- IL PAPA, A DIFFERENZA DI WOJTYLA, NON HA “FIGLI PREDILETTI” MA L’OPERA E’ FONDAMENTALE PER SFONDARE IN CINA E A HONG KONG
Con i suoi oltre duemila sacerdoti e novantamila aderenti, con la sua rete di università, scuole, collegi, centri di formazione, fondazioni culturali, cliniche e centri di assistenza l’Opus può svolgere un ruolo di presenza lì dove il cattolicesimo non è maggioritario - E ora incassa anche la beatificazione di Alvaro del Portillo, erede di Escrivà de Balaguer…
Marco Politi per il “Fatto quotidiano”
Farsi riconoscere un santo e un beato nell’arco di soli 12 anni è un record per un’organizzazione religiosa. L’Opus Dei festeggerà sabato 27 settembre questo trionfo di potenza. A Madrid verrà beatificato il successore di Escrivá de Balaguer, mons. Alvaro del Portillo, che dal 1975 al 1994 guidò l’esercito opusdeino.
Il rito sarà celebrato nella capitale spagnola anche se l’Opus avrebbe preferito – per ovvii motivi d’immagine – una solenne cerimonia in piazza San Pietro. Ma Benedetto XVI (restio a continuare con la “fabbrica” di santi e beati, promossa da Giovanni Paolo II) aveva disposto a suo tempo che a Roma i pontefici celebrano solo i nuovi santi, non i beati. Sicché gli opusdeini si consolano, dicendo che a Roma non c’era abbastanza spazio per contenere l’immensa folla che accorrerà all’evento.
La canonizzazione-lampo di Escrivá, avvenuta ad appena 27 anni dalla morte, suscitò all’epoca aspre polemiche. Per il protezionismo papale di cui aveva goduto la procedura rapidissima, per l’esclusione di testimoni contrari, per l’autoritarismo inesorabile con cui Escrivá aveva retto l’organizzazione e per molti altri motivi riguardanti la visione di Chiesa propugnata dall’Opus in contrasto con il riformismo conciliare.
La beatificazione di Alvaro del Portillo, perseguita con un lavoro di lobbying instancabile, non ha suscitato particolari emozioni. Tutt’al più è stata valutata come segno di una bulimia di prestigio da parte di un’organizzazione, che evidentemente non ha saputo accontentarsi della santificazione – già privilegiata – del fondatore.
In effetti con migliaia di preti, suore e semplici fedeli impegnati a testimoniare il cristianesimo in condizioni spesso difficili e oscure, forse qualcuno o qualcun’altra avrebbe meritato di arrivare prima di Portillo alla definizione di “beati”.
Probabilmente, in prospettiva storica, il rito di Madrid rappresenta gli ultimi fuochi di una sovraesposizione e un legame strettissimo con la sede papale che ha avuto il suo apogeo con Giovanni Paolo II, quando l’Opus e Comunione e liberazione erano le punte di lancia del progetto wojtyliano di “rievangelizzazione”. Già durante il suo pontificato Benedetto XVI, dopo una prima fase di elogio per i nuovi movimenti cattolici nati nel Novecento, era tornato a mettere l’accento sulle parrocchie e le diocesi.
Con Francesco non ci sono certamente “figli prediletti”. A Buenos Aires Bergoglio era in rapporti normali con l’Opus, il cardinale di Lima Luis Cipriani si è collocato al tempo del conclave nel gruppo degli elettori di Bergoglio e nella commissione di indagine sullo Ior (ormai sciolta) papa Francesco ha inserito nel 2013 l’opusdeino mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa, esperto di organizzazione della Chiesa.
Opusdeino è anche mons. Vallejo Balda, segretario della Prefettura per gli Affari economici del Vaticano, nominato nella commissione referente per la riorganizzazione finanziaria della Santa Sede, ma poi bruciatosi per avere patrocinato l’inclusione della pr Francesca Immacolata Chaouqui, troppo affetta da protagonismo: con il risultato che – terminato il lavoro della commissione – la Chaouqui è stata ignorata e Vallejo Balda non è stato chiamato a far parte del nuovo ministero delle Finanze vaticano.
Insomma nell’era di Francesco l’Opus non è più centrale, è trattata normalmente. Ma questo non significa che non possa giocare un ruolo importante in certe situazioni di frontiera.
Con i suoi oltre duemila sacerdoti e novantamila aderenti (fra cui ottimi professionisti nel campo tecnico-scientifico-ospedaliero-pedagogico), con la sua rete di università, scuole, collegi, centri di formazione professionale, fondazioni culturali, cliniche e centri di assistenza l’Opus può svolgere un ruolo di presenza in nazioni dove il cattolicesimo non è maggioritario.
La Cina è la frontiera attualmente più interessante e delicata per la Chiesa cattolica. Francesco, come già Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, vorrebbe allacciare finalmente rapporti con l’“Impero di Mezzo”. Aderenti all’Opus Dei operano già, nell’ambito strettamente professionale nella Cina rossa.
A Hong Kong – tramite essenziale con la Cina – l’Opus ha aperto un centro culturale per universitari e giovani professionisti. A San Francisco infine, con lungimiranza, ha creato quasi 10 anni fa nel quartiere cinese un centro di istruzione e assistenza per donne e bambine. Scelta strategica. I legami familiari cinesi sono tenacissimi e superano l’Oceano Pacifico.
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