I figli cristiani massacrati dal satanico “califfo” musulmano, mentre il padre, più o meno santo, non è mai sostituibile - di Padre Ariel S. Levi di Gualdo
… i musulmani amabili, sereni e amorevoli, che esistono e che sono molto più numerosi dei demoni della jihad, quelli che convivono senza problemi di sorta con ebrei e cristiani… sono tutti, di rigore, non osservanti. Quelli che invece osservanti lo sono davvero, hanno uno spirito sprezzante e strutturalmente violento, mossi dal totale rifiuto di adattarsi e di inserirsi in seno alle società e manifestando la pretesa — appunto violenta — di modificare le società a loro uso e consumo, o per meglio dire: di islamizzarle, perché nell’altro vedono un infedele da piegare e da convertire, all’occorrenza anche con quella violenza legittimata da certi loro testi “sacri” e legislativi.
di Padre Ariel S. Levi di Gualdo
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Mentre l’odore dei cadaveri di uomini, donne e bambini sale ormai al cielo gridando vendetta al cospetto di Dio, nel deserto di Ninive decine di migliaia di cristiani sono perseguitati da integralisti islamici [qui, qui, qui,qui, ecc..] che hanno tradotto in violenza e morte il verbo del falso profeta Maometto. E qui è bene chiarire subito: gli ecumenisti spinti ed i politici del dialogo interreligioso privi di memoria storica e di prospettiva futura che giocano rischiosamente con le torce accese attorno ai barili di benzina aperti, sono liberi di indicare questa discutibile figura del VI secolo come “profeta”, o persino come “il grande profeta dell’Islam”, sfoggiando così anche un tocco di piaggeria, che per quei cattolici che dialogano con tutto e con tutti meno che col Cattolicesimo e coi cattolici, non guasta mai. Libero però dal canto mio, senza alcuno ledere e senza alcuna religione vilipendere, di considerare invece Maometto un falso profeta, volendo potrei anche pensare: chissà che si trovi davvero là dov’ebbe a collocarlo Dante Alighieri? [Inferno, XXVIII, 27-51, qui]. Oppure: può essere che dimori nel luogo in cui lo dipinse Giovanni da Modena in un’opera del XIV secolo conservata tutt’oggi nella con-cattedrale di San Petronio in Bologna e ispirata alla Divina Commedia? [qui, qui]. Rimango in ogni caso d’accordo in fede e coscienza col vescovo e martire Stefano Pendinelli [qui], che quando nel 1480 i saraceni irruppero nella cattedrale di Otranto intimandogli: «Smetti di nominare Cristo, Maometto è quello che ora regna!». Egli rispose: «Miseri ed infelici, perché vi ingannate invano? Poiché Maometto, vostro legislatore, per la sua empietà soffre nell’inferno con Lucifero e gli altri demoni le meritate pene eterne; ed anche voi, se non vi convertite a Cristo e non ubbidite ai suoi comandamenti, sarete nello stesso modo bruciati con lui, in eterno». Detto questo fu sgozzato sul suo seggio episcopale. Il 13 agosto, circa ottocento abitanti di quella città, furono giustiziati dai musulmani [qui] ed i loro resti sono oggi conservati e venerati nella antica cattedrale [Cf. Antonio de Ferrariis, de Situ Japigiae, 1558].
Merita poi ricordare che Maometto, ultra cinquantenne, pur avendo già una decina di mogli ed in più varie concubine nella sua riserva [qui], sposò infine una bimba di sei anni, Aisha, figlia del primo califfo dell’Islam Abū Bakr. Un dato storico imbarazzante se letto con le categorie odierne, come dimostra una gazzarra televisiva avvenuta pochi anni fa [qui, qui, qui]. Per questo diversi studiosi islamici contemporanei tentano di ipotizzare che la piccola potrebbe essere stata data in moglie a Maometto a 10 anni con la consumazione del matrimonio avvenuta a 15, altri posticipano persino l’età della consumazione a 19 anni; un’età elevata per la cultura e la società dell’epoca. Secondo la maggior parte delle fonti l’età indicata è però quella di sei anni per il matrimonio e di nove per la sua consumazione. Lo conferma il professor William Montgomery Watt, considerato uno tra i più grandi storici dell’Islam, celebrato come tale dal mondo arabo alla sua morte avvenuta nel 1960. Per l’insigne studioso l’età del matrimonio di Maometto con Aisha e la consumazione dello stesso è quella indicata dalla maggior parte delle fonti islamiche: 6 e 9 anni [Cf. Sahih Muslim, libro VIII, 3310, Sahih Bukhari, vol. VII, libro 62, n. 64]. A poco val dunque cambiare la storia passata per evitare imbarazzi presenti, specie considerando che di recente, in Egitto, il partito dei salafiti ha avanzato la proposta di legge che un uomo possa sposare una femmina già dall’età di 9-10 anni ed iniziare a svolgere su di lei attività sessuali moderate, rifacendosi in tal senso all’esempio dato dallo stesso Maometto. Proposta grazie a Dio respinta, ma che in sé la dice però lunga sull’aria che tira in non pochi ambienti islamici [qui, qui].
Chi afferma che il variegato e frammentato mondo islamico — che non è una religione omogenea, con una dottrina e un magistero più o meno univoco, con una struttura centrale ed una guida mondiale — è una “religione d’amore”, mente e nega la realtà. l’Islam è una religione strutturalmente violenta, perché la violenza è contenuta nei suoi testi “sacri”. Quando infatti si parla di “violenza” in rapporto ai testi, non si esprime una vaga opinione peregrina ma si fa un preciso riferimento storico e scientifico a documenti scritti. Quando invece si parla di testi sacri, ci si riferisce a documenti scritti che da una parte sanciscono una dottrina e dall’altra una legge vincolante, specie in paesi islamici nei quali non esiste neppure il concetto di separazione tra potere politico e potere religioso, sia storicamente sia politicamente. E chiunque avesse argomenti per smentire questi dati di fatto, sappia che i nostri spazi sono sempre lieti di ospitare repliche senza limiti e senza censure, essendo noi dei sereni pensatori cattolici animati dalla libertà dei figli di Dio, non degli jihadisti che staccano le teste dai tronchi dei corpi di chi non la pensa come loro giocando poi con esse a pallone tra scherni e risa [qui, qui, qui]. Il tutto sempre per rimanere nel tema delle religioni che producono quell’amore che, se non esiste nella realtà, deve esistere comunque per i surreali bisogni dettati dalle nostre necessità di sicurezze socio-psicologiche, per le quali siamo pronti — pur di difenderci dall’orrido vero — di vedere e di cogliere amore là dove proprio non c’è. A tal proposito l’Arcivescovo di Mosul, Amel Nona, riparato con molti suoi fedeli sopravvissuti ad Erbil, ha recentemente dichiarato: «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti […] voi pensate che gli uomini sono tutti uguali, ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra» [qui].
Chi afferma che i musulmani adorano il nostro stesso Dio rischia di scivolare nella blasfemia, oltre a non tenere in considerazione il fatto che noi cattolici, nel frammentato mondo islamico, siamo considerati — in tal caso univocamente — degli idolatri e degli infedele bestemmiatori che attraverso la Trinità adorano tre dèi, uno dei quali è l’uomo Gesù, che era solo il penultimo profeta che precedette l’ultimo “grande” profeta, Maometto; e che da noi sarebbe stato divinizzato in somma profanazione al Nome di Dio.
Per buon galateo interreligioso, o più semplicemente per non porre a rischio la nostra pelle o quella dei nostri fedeli che vivono perseguitati dai musulmani in vari angoli del mondo, bisogna guardarsi bene dal replicare, in sereni e pacati discorsi scientifici improntanti sulla antropologia delle religioni, che Maometto, come la storia dimostra, era sì un profeta: il profeta dei barman, al quale riconosciamo indubbio talento nell’uso dello shaker per la preparazione dei cocktail. Dopo avere infatti raccolto e attinto da Ebraismo, da Cristianesimo e da non pochi culti pagani, ha preso e infilato tutto in una centrifuga, servendo per i secoli avvenire il composto di un’unica mistura. Per non parlare delle ripetute forme d’ignoranza palese e manifesta — termine da leggere, ignoranza, nel senso etimologico di mancanza di conoscenza — attraverso le quali mostra di non conoscere bene né tanto meno a fondo diversi testi sacri ebraici e cristiani dai quali attinge per dare vita a un nuovo composto, creativo e rispettabile fuori d’ogni discussione, ma opinabile.
Noi teologi e storici cattolici siamo abituati ormai da secoli a discutere con studiosi non credenti che cercano di de-costruire con il loro rigore scientifico i dogmi della nostra fede; e talvolta, il loro ingegno e la loro cultura, sono così elevati e profondi che ottengono per tutta risposta la nostra stima e il nostro apprezzamento per l’acume col quale portano avanti tesi che noi non possiamo condividere, ma che riconosciamo essere loro sacrosanto diritto esprimere in parole, conferenze, pubblicazioni …
Quando anche i musulmani di diversi paesi arabi, mediorientali, africani, nordafricani e orientali — che come noi non sono passati per le forche caudine della Rivoluzione Francese e dell’Illuminismo e che non hanno mai elaborato i criteri di separazione tra potere politico e potere religioso — impareranno questo, capiranno quant’è importante discutere e convivere con gli altri, anziché tagliar loro le teste in nome della suprema verità dell’unico vero Dio. Impareranno a considerare che lo stesso Dio si è proposto all’uomo, ma non si è mai imposto con violenza all’uomo, al quale Egli riconosce da sempre la libertà di rifiutare lo stesso Creatore che l’ha generato.
Com’ebbi modo di scrivere in un mio libro del 2006 [qui], i grandi apprendisti stregoni del dialogo interreligioso sembrano operare movendosi sul rifiuto di quella realtà che non vogliono cogliere e vedere, questa: i musulmani amabili, sereni e amorevoli, che esistono e che sono molto più numerosi dei demoni della jihad, quelli che convivono senza problemi di sorta con ebrei e cristiani, quelli che senza alcun timore si inseriscono nei vari paesi dell’Occidente, quelli animati da uno spirito che con improprio linguaggio occidentale siamo soliti indicare come liberali e liberisti, quelli coi quali da sempre, io stesso come prete, ho rapporti ottimi, con alcuni legami di amicizia che durano da anni, sono tutti, di rigore, non osservanti. Quelli che invece osservanti lo sono davvero, hanno uno spirito sprezzante e strutturalmente violento, mossi dal totale rifiuto di adattarsi e di inserirsi in seno alle società e manifestando la pretesa — appunto violenta — di modificare le società a loro uso e consumo, o per meglio dire: di islamizzarle, perché nell’altro vedono un infedele da piegare e da convertire, all’occorrenza anche con quella violenza legittimata da certi loro testi “sacri” e legislativi. O forse qualcuno ricorda di aver visto ritornare in Italia taluni dei tanti bambini e bambine che non pochi padri musulmani hanno portato dalla sera alla mattina nei propri paesi di origine? E quando le madri italiane, dopo lunghi iter giudiziari hanno lamentato attraverso rogatorie internazionali il rapimento dei figli, chiedendo il riconoscimento del diritto perlomeno a vederli, che cosa si sono sentite rispondere da numerosi tribunali di diversi paesi arabi nei quali si applica la Sharia, la legge religiosa islamica? Questo: che per la legge islamica la prole appartiene al padre [qui, qui], come chiarisce il Ministero degli affari esteri in un proprio protocollo ufficiale redatto per dare risposte e indicazioni riguardo casi di rapimento che nel tempo sono stati tutt’altro che rari e isolati [vedere qui, pag. 13-15]. Motivo per il quale l’allora vescovo segretario della Conferenza Episcopale Italiana Mariano Crociata, pur usando un linguaggio molto paludato, affermò: «I matrimoni misti con musulmani, di cui si è occupato un documento dei vescovi italiani, non sono da incoraggiare, perché il passare degli anni porta spesso a ritornare alle condizioni culturali e ai rapporti sociali, religiosi e giuridici di origine, con conseguenze a volte drammatiche che possono ricadere sui figli» [qui, qui].
Tanti sarebbero gli episodi da narrare e numerosi gli atti di violenza spinti sino a gesti estremi non poi così rari: padri musulmani osservanti che in Italia, come in altri paesi d’Europa, hanno ucciso o tentato di uccidere le figlie perché invece di frequentare unicamente il ghetto islamico avevano stretto amicizie o relazioni con giovani cattolici, donne obbligate alla infibulazione per mano di praticoni, con tutti i rischi del caso per la loro salute, a partire dalla setticemia, fanciulli tenuti isolati e distanti dai figli delle famiglie cristiane per evitare contaminazioni, adolescenti finite ripetutamente nei pronto soccorso in seguito alle percosse dei padri che avevano scoperto che fuori casa si toglievano il velo di testa [qui, qui, qui,qui, qui, qui, qui, qui, qui, ecc …], il tutto, va da sé: in nome di una religione che è una religione d’amore, s’intende, i cui fedeli osservanti adorano mistici e benevoli il nostro stesso Dio, s’intende …
A tal proposito sarebbe sufficiente fare un giro per i vari paesi europei e prendere atto di quella realtà che per pura politica, o che per laico odio distruttivo verso se stessi, gli europei non vogliono vedere: siamo in fase avanzata di colonizzazione islamica, che alla resa dei conti non risulterà migliore bensì assai peggiore dell’irruzione dei musulmani a Otranto. Mentre infatti i nostri eterni adolescenti occidentali si decidono a fare un figlio — forse — alle soglie dei quarant’anni, certe coppie di islamici osservanti naturalizzati in Europa a quell’età si accingono a diventare nonni, dopo averne messi al mondo tre o quattro, di figli.
I maestri del dialogo interreligioso onirico e della laica politica dell’integrazione che traggono fondamento dal libro di Alice nel Paese delle Meraviglie usato come fosse un manuale scientifico, non vogliono poi fare i conti con un’altra realtà tanto evidente quanto pericolosa: come fa, un operaio con uno stipendio di 1.200 euro al mese, a mantenere una moglie casalinga e tre o quattro figli? Nessun mistero perché anche a questo c’è risposta, anche se i maestri del dialogo interreligioso onirico e quelli della laica politica dell’integrazione che traggono fondamento dal libro di Alice nel Paese delle Meraviglie usato come fosse un manuale scientifico, la risposta non desiderano neppure sfiorarla. Meno che mai accettare la pericolosa realtà che alla prova dei fatti è la seguente: molte di queste persone ricevono aiuti e sovvenzioni da alcuni ricchi paesi arabi, a partire dall’Arabia Saudita. Lo prova il fatto che la gran parte degli islamici giunti in Europa, nei loro paesi d’origine — in particolare quelli provenienti dal Magreb, dove per osservanza religiosa non si brilla — a casa loro non sapevano neppure che cosa volesse dire osservare i precetti dell’Islam. Parlo in tal senso come testimone oculare, perché quando non ero neppure sfiorato dall’idea di poter diventare un giorno prete e come giovanotto spensierato giravo all’occorrenza per il mondo, ricordo di avere visto anni e anni fa, a Casablanca ed a Tunisi, ragazze così libere nei costumi da far impallidire le giovani più disinvolte che si potevano incontrare all’epoca per la strade delle grandi città italiane. Giunti però in Europa, d’improvviso e d’incanto molti di questi magrebini si sono scoperti osservanti, mentre le loro mogli che a Casablanca ed a Tunisi portavano gonne corte, pantaloni e vestiti scollati, dalla sera alla mattina si sono coperte le gambe, le braccia ed i capelli col velo.
Quale ineffabile e misteriosa folgorazione può avere reso possibile questi radicali cambiamenti di vita e di costume del tutto repentini?
Nessuna folgorazione, nessuna mistica rivelazione. Semplicemente i soldi e gli aiuti di quei ricchi paesi arabi che hanno pianificato da tempo una precisa conquista dell’Europa che passa di necessità attraverso la famiglia e il più alto numero di figli partoriti in paesi dove il tasso di natalità — come per esempio nella nostra Italia — è ormai da anni al di sotto dello zero.
Al contrario, invece, i musulmani non osservati, quelli europeizzati od occidentalizzati, alla stessa stregua degli italiani e degli altri europei non riescono affatto ad avere tre o quattro figli e una moglie casalinga con 1.200 euro al mese di stipendio, perché a loro, di soldi, tramite il circuito catalizzatore di certi centri di cultura islamica sovvenzionati da precisi paesi arabi non ne arrivano proprio.
Passiamo ad altro.
Sotto gli occhi impotenti del mondo, gli integralisti islamici foraggiati di armi e di soldi dall’ipocrita doppiezza di Arabia Saudita e Qatar, stanno scannando i nostri cristiani in vari angoli del mondo. Il tutto mentre una voce autorevole, che a parere di taluni sembra non esprimersi con chiarezza su questa colossale tragedia, lascerebbe ad altri l’incombenza di parlare, come emerge dalle righe di Sandro Magister [qui]. Altri sostengono invece che avrebbe parlato, o che parlerebbe comunque col proprio linguaggio, che passerebbe però inosservato per immane dolo dei mass media, interessati a riportare solo quel che vogliono e nel modo che vogliono, come lascia invece capire Massimo Introvigne [qui].
Desidero aprire un tema che non possiamo manco definire anticonformista, perché si tratta di un vero tabù: l’uso legittimo della forza e delle armi. Discorso impossibile a farsi perché da tempo la buona società laica, distrutti i dogmi di quella fede cattolica ai quali ormai si richiama giusto per inscenare ironie e sberleffi [qui], ha finito col creare dei nuovi “dogmi”, uno di questi è: «Pace a tutti i costi».
Sia chiaro, tutti vogliamo la pace, ma non possiamo reclamarla in modo cieco, peggio «a tutti i costi», perché il drammatico monito del salmista dovrebbe renderci sempre realisti e vigili: «Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra» [salmo 119, 7 qui]. Vi sono infatti situazioni estreme nelle quali per difendere la pace e per tutelare l’incolumità e la vita delle persone inermi sottoposte a violenza è necessario, anzi doveroso l’uso della forza e delle armi [qui, qui, qui]. In tal senso la dottrina cattolica non lascia spazio a dubbi: «Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare» [Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309, qui].
Molti pacifondisti della nostra buona società laica, quelli che per paradosso sono poi favorevoli ad aborto ed eutanasia, al “dogma” del «no alla guerra a tutti i costi» ne fanno seguire appresso un altro: «No alla pena di morte, sempre!». Ce lo insegna il più famoso indemoniato della storia della Repubblica Italiana: Marco Pannella, con la sua fedele accolita Emma Bonino al seguito, l’amabile fabbricante di angeli che praticava aborti con una pompa da bicicletta [qui]. I due prodi, spaziando all’occorrenza tra marce di protesta e scioperi della fame, hanno levato il civile vessillo urlando: «No alla pena di morte, sempre!» [qui, qui], definendo però al tempo stesso l’aborto come una “conquista sociale” e come “acquisizione di un grande diritto civile” [qui, qui]. Ebbene, non essendo io incline ad usare le parole a caso, tanto venero la lingua italiana, torno a ripetere che persone del genere non hanno una mente semplicemente borderline, ma proprio una radicale mente satanica.
Ovviamente sono d’accordo col “no” alla pena di morte, ciò sul quale non posso essere moralmente d’accordo è il “sempre!”. Un’affermazione assoluta che basandosi sull’emotività ideologica e sul rigoroso rifiuto della realtà, non tiene in conto di elementi rari e straordinari presenti nella storia passata e recente e che come tali possono sempre riproporsi. Per esempio: se anziché morire suicida nel suo bunker di Berlino, Adolf Hitler fosse sopravvissuto e finito agli arresti, qualche pacifondista ideologico o qualche radicale libero, sarebbe forse pronto a sostenere che andrebbe prima di tutto processato — ovviamente — poi condannato ad adeguata rieducazione tramite l’affidamento ai servizi sociali, da svolgere semmai presso una fondazione ebraica impegnata nella cura degli orfani rimasti senza i genitori morti dentro le camere a gas dei campi di concentramento e ridotti cadaveri in cenere dentro i forni crematori?
Riguardo la pena di morte la nostra dottrina afferma che «L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani» [Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267, qui]. I cattolici più o meno adulti o più o meno mondani che sostengono altro e che si uniscono solidali al coro surreale e conformista dei laicisti pacifondisti, non esprimono quindi un pensiero cattolico, solo un pensiero loro personale, rispettabile, ma opinabile e non conforme alla dottrina e alla morale cattolica.
Vi sono poi casi estremi, rari se vogliamo, ma presenti nella storia e sempre riproponibili al presente, nei quali uccidere un essere umano è “doveroso” perché la sua soppressione fisica è l’estremo ed unico mezzo per salvare intere popolazioni, perché la semplice permanenza in vita di certe figure-simbolo potrebbe prolungare delle guerre in corso e produrre la morte di altri milioni di uomini, donne e bambini, pure se simili figure carismatiche fossero rinchiuse a vita dentro un carcere di massima sicurezza. Questo è infatti il problema: restando in vita, vi rimarrà anche la loro ideologia di odio e di morte che in molti assassini al loro seguito seguiterà a generare morte e distruzione. Altrettanto non si può dire di un comune assassino, o anche del peggiore dei serial killer, che una volta rinchiuso in un carcere sicuro, non potrà più nuocere. In quel caso condannarlo alla sedia elettrica o ad altra pena capitale è quando di più inutile si possa fare, anche se ciò fa storicamente parte di una certa cultura di stampo calvinista molto radicata negli Stati Uniti d’America, terra delle opportunità, delle libertà e dei diritti umani.
Vogliamo forse dimenticare che mentre la Germania era ormai in ginocchio, il regime hitleriano mandava a morire adolescenti di sedici anni arruolati in un esercito alla totale disfatta che si ostinava a combattere una guerra che era già inesorabilmente perduta? Cosa che proseguì sin quando Adolf Hitler rimase in vita e con lui viva la speranza. Non a caso, appena fu resa ufficiale la notizia della sua morte, un’ondata di suicidi percorse la Germania; e molti caddero di propria stessa mano sul cadavere bruciato di quell’uomo-simbolo, assieme al quale era stato incenerito anche il carisma diabolico e la speranza che in molti era sempre viva, anche dinanzi alla evidente disfatta della guerra ormai perduta.
Questo il motivo per il quale «io sono per la pace», non però a “tutti i costi”. Questo il motivo per il quale sono contro la pena di morte, non però “sempre”, anche se le eccezioni al “sempre” sono rare e legate a figure che hanno più del diabolico che dell’umano, come il sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi [qui], al quale nessuna mente umana può augurare lunga vita, né una condanna con successivo affidamento ai servizi sociali, col possibile rischio che, appresso, l’indemoniato Marco Pannella lo candidi nelle liste del Partito Radicale Transnazionale alle elezioni europee, minacciando in caso contrario scioperi della fame dai quali però (che strano… ) esce sempre brillantemente.
Per questo prego e spero che si proceda quanto prima con un intervento armato per salvare certe popolazioni inermi, dopo che “mamma America” avrà ben valutato i propri interessi petroliferi assieme ad altre due illustri dame che si proclamano da sempre culle della civiltà e dei diritti delle libertà: Francia e Inghilterra. E una volta catturato quel pericoloso ossesso del sedicente califfo che sta seminando morte e terrore — ammesso che sia lasciato in vita fino al processo da coloro che lo avranno catturato — forse sarà necessario giustiziarlo, se la sua permanenza in vita comportasse l’invio alla morte di adolescenti di sedici anni vestiti dalla sera alla mattina da soldatini, prolungando la guerra e aumentando a dismisura la morte di civili inermi e innocenti. Il tutto memori del fatto che noi siamo per la pace, ma quando ne parliamo, certi servi del Demonio vogliono più che mai la guerra.
Prima di passare ad altro discorso merita far cenno a un argomento che sarebbe di per sé enciclopedico, qualora si volesse parlare della “grande mamma” e di certe “dame” cui accennavo poc’anzi. Per farsi breve: sappiamo tutti com’era e chi era Saddam Hussein, ma non dimentichiamo che era un laico, ed il suo primo ministro, più volte capo del governo, Tareq Aziz, era addirittura un cattolico caldeo. Come del resto era laico lo scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, la cui monarchia fu fatta cadere dalla madre patria dei diritti di liberté, egalité e fraternité, perché Ruhollāh Khomeyni, per andare a conquistare quel Paese che poi diverrà l’Iran, non partì dalla Capitale dell’Arabia Saudita, ma da Parigi, mentre poco dopo, Francia e Inghilterra, ottenevano da quell’autocrate religioso contratti petroliferi più vantaggiosi rispetto ai precedenti concessi dal decaduto monarca. E detto questo ci fermiamo, perché l’argomento sarebbe appunto enciclopedico. Una cosa è certa: tutte le volte che per i propri interessi certi paesi dell’Occidente hanno fatto cadere alcuni regimi retti da dittatori tutt’altro che teneri, al loro posto è sempre subentrato il peggio, dai Khomeyni ai Bin Laden, nella “migliore” delle ipotesi sono scoppiate sanguinose guerre civili. Ma, come si sa da sempre: Parigi o Londra … val bene un barile di petrolio!
Attualmente mi trovo in Sicilia, per l’esattezza a Siracusa, dove quando posso trascorro alcuni periodi di tempo. Durante i miei soggiorni celebro la Santa Messa domenicale al Santuario della Madonna delle Lacrime [qui], fermandomi ad amministrare le confessioni a penitenti di passaggio ed a penitenti che mi conoscono da anni. La scorsa domenica, un giovane penitente, mi ha ispirato una riflessione sul problema del padre …
… il ragazzo mi dice:
“Purtroppo ho un genitore che mi ispira disprezzo, secondo lei, commetto peccato?”.
Rimango in silenzio, ed anche lui tace, fin quando riprende a parlare:
“Cosa mi dice?”.
A quel punto rispondo:
“Figliolo, sei tu che devi spiegarti, domandando anzitutto a te stesso: perché lo disprezzo?”.
Il giovane cominciò:
“Provo per lui disprezzo perché è umorale e spesso prende decisioni assurde … perché con i suoi discorsi imbarazza noi familiari che gli stiamo attorno … perché si potrebbe prenderlo e rivoltarlo come un calzino, ma senza riuscire a tirare fuori dalla sua bocca un chiaro si o un chiaro no, il suo parlare è tutta ambiguità e vaghezza … perché in pubblico trabocca gioia e sorriso, ma quando è tra le mura di casa è intrattabile … perché è permaloso, a volte pure vendicativo … perché … perché … perché …”.
Replico:
“Figliolo, non aspettarti che io ti dica cose del tipo: porta la tua croce santificandoti in tal modo con questa penitenza offerta per i peccati dell’universo mondo. Tutt’altro desidero chiederti: pensi che tuo padre, al quale possiamo riconoscere tutti questi difetti da te elencati, sia sostituibile? Perché vedi: volendo puoi anche rompere qualsiasi relazione con lui, puoi anche rinnegarlo e non vederlo mai più, puoi anche affermare che lui non è più tuo padre e che tu non sei più suo figlio. Tutte decisioni possibili e fattibili, semmai a caro e doloroso prezzo, ma una cosa non sarà mai né possibile né fattibile: sostituirlo».
Mi domanda il giovane:
«Perché mi dice questo?».
Rispondo:
«Perché credo di essere andato all’origine del tuo dolore: l’impossibilità di sostituire ciò che non è sostituibile, che ti piaccia o che non ti piaccia, perché lui sta all’origine fondante della tua vita, del tuo essere ed esistere; e per quanto indegno o inadeguato possa apparirti e forse essere, rimane il naturale e insostituibile pater familias. Tu hai messo in luce tutti i difetti e le inadeguatezze di tuo padre, che dal primo all’ultimo sono sicuramente veri; e di essi hai preso atto. Adesso devi però prendere atto della cosa più dolorosa da accettare e da vivere: il fatto che non cesserà mai di essere il tuo unico, vero e legittimo padre».
Domanda il giovane:
«Dunque, che cosa devo fare?»
Replico:
«Cercare di accettare il padre che hai, se puoi, ma soprattutto cercare di non distruggere mai, a prescindere da lui, l’idea del padre».
Mentre lo assolvevo dentro di me mi sono detto: «Figlio amatissimo, forse non immagini neppure quanto ti capisco, ed assieme a te, possa il Signore perdonare anche me».
Terminato quell’ultimo pensiero ho lanciato uno sguardo di congedo verso il quadretto della Madonna delle Lacrime che era lì, in alto sull’altare, con un tenero sorriso stampato sul volto [qui, qui]. Sembra infatti che oggi la Beata Vergine Maria abbia ormai esaurite tutte le lacrime che aveva da piangere, incluse quelle di sangue, piante anni fa — e non penso a caso — proprio alle porte di Roma, bagnando col sangue dei propri occhi anche le mani di un vescovo [qui, qui]. E, come sempre: chi vuole intendere intenda, finché siamo ancora in tempo, forse …
Nel mentre affidiamoci alla intercessione di Maria Auxilium Christianorum, alla Madonna delle Vittorie, alla quale successivamente sarà dato il nome di Madonna del Rosario [qui], al Vescovo Stefano ed ai Santi Martiri di Otranto, affinché per grazia di Dio, la Lega Santa, possa vincere in un vicino futuro la nuova battaglia di Lepanto, che sarà sicuramente più temibile ancora di quella del 1571.
Redazione
http://www.riscossacristiana.it/figli-cristiani-massacrati-dal-satanico-califfo-musulmano-mentre-il-padre-piu-meno-santo-e-mai-sostituibile-di-padre-ariel-s-levi-di-gualdo/
di Padre Ariel S. Levi di Gualdo
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Mentre l’odore dei cadaveri di uomini, donne e bambini sale ormai al cielo gridando vendetta al cospetto di Dio, nel deserto di Ninive decine di migliaia di cristiani sono perseguitati da integralisti islamici [qui, qui, qui,qui, ecc..] che hanno tradotto in violenza e morte il verbo del falso profeta Maometto. E qui è bene chiarire subito: gli ecumenisti spinti ed i politici del dialogo interreligioso privi di memoria storica e di prospettiva futura che giocano rischiosamente con le torce accese attorno ai barili di benzina aperti, sono liberi di indicare questa discutibile figura del VI secolo come “profeta”, o persino come “il grande profeta dell’Islam”, sfoggiando così anche un tocco di piaggeria, che per quei cattolici che dialogano con tutto e con tutti meno che col Cattolicesimo e coi cattolici, non guasta mai. Libero però dal canto mio, senza alcuno ledere e senza alcuna religione vilipendere, di considerare invece Maometto un falso profeta, volendo potrei anche pensare: chissà che si trovi davvero là dov’ebbe a collocarlo Dante Alighieri? [Inferno, XXVIII, 27-51, qui]. Oppure: può essere che dimori nel luogo in cui lo dipinse Giovanni da Modena in un’opera del XIV secolo conservata tutt’oggi nella con-cattedrale di San Petronio in Bologna e ispirata alla Divina Commedia? [qui, qui]. Rimango in ogni caso d’accordo in fede e coscienza col vescovo e martire Stefano Pendinelli [qui], che quando nel 1480 i saraceni irruppero nella cattedrale di Otranto intimandogli: «Smetti di nominare Cristo, Maometto è quello che ora regna!». Egli rispose: «Miseri ed infelici, perché vi ingannate invano? Poiché Maometto, vostro legislatore, per la sua empietà soffre nell’inferno con Lucifero e gli altri demoni le meritate pene eterne; ed anche voi, se non vi convertite a Cristo e non ubbidite ai suoi comandamenti, sarete nello stesso modo bruciati con lui, in eterno». Detto questo fu sgozzato sul suo seggio episcopale. Il 13 agosto, circa ottocento abitanti di quella città, furono giustiziati dai musulmani [qui] ed i loro resti sono oggi conservati e venerati nella antica cattedrale [Cf. Antonio de Ferrariis, de Situ Japigiae, 1558].
Merita poi ricordare che Maometto, ultra cinquantenne, pur avendo già una decina di mogli ed in più varie concubine nella sua riserva [qui], sposò infine una bimba di sei anni, Aisha, figlia del primo califfo dell’Islam Abū Bakr. Un dato storico imbarazzante se letto con le categorie odierne, come dimostra una gazzarra televisiva avvenuta pochi anni fa [qui, qui, qui]. Per questo diversi studiosi islamici contemporanei tentano di ipotizzare che la piccola potrebbe essere stata data in moglie a Maometto a 10 anni con la consumazione del matrimonio avvenuta a 15, altri posticipano persino l’età della consumazione a 19 anni; un’età elevata per la cultura e la società dell’epoca. Secondo la maggior parte delle fonti l’età indicata è però quella di sei anni per il matrimonio e di nove per la sua consumazione. Lo conferma il professor William Montgomery Watt, considerato uno tra i più grandi storici dell’Islam, celebrato come tale dal mondo arabo alla sua morte avvenuta nel 1960. Per l’insigne studioso l’età del matrimonio di Maometto con Aisha e la consumazione dello stesso è quella indicata dalla maggior parte delle fonti islamiche: 6 e 9 anni [Cf. Sahih Muslim, libro VIII, 3310, Sahih Bukhari, vol. VII, libro 62, n. 64]. A poco val dunque cambiare la storia passata per evitare imbarazzi presenti, specie considerando che di recente, in Egitto, il partito dei salafiti ha avanzato la proposta di legge che un uomo possa sposare una femmina già dall’età di 9-10 anni ed iniziare a svolgere su di lei attività sessuali moderate, rifacendosi in tal senso all’esempio dato dallo stesso Maometto. Proposta grazie a Dio respinta, ma che in sé la dice però lunga sull’aria che tira in non pochi ambienti islamici [qui, qui].
Chi afferma che il variegato e frammentato mondo islamico — che non è una religione omogenea, con una dottrina e un magistero più o meno univoco, con una struttura centrale ed una guida mondiale — è una “religione d’amore”, mente e nega la realtà. l’Islam è una religione strutturalmente violenta, perché la violenza è contenuta nei suoi testi “sacri”. Quando infatti si parla di “violenza” in rapporto ai testi, non si esprime una vaga opinione peregrina ma si fa un preciso riferimento storico e scientifico a documenti scritti. Quando invece si parla di testi sacri, ci si riferisce a documenti scritti che da una parte sanciscono una dottrina e dall’altra una legge vincolante, specie in paesi islamici nei quali non esiste neppure il concetto di separazione tra potere politico e potere religioso, sia storicamente sia politicamente. E chiunque avesse argomenti per smentire questi dati di fatto, sappia che i nostri spazi sono sempre lieti di ospitare repliche senza limiti e senza censure, essendo noi dei sereni pensatori cattolici animati dalla libertà dei figli di Dio, non degli jihadisti che staccano le teste dai tronchi dei corpi di chi non la pensa come loro giocando poi con esse a pallone tra scherni e risa [qui, qui, qui]. Il tutto sempre per rimanere nel tema delle religioni che producono quell’amore che, se non esiste nella realtà, deve esistere comunque per i surreali bisogni dettati dalle nostre necessità di sicurezze socio-psicologiche, per le quali siamo pronti — pur di difenderci dall’orrido vero — di vedere e di cogliere amore là dove proprio non c’è. A tal proposito l’Arcivescovo di Mosul, Amel Nona, riparato con molti suoi fedeli sopravvissuti ad Erbil, ha recentemente dichiarato: «Ho perso la mia diocesi. Il luogo fisico del mio apostolato è stato occupato dai radicali islamici che ci vogliono convertiti o morti […] voi pensate che gli uomini sono tutti uguali, ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra» [qui].
Chi afferma che i musulmani adorano il nostro stesso Dio rischia di scivolare nella blasfemia, oltre a non tenere in considerazione il fatto che noi cattolici, nel frammentato mondo islamico, siamo considerati — in tal caso univocamente — degli idolatri e degli infedele bestemmiatori che attraverso la Trinità adorano tre dèi, uno dei quali è l’uomo Gesù, che era solo il penultimo profeta che precedette l’ultimo “grande” profeta, Maometto; e che da noi sarebbe stato divinizzato in somma profanazione al Nome di Dio.
Per buon galateo interreligioso, o più semplicemente per non porre a rischio la nostra pelle o quella dei nostri fedeli che vivono perseguitati dai musulmani in vari angoli del mondo, bisogna guardarsi bene dal replicare, in sereni e pacati discorsi scientifici improntanti sulla antropologia delle religioni, che Maometto, come la storia dimostra, era sì un profeta: il profeta dei barman, al quale riconosciamo indubbio talento nell’uso dello shaker per la preparazione dei cocktail. Dopo avere infatti raccolto e attinto da Ebraismo, da Cristianesimo e da non pochi culti pagani, ha preso e infilato tutto in una centrifuga, servendo per i secoli avvenire il composto di un’unica mistura. Per non parlare delle ripetute forme d’ignoranza palese e manifesta — termine da leggere, ignoranza, nel senso etimologico di mancanza di conoscenza — attraverso le quali mostra di non conoscere bene né tanto meno a fondo diversi testi sacri ebraici e cristiani dai quali attinge per dare vita a un nuovo composto, creativo e rispettabile fuori d’ogni discussione, ma opinabile.
Noi teologi e storici cattolici siamo abituati ormai da secoli a discutere con studiosi non credenti che cercano di de-costruire con il loro rigore scientifico i dogmi della nostra fede; e talvolta, il loro ingegno e la loro cultura, sono così elevati e profondi che ottengono per tutta risposta la nostra stima e il nostro apprezzamento per l’acume col quale portano avanti tesi che noi non possiamo condividere, ma che riconosciamo essere loro sacrosanto diritto esprimere in parole, conferenze, pubblicazioni …
Quando anche i musulmani di diversi paesi arabi, mediorientali, africani, nordafricani e orientali — che come noi non sono passati per le forche caudine della Rivoluzione Francese e dell’Illuminismo e che non hanno mai elaborato i criteri di separazione tra potere politico e potere religioso — impareranno questo, capiranno quant’è importante discutere e convivere con gli altri, anziché tagliar loro le teste in nome della suprema verità dell’unico vero Dio. Impareranno a considerare che lo stesso Dio si è proposto all’uomo, ma non si è mai imposto con violenza all’uomo, al quale Egli riconosce da sempre la libertà di rifiutare lo stesso Creatore che l’ha generato.
Com’ebbi modo di scrivere in un mio libro del 2006 [qui], i grandi apprendisti stregoni del dialogo interreligioso sembrano operare movendosi sul rifiuto di quella realtà che non vogliono cogliere e vedere, questa: i musulmani amabili, sereni e amorevoli, che esistono e che sono molto più numerosi dei demoni della jihad, quelli che convivono senza problemi di sorta con ebrei e cristiani, quelli che senza alcun timore si inseriscono nei vari paesi dell’Occidente, quelli animati da uno spirito che con improprio linguaggio occidentale siamo soliti indicare come liberali e liberisti, quelli coi quali da sempre, io stesso come prete, ho rapporti ottimi, con alcuni legami di amicizia che durano da anni, sono tutti, di rigore, non osservanti. Quelli che invece osservanti lo sono davvero, hanno uno spirito sprezzante e strutturalmente violento, mossi dal totale rifiuto di adattarsi e di inserirsi in seno alle società e manifestando la pretesa — appunto violenta — di modificare le società a loro uso e consumo, o per meglio dire: di islamizzarle, perché nell’altro vedono un infedele da piegare e da convertire, all’occorrenza anche con quella violenza legittimata da certi loro testi “sacri” e legislativi. O forse qualcuno ricorda di aver visto ritornare in Italia taluni dei tanti bambini e bambine che non pochi padri musulmani hanno portato dalla sera alla mattina nei propri paesi di origine? E quando le madri italiane, dopo lunghi iter giudiziari hanno lamentato attraverso rogatorie internazionali il rapimento dei figli, chiedendo il riconoscimento del diritto perlomeno a vederli, che cosa si sono sentite rispondere da numerosi tribunali di diversi paesi arabi nei quali si applica la Sharia, la legge religiosa islamica? Questo: che per la legge islamica la prole appartiene al padre [qui, qui], come chiarisce il Ministero degli affari esteri in un proprio protocollo ufficiale redatto per dare risposte e indicazioni riguardo casi di rapimento che nel tempo sono stati tutt’altro che rari e isolati [vedere qui, pag. 13-15]. Motivo per il quale l’allora vescovo segretario della Conferenza Episcopale Italiana Mariano Crociata, pur usando un linguaggio molto paludato, affermò: «I matrimoni misti con musulmani, di cui si è occupato un documento dei vescovi italiani, non sono da incoraggiare, perché il passare degli anni porta spesso a ritornare alle condizioni culturali e ai rapporti sociali, religiosi e giuridici di origine, con conseguenze a volte drammatiche che possono ricadere sui figli» [qui, qui].
Tanti sarebbero gli episodi da narrare e numerosi gli atti di violenza spinti sino a gesti estremi non poi così rari: padri musulmani osservanti che in Italia, come in altri paesi d’Europa, hanno ucciso o tentato di uccidere le figlie perché invece di frequentare unicamente il ghetto islamico avevano stretto amicizie o relazioni con giovani cattolici, donne obbligate alla infibulazione per mano di praticoni, con tutti i rischi del caso per la loro salute, a partire dalla setticemia, fanciulli tenuti isolati e distanti dai figli delle famiglie cristiane per evitare contaminazioni, adolescenti finite ripetutamente nei pronto soccorso in seguito alle percosse dei padri che avevano scoperto che fuori casa si toglievano il velo di testa [qui, qui, qui,qui, qui, qui, qui, qui, qui, ecc …], il tutto, va da sé: in nome di una religione che è una religione d’amore, s’intende, i cui fedeli osservanti adorano mistici e benevoli il nostro stesso Dio, s’intende …
A tal proposito sarebbe sufficiente fare un giro per i vari paesi europei e prendere atto di quella realtà che per pura politica, o che per laico odio distruttivo verso se stessi, gli europei non vogliono vedere: siamo in fase avanzata di colonizzazione islamica, che alla resa dei conti non risulterà migliore bensì assai peggiore dell’irruzione dei musulmani a Otranto. Mentre infatti i nostri eterni adolescenti occidentali si decidono a fare un figlio — forse — alle soglie dei quarant’anni, certe coppie di islamici osservanti naturalizzati in Europa a quell’età si accingono a diventare nonni, dopo averne messi al mondo tre o quattro, di figli.
I maestri del dialogo interreligioso onirico e della laica politica dell’integrazione che traggono fondamento dal libro di Alice nel Paese delle Meraviglie usato come fosse un manuale scientifico, non vogliono poi fare i conti con un’altra realtà tanto evidente quanto pericolosa: come fa, un operaio con uno stipendio di 1.200 euro al mese, a mantenere una moglie casalinga e tre o quattro figli? Nessun mistero perché anche a questo c’è risposta, anche se i maestri del dialogo interreligioso onirico e quelli della laica politica dell’integrazione che traggono fondamento dal libro di Alice nel Paese delle Meraviglie usato come fosse un manuale scientifico, la risposta non desiderano neppure sfiorarla. Meno che mai accettare la pericolosa realtà che alla prova dei fatti è la seguente: molte di queste persone ricevono aiuti e sovvenzioni da alcuni ricchi paesi arabi, a partire dall’Arabia Saudita. Lo prova il fatto che la gran parte degli islamici giunti in Europa, nei loro paesi d’origine — in particolare quelli provenienti dal Magreb, dove per osservanza religiosa non si brilla — a casa loro non sapevano neppure che cosa volesse dire osservare i precetti dell’Islam. Parlo in tal senso come testimone oculare, perché quando non ero neppure sfiorato dall’idea di poter diventare un giorno prete e come giovanotto spensierato giravo all’occorrenza per il mondo, ricordo di avere visto anni e anni fa, a Casablanca ed a Tunisi, ragazze così libere nei costumi da far impallidire le giovani più disinvolte che si potevano incontrare all’epoca per la strade delle grandi città italiane. Giunti però in Europa, d’improvviso e d’incanto molti di questi magrebini si sono scoperti osservanti, mentre le loro mogli che a Casablanca ed a Tunisi portavano gonne corte, pantaloni e vestiti scollati, dalla sera alla mattina si sono coperte le gambe, le braccia ed i capelli col velo.
Quale ineffabile e misteriosa folgorazione può avere reso possibile questi radicali cambiamenti di vita e di costume del tutto repentini?
Nessuna folgorazione, nessuna mistica rivelazione. Semplicemente i soldi e gli aiuti di quei ricchi paesi arabi che hanno pianificato da tempo una precisa conquista dell’Europa che passa di necessità attraverso la famiglia e il più alto numero di figli partoriti in paesi dove il tasso di natalità — come per esempio nella nostra Italia — è ormai da anni al di sotto dello zero.
Al contrario, invece, i musulmani non osservati, quelli europeizzati od occidentalizzati, alla stessa stregua degli italiani e degli altri europei non riescono affatto ad avere tre o quattro figli e una moglie casalinga con 1.200 euro al mese di stipendio, perché a loro, di soldi, tramite il circuito catalizzatore di certi centri di cultura islamica sovvenzionati da precisi paesi arabi non ne arrivano proprio.
Passiamo ad altro.
Sotto gli occhi impotenti del mondo, gli integralisti islamici foraggiati di armi e di soldi dall’ipocrita doppiezza di Arabia Saudita e Qatar, stanno scannando i nostri cristiani in vari angoli del mondo. Il tutto mentre una voce autorevole, che a parere di taluni sembra non esprimersi con chiarezza su questa colossale tragedia, lascerebbe ad altri l’incombenza di parlare, come emerge dalle righe di Sandro Magister [qui]. Altri sostengono invece che avrebbe parlato, o che parlerebbe comunque col proprio linguaggio, che passerebbe però inosservato per immane dolo dei mass media, interessati a riportare solo quel che vogliono e nel modo che vogliono, come lascia invece capire Massimo Introvigne [qui].
Desidero aprire un tema che non possiamo manco definire anticonformista, perché si tratta di un vero tabù: l’uso legittimo della forza e delle armi. Discorso impossibile a farsi perché da tempo la buona società laica, distrutti i dogmi di quella fede cattolica ai quali ormai si richiama giusto per inscenare ironie e sberleffi [qui], ha finito col creare dei nuovi “dogmi”, uno di questi è: «Pace a tutti i costi».
Sia chiaro, tutti vogliamo la pace, ma non possiamo reclamarla in modo cieco, peggio «a tutti i costi», perché il drammatico monito del salmista dovrebbe renderci sempre realisti e vigili: «Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra» [salmo 119, 7 qui]. Vi sono infatti situazioni estreme nelle quali per difendere la pace e per tutelare l’incolumità e la vita delle persone inermi sottoposte a violenza è necessario, anzi doveroso l’uso della forza e delle armi [qui, qui, qui]. In tal senso la dottrina cattolica non lascia spazio a dubbi: «Si devono considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forza militare» [Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309, qui].
Molti pacifondisti della nostra buona società laica, quelli che per paradosso sono poi favorevoli ad aborto ed eutanasia, al “dogma” del «no alla guerra a tutti i costi» ne fanno seguire appresso un altro: «No alla pena di morte, sempre!». Ce lo insegna il più famoso indemoniato della storia della Repubblica Italiana: Marco Pannella, con la sua fedele accolita Emma Bonino al seguito, l’amabile fabbricante di angeli che praticava aborti con una pompa da bicicletta [qui]. I due prodi, spaziando all’occorrenza tra marce di protesta e scioperi della fame, hanno levato il civile vessillo urlando: «No alla pena di morte, sempre!» [qui, qui], definendo però al tempo stesso l’aborto come una “conquista sociale” e come “acquisizione di un grande diritto civile” [qui, qui]. Ebbene, non essendo io incline ad usare le parole a caso, tanto venero la lingua italiana, torno a ripetere che persone del genere non hanno una mente semplicemente borderline, ma proprio una radicale mente satanica.
Ovviamente sono d’accordo col “no” alla pena di morte, ciò sul quale non posso essere moralmente d’accordo è il “sempre!”. Un’affermazione assoluta che basandosi sull’emotività ideologica e sul rigoroso rifiuto della realtà, non tiene in conto di elementi rari e straordinari presenti nella storia passata e recente e che come tali possono sempre riproporsi. Per esempio: se anziché morire suicida nel suo bunker di Berlino, Adolf Hitler fosse sopravvissuto e finito agli arresti, qualche pacifondista ideologico o qualche radicale libero, sarebbe forse pronto a sostenere che andrebbe prima di tutto processato — ovviamente — poi condannato ad adeguata rieducazione tramite l’affidamento ai servizi sociali, da svolgere semmai presso una fondazione ebraica impegnata nella cura degli orfani rimasti senza i genitori morti dentro le camere a gas dei campi di concentramento e ridotti cadaveri in cenere dentro i forni crematori?
Riguardo la pena di morte la nostra dottrina afferma che «L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani» [Catechismo della Chiesa Cattolica, 2267, qui]. I cattolici più o meno adulti o più o meno mondani che sostengono altro e che si uniscono solidali al coro surreale e conformista dei laicisti pacifondisti, non esprimono quindi un pensiero cattolico, solo un pensiero loro personale, rispettabile, ma opinabile e non conforme alla dottrina e alla morale cattolica.
Vi sono poi casi estremi, rari se vogliamo, ma presenti nella storia e sempre riproponibili al presente, nei quali uccidere un essere umano è “doveroso” perché la sua soppressione fisica è l’estremo ed unico mezzo per salvare intere popolazioni, perché la semplice permanenza in vita di certe figure-simbolo potrebbe prolungare delle guerre in corso e produrre la morte di altri milioni di uomini, donne e bambini, pure se simili figure carismatiche fossero rinchiuse a vita dentro un carcere di massima sicurezza. Questo è infatti il problema: restando in vita, vi rimarrà anche la loro ideologia di odio e di morte che in molti assassini al loro seguito seguiterà a generare morte e distruzione. Altrettanto non si può dire di un comune assassino, o anche del peggiore dei serial killer, che una volta rinchiuso in un carcere sicuro, non potrà più nuocere. In quel caso condannarlo alla sedia elettrica o ad altra pena capitale è quando di più inutile si possa fare, anche se ciò fa storicamente parte di una certa cultura di stampo calvinista molto radicata negli Stati Uniti d’America, terra delle opportunità, delle libertà e dei diritti umani.
Vogliamo forse dimenticare che mentre la Germania era ormai in ginocchio, il regime hitleriano mandava a morire adolescenti di sedici anni arruolati in un esercito alla totale disfatta che si ostinava a combattere una guerra che era già inesorabilmente perduta? Cosa che proseguì sin quando Adolf Hitler rimase in vita e con lui viva la speranza. Non a caso, appena fu resa ufficiale la notizia della sua morte, un’ondata di suicidi percorse la Germania; e molti caddero di propria stessa mano sul cadavere bruciato di quell’uomo-simbolo, assieme al quale era stato incenerito anche il carisma diabolico e la speranza che in molti era sempre viva, anche dinanzi alla evidente disfatta della guerra ormai perduta.
Questo il motivo per il quale «io sono per la pace», non però a “tutti i costi”. Questo il motivo per il quale sono contro la pena di morte, non però “sempre”, anche se le eccezioni al “sempre” sono rare e legate a figure che hanno più del diabolico che dell’umano, come il sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi [qui], al quale nessuna mente umana può augurare lunga vita, né una condanna con successivo affidamento ai servizi sociali, col possibile rischio che, appresso, l’indemoniato Marco Pannella lo candidi nelle liste del Partito Radicale Transnazionale alle elezioni europee, minacciando in caso contrario scioperi della fame dai quali però (che strano… ) esce sempre brillantemente.
Per questo prego e spero che si proceda quanto prima con un intervento armato per salvare certe popolazioni inermi, dopo che “mamma America” avrà ben valutato i propri interessi petroliferi assieme ad altre due illustri dame che si proclamano da sempre culle della civiltà e dei diritti delle libertà: Francia e Inghilterra. E una volta catturato quel pericoloso ossesso del sedicente califfo che sta seminando morte e terrore — ammesso che sia lasciato in vita fino al processo da coloro che lo avranno catturato — forse sarà necessario giustiziarlo, se la sua permanenza in vita comportasse l’invio alla morte di adolescenti di sedici anni vestiti dalla sera alla mattina da soldatini, prolungando la guerra e aumentando a dismisura la morte di civili inermi e innocenti. Il tutto memori del fatto che noi siamo per la pace, ma quando ne parliamo, certi servi del Demonio vogliono più che mai la guerra.
Prima di passare ad altro discorso merita far cenno a un argomento che sarebbe di per sé enciclopedico, qualora si volesse parlare della “grande mamma” e di certe “dame” cui accennavo poc’anzi. Per farsi breve: sappiamo tutti com’era e chi era Saddam Hussein, ma non dimentichiamo che era un laico, ed il suo primo ministro, più volte capo del governo, Tareq Aziz, era addirittura un cattolico caldeo. Come del resto era laico lo scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, la cui monarchia fu fatta cadere dalla madre patria dei diritti di liberté, egalité e fraternité, perché Ruhollāh Khomeyni, per andare a conquistare quel Paese che poi diverrà l’Iran, non partì dalla Capitale dell’Arabia Saudita, ma da Parigi, mentre poco dopo, Francia e Inghilterra, ottenevano da quell’autocrate religioso contratti petroliferi più vantaggiosi rispetto ai precedenti concessi dal decaduto monarca. E detto questo ci fermiamo, perché l’argomento sarebbe appunto enciclopedico. Una cosa è certa: tutte le volte che per i propri interessi certi paesi dell’Occidente hanno fatto cadere alcuni regimi retti da dittatori tutt’altro che teneri, al loro posto è sempre subentrato il peggio, dai Khomeyni ai Bin Laden, nella “migliore” delle ipotesi sono scoppiate sanguinose guerre civili. Ma, come si sa da sempre: Parigi o Londra … val bene un barile di petrolio!
Attualmente mi trovo in Sicilia, per l’esattezza a Siracusa, dove quando posso trascorro alcuni periodi di tempo. Durante i miei soggiorni celebro la Santa Messa domenicale al Santuario della Madonna delle Lacrime [qui], fermandomi ad amministrare le confessioni a penitenti di passaggio ed a penitenti che mi conoscono da anni. La scorsa domenica, un giovane penitente, mi ha ispirato una riflessione sul problema del padre …
… il ragazzo mi dice:
“Purtroppo ho un genitore che mi ispira disprezzo, secondo lei, commetto peccato?”.
Rimango in silenzio, ed anche lui tace, fin quando riprende a parlare:
“Cosa mi dice?”.
A quel punto rispondo:
“Figliolo, sei tu che devi spiegarti, domandando anzitutto a te stesso: perché lo disprezzo?”.
Il giovane cominciò:
“Provo per lui disprezzo perché è umorale e spesso prende decisioni assurde … perché con i suoi discorsi imbarazza noi familiari che gli stiamo attorno … perché si potrebbe prenderlo e rivoltarlo come un calzino, ma senza riuscire a tirare fuori dalla sua bocca un chiaro si o un chiaro no, il suo parlare è tutta ambiguità e vaghezza … perché in pubblico trabocca gioia e sorriso, ma quando è tra le mura di casa è intrattabile … perché è permaloso, a volte pure vendicativo … perché … perché … perché …”.
Replico:
“Figliolo, non aspettarti che io ti dica cose del tipo: porta la tua croce santificandoti in tal modo con questa penitenza offerta per i peccati dell’universo mondo. Tutt’altro desidero chiederti: pensi che tuo padre, al quale possiamo riconoscere tutti questi difetti da te elencati, sia sostituibile? Perché vedi: volendo puoi anche rompere qualsiasi relazione con lui, puoi anche rinnegarlo e non vederlo mai più, puoi anche affermare che lui non è più tuo padre e che tu non sei più suo figlio. Tutte decisioni possibili e fattibili, semmai a caro e doloroso prezzo, ma una cosa non sarà mai né possibile né fattibile: sostituirlo».
Mi domanda il giovane:
«Perché mi dice questo?».
Rispondo:
«Perché credo di essere andato all’origine del tuo dolore: l’impossibilità di sostituire ciò che non è sostituibile, che ti piaccia o che non ti piaccia, perché lui sta all’origine fondante della tua vita, del tuo essere ed esistere; e per quanto indegno o inadeguato possa apparirti e forse essere, rimane il naturale e insostituibile pater familias. Tu hai messo in luce tutti i difetti e le inadeguatezze di tuo padre, che dal primo all’ultimo sono sicuramente veri; e di essi hai preso atto. Adesso devi però prendere atto della cosa più dolorosa da accettare e da vivere: il fatto che non cesserà mai di essere il tuo unico, vero e legittimo padre».
Domanda il giovane:
«Dunque, che cosa devo fare?»
Replico:
«Cercare di accettare il padre che hai, se puoi, ma soprattutto cercare di non distruggere mai, a prescindere da lui, l’idea del padre».
Mentre lo assolvevo dentro di me mi sono detto: «Figlio amatissimo, forse non immagini neppure quanto ti capisco, ed assieme a te, possa il Signore perdonare anche me».
Terminato quell’ultimo pensiero ho lanciato uno sguardo di congedo verso il quadretto della Madonna delle Lacrime che era lì, in alto sull’altare, con un tenero sorriso stampato sul volto [qui, qui]. Sembra infatti che oggi la Beata Vergine Maria abbia ormai esaurite tutte le lacrime che aveva da piangere, incluse quelle di sangue, piante anni fa — e non penso a caso — proprio alle porte di Roma, bagnando col sangue dei propri occhi anche le mani di un vescovo [qui, qui]. E, come sempre: chi vuole intendere intenda, finché siamo ancora in tempo, forse …
Nel mentre affidiamoci alla intercessione di Maria Auxilium Christianorum, alla Madonna delle Vittorie, alla quale successivamente sarà dato il nome di Madonna del Rosario [qui], al Vescovo Stefano ed ai Santi Martiri di Otranto, affinché per grazia di Dio, la Lega Santa, possa vincere in un vicino futuro la nuova battaglia di Lepanto, che sarà sicuramente più temibile ancora di quella del 1571.
Redazione
http://www.riscossacristiana.it/figli-cristiani-massacrati-dal-satanico-califfo-musulmano-mentre-il-padre-piu-meno-santo-e-mai-sostituibile-di-padre-ariel-s-levi-di-gualdo/
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