ci ha indotto a redigere un'apposita nota sull'argomento, nella quale esprimiamo la nostra opinione. |
Presentazione di Rivarol
Don Anthony Cedaka ha pubblicato nel 2010 uno studio sulla nuova Messa, col titolo Work of Human Hands, A Theological Critique of the Mass of Paul VI (Opera dell’uomo. Una critica teologica della Messa di Paolo VI), pubblicato dalle Edizioni PhilotheaPress,
disponibile tramite il sito www.SGGResources.org.
Rivarol: Può dirci come le è venuta l’idea di scrivere un’opera sulla nuova Messa? Non vi era già un’abbondante bibliografia sull’argomento?
Don Anthony Cedaka: Certo, ma io ho scritto per rispondere ad un mio bisogno. Avevo 14 anni quando assistetti ai cambiamenti apportati alla liturgia dopo il Vaticano II. Ne fui profondamente scioccato. Questa nuova liturgia mi colpiva per la sua mancanza di riverenza, la Messa non era più qualcosa di sacro. Vissi con questo sentimento per diversi anni, prima di diventare tradizionalista e di essere ordinato sacerdote da Mons. Lefebvre nel 1977. Quando insegnai liturgia al seminario San Pio X nel Michigan, cercai un testo che spiegasse le differenze tra la Messa tradizionale e la Messa di Paolo VI, ma non trovai né uno studio né un articolo, in alcuna lingua, che le spiegasse a sufficienza. Mi ripromisi quindi di farlo io.
Per diversi anni ho raccolto dei documenti da fonti diverse e mi ci sono voluti degli anni per scrivere il libro, che ho terminato nel 2009. Io faccio una comparazione tra il rito di San Pio V e la nuova Messa. Non parlo delle improvvisazioni che possono aver avuto luogo in certe parrocchie, ma proprio della Messa di Paolo VI in latino, come può essere celebrata nella maniera più fedele possibile al Messale. Tratto, non solo dell’Ordinario, ma anche del Proprio. Io studio il rito di Paolo VI dal punto di vista della dottrina – i due riti insegnano due dottrine diverse? – e mi interrogo sulla manifestazione, o l’assenza di manifestazione, del sacro in questo rito, così che mi chiedo quale dei riti sia il più degno.
L’opera è popolare nel mondo anglofono, ed ho avuto delle recensioni favorevoli tra il clero americano “motu proprio”. Ho avuto una recensione positiva anche da un membro della commissione incaricata della nuova traduzione in inglese del Messale di Paolo VI, promulgata 3 anni fa. Il libro si vende bene. Vi è già una eccellente traduzione in francese, ma che non è stata ancora pubblicata. Spero che lo sarà prossimamente.
Rivarol: Lei insiste sul fatto che ha preso in esame l’Ordo Missae in latino. Questo allo scopo di dimostrare che i problemi della nuova Messa non derivano da una cattiva comprensione o applicazione del rito di Paolo VI, ma sono insiti in questo rito? Poiché molti si trovano d’accordo nel fustigare gli abusi che si possono vedere in certe parrocchie, ma una gran parte del mondo tradizionalista si rifiuta di condannare il rito in sé, e senza dubbio molti non si rifiuterebbero di assistervi se esso fosse celebrato in latino.
Don Cedaka: Sì, è così, poiché bisogna comprendere che i problemi che si sono manifestati nella nuova Messa in lingua volgare, in effetti sono i risultati della legislazione liturgica ufficiale, fondata sull’Ordo Missae di Paolo VI. Io parlo degli abusi solo di sfuggita. Per farsi un’idea del mio studio, io invito a visionare il piccolo riassunto video che ho fatto di ogni capitolo e che è disponibile sul mio sito.
Rivarol: Nel suo blog o nelle sue trasmissioni radio, Lei dice di saper decifrare il linguaggio di Bergoglio, perché è l’incarnazione del modernismo degli anni ’60-’70, che Lei conosce bene. Quale esperienza ha avuto del modernismo?
Don Cedaka: Nel 1965 sono entrato in un seminario minore dell’Arcidiocesi di Milwaukee. Nel 1969, sono entrato nel seminario maggiore, dove ho studiato per quattro anni. Quand’ero nel seminario minore e nei primi anni passati al seminario maggiore, cominciavano ad essere introdotti i cambiamenti del concilio Vaticano II. Ho assistito dall’interno del seminario agli effetti devastanti del Concilio sulla liturgia, sulla vita dei sacerdoti e sulla dottrina cattolica. Ho conosciuto questo processo da vicino. Nel seminario maggiore, avevo molti professori modernisti. Durante i miei corsi, non c’è stato un solo dogma della fede cattolica che non ho visto negato. Il metodo dei modernisti era di operare in modo insidioso. Essi minavano la dottrina cattolica mettendo da parte l’insegnamento della Chiesa, per “superarlo”. La loro idea guida era di pretendere che ci fossimo evoluti, che bisognava andare oltre tale o talaltra dottrina.
Per di più, all’epoca i vescovi ammettevano che la Chiesa aderiva a tale insegnamento morale – all’epoca si parlava molto di contraccezione -, ma sfumavano questa precisazione dicendo che dovevamo avere un approccio più pastorale. In realtà, l’insegnamento morale veniva negato nella pratica. Per i professori si trattava di farci credere che la comprensione di questo o di quell’insegnamento si era evoluta. L’evoluzione del dogma è un errore che San Pio X condannò, ed egli aveva messo in guardia contro la duplicità del modernismo, che mostrava di accettare l’insegnamento morale che negava nella pratica… nihil novi sub sole!
Rivarol: Proprio a proposito di questo “approccio pastorale”, in una sua recente trasmissione lei ha detto che il termine “pastorale”, in bocca a Bergoglio, era quasi un nome in codice. Cosa intendeva con questo?
Don Cedaka: Il linguaggio di Bergoglio è lo stesso di quello che ho ascoltato in seminario negli anni ’60. Fin dalla sua elezione, mi è parso evidente che egli ha la mentalità dei preti dell’epoca. Secondo me, il termine “pastorale” è una parola in codice per parlare della negazione pratica degli insegnamenti morali. Un’altra espressione chiave di Bergoglio è “popolo di Dio”, usata per parlare della Chiesa.
La Chiesa non è vista nella sua struttura gerarchica, ma come un’assemblea di fedeli. Tipico è il fatto che Bergoglio detesti la teologia sistematica, che egli definisce arida, astratta, ideologica. Vi è un intero arsenale di termini che vengono direttamente dagli anni ’60.
Rivarol: Che ne pensa degli avvenimenti che hanno condotto all’“elezione” di Bergoglio? Nessuno si aspettava la “rinuncia” di Benedetto XVI e il suo successore si colloca su una linea molto diversa, come se Ratzinger fosse stato spinto ad abbandonare perché un elemento più progressista prendesse il suo posto. Pensa che Bergoglio sia stato eletto per un programma preciso?
Don Cedaka: Io non penso che ci sia stato un complotto, se è questo che lei intende. Semplicemente, Ratzinger vedeva declinare le sue forze. Era appesantito dagli anni e pensava di non essere più utile. Ma si può dire che, scegliendo Bergoglio, il “conclave” abbia voluto provare qualcosa di diverso da ciò che offriva Ratzinger. Egli, con la sua ermeneutica della continuità e la sua immagine più conservatrice, aveva provato a ricondurre le persone alla Chiesa. Non vi è riuscito.
Il “conclave” ha senza dubbio visto in Bergoglio chi avrebbe potuto provare a realizzare un programma diametralmente opposto. Fin dall’inizio egli ha annunciato il cambiamento, fin dalla sua uscita sul balcone. Essendo fallito il tentativo di mettere con Ratzinger una vernice conservatrice al Vaticano II, Bergoglio ha semplicemente proposto di metterlo completamente in pratica.
Rivarol: Il cambiamento sta anche nel nuovo modo di comunicare di Bergoglio, che usa ed abusa delle interviste ed anche delle conversazioni telefoniche private, che poi vengono riportate e sviscerate sulle reti sociali, col rischio che più nessuno le ritenga. Pensa che le interviste concesse da Bergoglio possano essere considerate come appartenenti al “magistero conciliare”? Alcuni, per giustificare certe dichiarazioni a priori scandalose, si lanciano in vere e proprie esegesi della parola dell’occupante la sede di Pietro o la rigettano semplicemente pretendendo che non si tratti di dichiarazioni magisteriali e che quindi possono essere ignorate.
Don Cedaka: L’argomento è pertinente. Bergoglio conosce l’uso dei media moderni. Quando rilascia queste interviste egli fa delle dichiarazioni disinvolte che alla fine diventano pubbliche, egli prova ad insegnare ed ha esattamente l’intenzione di insegnare. Per esempio, non è un caso che abbia voluto fare ogni giorno un’omelia dalla casa Santa Marta, che poi viene ritrasmessa. Nelle sue interviste, è evidente che egli mostra ai cattolici ciò che devono pensare di tale o di talaltro insegnamento della Chiesa. Quindi, tutte queste dichiarazioni sono considerate come destinate a divenire parte del magistero. Proprio perché è l’uomo riconosciuto come papa che propone questi insegnamenti.
Ciò che lui dice, cambia per sempre la maniera con cui i cattolici considerano certi argomenti, e io non sono il solo a dirlo: lo hanno fatto notare editorialisti ben noti, come per esempio il prof. De Mattei o, più recentemente, un commentatore del New York Times. Negli Stati Uniti, e io penso che si tratti anche del caso della Francia, le sue parole sono citate continuamente ed hanno un impatto reale, sono prese in considerazione nei dibattiti pubblici. Si tratta quindi dell’intenzione di insegnare. Le persone che lo riconoscono come papa devono considerare il suo insegnamento autorevole, perché per esse è il capo della Chiesa che parla.
Rivarol: E gli argomenti scottanti sono innumerevoli. Che ne dice del “sinodo” sulla famiglia? Secondo lei, bisogna aspettarsi che decida un cambiamento dottrinale?
Don Cedaka: Il tema centrale di questo “sinodo” sarà chiaramente la questione dell’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati. Bergoglio stesso sembra molto determinato a fare evolvere la pratica, lo ha detto a più riprese. Sarà questo il grande cambiamento che sarà votato. Bergoglio l’ha detto chiaramente attraverso i “cardinali” Kasper (secondo il quale bisogna “tenere il binomio di fedeltà alle parole di Cristo e alla misericordia di Dio”) e Maradiaga (che ha dichiarato: “Dobbiamo riconoscere i segni dei tempi nel 2014 come è stato fatto nel 1963, 1964 e 1965 durante il concilio Vaticano II”).
I modernisti introdurranno un cambiamento in una maniera che sembrerà lasciare intatto l’insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio. Essi insisteranno sul fatto che questa dottrina non è negoziabile. Ma nella pratica la ridurranno a niente, e chiameranno questo “applicazione pastorale” dell’insegnamento tradizionale. In altre parole, negheranno nei fatti l’insegnamento tradizionale.
Ma nelle interviste si fa strada un’altra possibilità di aggirare l’indissolubilità. Si tratterebbe di facilitare l’annullamento dei matrimonii. Si tratterebbe di un modo per camuffare il divorzio. Un tempo gli annullamenti erano molto rari. S trattava di constatare che il matrimonio non era stato contratto tra le due persone, per esempio nel caso in cui il consenso fosse stato ottenuto con la forza. Una volta annullato il matrimonio, le due persone potevano risposarsi, poiché la Chiesa riconosceva che non si erano mai impegnati in un matrimonio. Oggi si vede come una regola di buon senso possa essere sviata per soddisfare la modernità. Così, Kasper, in una intervista ad una pubblicazione gesuita americana, ha dichiarato che “il Santo Padre crede che il 50% dei matrimonii attuali siano invalidi”, in ragione della mancanza di conoscenza degli sposi di ciò che implica il sacramento del matrimonio. La cosa è estremamente scioccante! Si tratta solo di un pretesto per permettere sempre maggiori annullamenti e minare l’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.
L’altro tema che potrebbe essere affrontato al “sinodo” è quello del matrimonio dei preti. Bergoglio ha parlato di questa possibilità ad un certo numero di prelati, che ne hanno parlato alla stampa. Egli ha invitato le conferenze episcopali a sottoporgli delle proposte in tal senso. È possibile che questi siano i due punti centrali. Verranno sollevate anche altre questioni, ma queste saranno quelle cruciali.
Il terzo tema evocato da Bergoglio è la questione di ciò che si chiama “sinodalità”, il governo della Chiesa per mezzo dei sinodi, cioè le assemblee dei vescovi. Egli ne ha parlato molto favorevolmente nel viaggio di ritorno dal Brasile. Si tratta della messa in pratica della collegialità del Vaticano II. E sarà un cambiamento strutturale, poiché modificherà la visione che hanno i cattolici della funzione pontificia.
Secondo lui, molte delle questioni che sono gestite dal papa e dalla curia dovranno essere delegate alle conferenze episcopali dei diversi paesi. Se riuscirà a mettere in pratica questa concezione, istituzionalizzerà a livello locale la rivoluzione del Vaticano II. E questo cambierà radicalmente la comprensione della gente sulla natura della Chiesa, sul modo in cui dev’essere governata e sulla funzione pontificia, che ne risulterebbe indebolita. D’altronde, il programma di Bergoglio è stato costantemente quello di sminuire il papato.
Rivarol: Lei dice che il “sinodo” farà in modo da rendere dubbia la validità dei matrimonii, ponendo la questione del consenso, ma non pensa che in effetti certi matrimonii siano celebrati senza che gli sposi sappiano realmente in cosa si impegnano, sia perché l’indissolubilità del matrimonio non è più insegnata, sia perché essa non è veramente creduta dalle persone che si sposano in chiesa senza una reale convinzione? E allora, ci si può chiedere legittimamente se tali matrimonii siano validi.
Don Cedaka: Assolutamente no! La legislazione tradizionale sul consenso degli sposi, sulla comprensione del loro impegno, non è del tutto esigente. Non c’è bisogno di avere una conoscenza esaustiva del sacramento, per contrarre validamente un matrimonio, se no sarebbe molto difficile per le persone essere certe di aver ricevuto un sacramento! Ciò che i modernisti intendono fare è “alzare l’asticella” per rendere più difficile, ai loro occhi, la validità del sacramento, così che in seguito il matrimonio possa essere annullato più facilmente.
Benché le persone possano avere le idee confuse, in questo mondo moderno in cui il matrimonio non è considerato come un’istituzione molto importante, questo non esclude la presunzione che quando si contrae matrimonio si abbia almeno l’intenzione minimale di fare ciò che vuole la Chiesa.
Rivarol: il rapporto di Bergoglio con gli omosessuali non è un altro esempio del suo “approccio pastorale”? Egli ha sostenuto: “chi sono io per giudicare i gay?”, e lo si vede nelle foto tenere per mano un prete favorevole agli omosessuali, Luigi Ciotti, e baciare quella di un altro prete, Michele de Paolis, che è un militante del LGBT e per il quale l’omosessualità sarebbe un dono di Dio (in un articolo scritto per il sito della sua associazione, Agedo Foggia, egli ha scritto: “Non è vero che siete in peccato, perché Dio vi ama ed è lui che ha messo in voi questa tendenza: è un suo dono. Questa è la vostra ‘natura’, che va accettata e rispettata. Voi non siete malati; non dovete ‘guarire’ da questa tendenza.”). Egli si spinge ben lontano in questo campo. Come lo spiega?
Don Cedaka: Come lei dice, si tratta dell’approccio pastorale degli anni ’60. Bergoglio si dice figlio della Chiesa e afferma di aderire al suo insegnamento. Ma nella pratica, ricevendo calorosamente questa gente e pretendendo di non volerla giudicare, egli lascia intendere che questi comportamenti siano accettabili. Questa famosa frase sul non voler giudicare ha capovolto e cambiato veramente la percezione di certi cattolici riguardo all’omosessualità.
In Illinois, uno Stato che conta una vasta popolazione cattolica, si è svolto un dibattito per legalizzare il “matrimonio” omosessuale. I cattolici vi erano opposti per motivi religiosi. Il Presidente della Camera dei Rappresentanti dell’Illinois, Michael Madigan, ha parafrasato le parole di Bergoglio dicendo: “chi sono io per giudicare che [le unioni gay] dovrebbero essere illegali?”, mentre un altro rappresentante, Linda Chapa La Via, non ha neanche esitato a votare a favore del “matrimonio” gay, dichiarando: “io sono con Gesù e il papa, e per me è evidente che il cuore della dottrina cattolica è l’amore, la compassione, la giustizia”. Come si vede, le parole di Bergoglio hanno delle conseguenze.
Rivarol: Bergoglio ama anche i gesti simbolici. Ha l’abitudine di chiedere delle benedizioni ad altri capi religiosi.
Don Cedaka: È l’ecumenismo del Vaticano II in azione! L’idea è di far credere che la fede cattolica non sia la sola vera fede. Se il supposto papa chiede delle benedizioni agli eretici, vuol dire che le differenze dottrinali non hanno importanza, che ogni religione è buona come un’altra. Con questi gesti teatrali egli dimostra in maniera concreta che la sola cosa che conta è la buona volontà e un sentimento generico di carità verso il prossimo, sentimento che non è conforme alla fede. Ma vi è di più.
Nella persona di Bergoglio, è l’ufficio pontificale che è sminuito, umiliato. Il fatto che colui che si pretende sia il Vicario di Gesù Cristo si inginocchi e chieda la benedizione di qualcuno che professa una falsa religione, è qualcosa che sta all’opposto di ciò che dev’essere il papato. Il papato è la colonna di verità nel mondo. Invece Bergoglio si piega ai pregiudizii della nostra società moderna e secolarizzata, secondo la quale tutte le religioni si equivalgono, una società che ama i gesti teatrali, simbolici come questi.
Negli Stati Uniti, si è molto parlato di un video inviato da Bergoglio ad un gruppo protestante il cui capo predica un vangelo che perfino noi qualificheremmo come molto americano. L’idea è che la pratica della religione può apportare una prosperità materiale. Bergoglio, in un breve messaggio, ha lodato il fatto che essi siano carismatici ed ha anche chiamato un membro del gruppo “suo fratello nell’episcopato”! Questa setta non ha ordini validi e quindi il tipo non è un vescovo. Esattamente come l’arcivescovo di Chanterbury, da cui Bergoglio s’è fatto benedire. Leone XIII ha tranciato infallibilmente la questione delle ordinazioni anglicane, e noi sappiamo che non sono valide. È scioccante che Bergoglio chiami “vescovo” un semplice laico. La setta pentecostale alla quale mi riferisco è conosciuta perché parlano in altre lingue, predicano questo vangelo della ricchezza, compiono delle supposte guarigioni… Questo video era stupefacente, per non parlare dell’“abbraccio spirituale” che Bergoglio vi ha indirizzato ai suoi “fratelli”. Tutto questo è umiliante per la Chiesa e per la nozione del papato.
Rivarol: Per quanto riguarda le sue relazioni con i rappresentanti delle altre religioni, egli si spinge più in là dei suoi predecessori?
Don Cedaka: Io penso che Bergoglio continui ciò che hanno già fatto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Questi andavano già al di là, tutti si ricordano di Giovanni Paolo II davanti al Muro del Pianto. Bergoglio applica gli stessi principii, ma in un modo più emozionale e più concreto. Io non penso che egli sia più radicale, è solo il suo modo di fare che è diverso.
Rivarol: Egli si è mostrato molto compiacente verso l’Islam, ha incoraggiato a leggere il Corano, in Vaticano sono state recitate delle preghiere musulmane, è andato a Lampedusa per accusare l’Europa di non accogliere molto generosamente gli immigrati maomettani.
Don Cedaka: Sì, ho sentito parlare di queste preghiere e ne sono rimasto sorpreso. L’Islam si propone di imporsi in Europa grazie all’immigrazione. Gli immigrati musulmani fanno dei figli e necessariamente vi sarà la sostituzione della cultura, poiché gli adepti del Vaticano II non hanno generalmente delle famiglie numerose.
Il Vaticano II è molto permissivo nell’ordine pratico sulla contraccezione, permette di vivere egoisticamente, e non bisogna attendersi che da parte dei cattolici conciliari possa esserci una resistenza a questa immigrazione musulmana. D’altronde, questa non è assolutamente la preoccupazione di Bergoglio. Egli è indifferente a questa minaccia per la cultura europea e per la fede cattolica. E perché dovrebbe preoccuparsene? I suoi occhi, l’Islam non è una religione altrettanto buona come il cattolicesimo?
Rivarol: Con un prelato così progressista, Lei pensa che ci siano meno possibilità che con Ratzinger di vedere una “normalizzazione canonica” della Fraternità San Pio X?
Don Cedaka: Io ho seguito molto da vicino i negoziati tra la FSSPX e Roma al tempo di Benedetto XVI. È vero che la situazione è cambiata. Innanzi tutto Bergoglio non ha attrazione per la liturgia tradizionale, né per i gruppi tradizionalisti. Come abbiamo detto, il suo programma è molto più Vaticano II. Peraltro, egli ha preso delle misure contro gruppi come i Francescani dell’Immacolata, ai quali ha vietato di celebrare la Messa di San Pio V, si può pensare dunque che i tempi non siano propizii per un accordo.
Tuttavia, Bergoglio pone le “buone intenzioni” di una persona prima del fatto di aderire alla vera religione. È per questo che non sarà attaccato come Benedetto XVI alla firma di un accordo dottrinale con la FSSPX. L’accordo proposto da Mons. Fellay, alla fine ha portato ad un annullamento dei negoziati col Vaticano, e questo mi fa dire che, paradossalmente, con Bergoglio l’accordo potrebbe essere più facile.
L’attuale occupante della sede di Pietro l’ha già detto: il Cammino Neocatecumenale ha la sua interpretazione del Vaticano II, come il movimento Comunione e Liberazione e come le congregazioni tradizionaliste. Per Bergoglio, in definitiva, la FSSPX è cattolica al pari di qualsivoglia altro movimento. Se Bergoglio non si sente separato dagli anglicani o dai pentecostali, non si vede in base a quale principio potrebbe lasciare i tradizionalisti al bando dalla sua Chiesa. Infatti, per lui, le questioni dottrinali non devono dividere.
Non potrebbe neanche stupire che egli tolleri le critiche nei suoi confronti dei sacerdoti della FSSPX, che tolleri le critiche al Vaticano II. La sua maniera di risolvere il problema sarebbe quella di reintegrare senza chiedere contropartite. In ogni caso, questo sarebbe coerente con i principii da lui enunciati fino ad oggi. Sarà appassionante vedere che cosa accadrà.
Rivarol: Non pensa che l’espulsione dell’ottobre 2012 di Mons. Williamson, che non ha mai rinnegato le sue proposizioni revisioniste - e che il 15 luglio ha appena fondato nel convento di Avrillé una Unione Sacerdotale Marcel Lefebvre (USML), che riunisce gli oppositori lefebvriani a Mons. Fellay – sia un presupposto, una conditio sine qua non per un accordo?
Don Cedaka: Io credo che il Vaticano non conoscesse le opinioni di Mons. Williamson prima della remissione delle scomuniche. Se mi ricordo bene, questa è avvenuta prima che apparisse quella intervista. Non erano informati. È evidente che se il Vaticano avesse avuto sentore prima dell’intervista, l’inizio di quella riconciliazione non sarebbe stata possibile.
Rivarol: Quella che Lei pronuncia contro Bergoglio è una condanna senza appello. Che risponde a coloro che invocano l’indefettibilità della Chiesa?
Don Cedaka: Io credo che non si debba avere timore di trarre delle conclusioni. Un cattolico constata facilmente che ciò che dice Bergoglio non è cattolico, che si tratti di dottrina o di morale. E tuttavia, noi sappiamo che la dottrina cattolica insegna che la gerarchia della Chiesa non può indurci in errore o spingerci al male. Siamo al cospetto di un problema: noi crediamo che la Chiesa e il Papa, in virtù dell’indefettibilità, non possono errare; ma è gioco forza constatare che per restare cattolici non si può seguire Bergoglio. La sola maniera di spiegare questa contraddizione è di arrendersi all’evidenza: non siamo di fronte ad una gerarchia cattolica. Queste persone non sono investite dell’autorità di Gesù Cristo.
Alla sola parola “sedevacantismo”, in Francia per lo meno, i tradizionalisti si spaventano, sono disgustati, al pari di tanta gente che lo è quando si pronuncia la parola “revisionismo”. Tuttavia, la conclusione che la sede sia vacante, occupata da un imppstore, è la conseguenza logica, da un lato dell’insegnamento cattolico e dall’altro dell’eresia di Bergoglio e dei suoi predecessori da dopo la morte di Pio XII. Il sedevacantismo è solo una spiegazione. La teologia cattolica ci dice che se la Chiesa è indefettibile, gli individui possono deflettere. È la conclusione logica rispetto ai mali che abbiamo sotto gli occhi. Mali che non possono venire dalla Chiesa! Dire che la nuova Messa viene dalla Chiesa cattolica equivale a dire che questo rito, che anche la FSSPX considera blasfemo e a seconda delle circostanze invalido, ci è stato dato da Gesù Cristo.
Io sono cosciente che è molto difficile immaginare l’orribile realtà di ciò che viviamo. Per lungo tempo ho difeso l’autorità di Paolo VI. Ero di quelli che dicevano che si deformavano le dichiarazioni del “papa”, che era mal consigliato, male obbedito. Ma era un accecamento. Studiando, ho scoperto che Paolo VI era ben consapevole di tutti i cambiamenti dottrinali e liturgici del Vaticano II. Mi sono reso conto che gli errori venivano direttamente da colui che pretendeva essere il capo visibile della Chiesa. Da allora, ho dovuto risolvere questo problema dell’autorità, e a mio avviso il sedevacantismo è l’unico modo cattolico per risolverlo.
Rivarol: Pensa dunque che Bergoglio sia un eretico formale, ma per affermarlo, non serve una dichiarazione della Chiesa?
Don Cedaka: Quando Bergoglio dice che Dio non è cattolico, che non si possono avere certezze sulla dottrina, che gli atei possono andare in Cielo, e molte altre eresie ancora; quando nega in pratica l’indissolubilità del matrimonio, tutto questo è pubblico. Spesso si fa confusione sull’eresia formale, si intende infatti che per affermare che qualcuno sia eretico, occorra una dichiarazione della Chiesa. In realtà questo è il caso del crimine di eresia, che viene dichiarato dopo l’avvertimento dell’autorità ecclesiastica; questa sanzione non è necessaria per affermare e riconoscere il peccato di eresia, e dunque che si tratti di un eretico formale. Per Bergoglio io parlo di peccato di eresia, ricordiamoci che Bergoglio è stato in seminario, non si può quindi mettere in giuoco l’ignoranza, di conseguenza la sua colpevolezza è facilmente presumibile.
Per di più, l’eresia formale non è necessaria per separare qualcuno dalla Chiesa, è sufficiente l’eresia materiale e pubblica; è questo l’insegnamento degli autori, per esempio di Van Noort (Dogmatic Theology 2 : 153), così che senza trovarsi nelle condizioni dell’eresia formale, un eretico materiale che pronunci pubblicamente delle eresie si pone fuori dalla Chiesa; ed è evidente che chi è fuori dalla Chiesa non può esserne il capo. Qui non si tratta di fare del sentimento, o di temere di perdere un certo conforto, in particolare a Parigi, dove i tradizionalisti possono scegliere tra diverse sfumature tradizionaliste. Un cattolico deve agire prima di tutto in accordo con la sua fede, lungi da ogni considerazione materiale.
Sono cosciente che questo è difficile, ed anche che una tale impostura è impensabile; ma i lettori di Rivarol hanno senza dubbio un’apertura di spirito maggiore degli altri, essi che sono coscienti delle numerose menzogne ufficiali, in particolare nel dominio della ricerca storica.
Nel dominio della teologia, come in quello della storia, quando vengono messi in luce nuovi elementi – si tratti di fatti o di principii generali – non si deve esitare a riesaminare e se necessario a rigettare certe conclusioni, quand’anche le si fosse ritenute sempre vere.
Jérôme BOURBON, jeromebourbon@yahoo.fr
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