ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 12 settembre 2014

I FIORI TOSSICI DEL VATICANO II

seconda parte


Quarto fiore: San Paolo: chi era costui?

Abbiamo inteso connotare, con sì fatto titolo, questo nostro quarto commento, un titolo di manzoniano ricalco, perché ciò che in appresso diremo legittima e chiarisce la corrispondenza e giustifica, soprattutto il punto interrogativo, in questo caso assai inquietante.
   
E non ci riferiamo all’ormai obsoleto e stracciato monito paolino – cfr. I Cor. 5, 9/13 - 6,9/10 eRom. 1, 24/27 – con cui l’Apostolo delle Genti diffida i cristiani dal far comunella con lussuriosi, sodomiti, effeminati ricordando l’abiezione di simili peccatori che, perdurando nella loro nequizie, non avranno, perciò, il regno di Dio. Stracciato e cancellato perché, col nuovo corso bergogliano, fondato ed imperniato sulla pastorale della misericordia “a prescindere”, si vieta di pensare “male” e di stigmatizzare tali categorie di cui egli stesso, il papa, si è dichiarato incompetente giudice. 
Ed ecco, allora, il 13 maggio scorso, il riconoscimento della virtù della sodomia sancito con il reverente baciamano papale al prete-profeta dell’omosessualismo mistico, l’indegno “don” Michele de Paolis, fondatore della comunità Emmaus; ecco, allora, l’impegno della Chiesa a raccogliere le sfide “educative, a volte difficili da comprendere” (perbacco!), che le unioni gay pongono  al mondo (Discorso ai Superiori Generali, 29 novembre 2013); ecco, allora, la partecipazione del cardinale Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York,  in veste di “Grand Marshal”, alla ‘Parata di San Patrizio’ del prossimo marzo 2015 dove, per la prima volta, sfileranno gruppi omosessuali.



Taddeo di Bartolo, Inferno, particolare della punizione dei sodomiti,
Duomo di San Gimignano 
   
No, non ci riferiamo a questa parte della dottrina paolina superata e seppellita dal “cambio di tono dentro la Chiesa” conseguente alla nuova visione della “misericordia bergogliana” – tutt’altro da quella divina - che, senza segno di resistenza palese o nascosta, sembra sia stata oramai  trangugiata e digerita come dottrina vera e consolidata, e che costituisce altro passo nella demolizione del dogma, il cui “domani” – come afferma E. M. Radaelli – si profila terribile e sconvolgente facendo, continua Radaelli, dell’Istituzione divina, quella che Cristo affidò a Pietro (Mt. 16, 17/20), una “Chiesa ribaltata” .
   
In questa occasione vogliamo riferirci a una delle tante esternazioni pastorali, che vanno sotto il nome di “Omelie di Santa Marta” che papa Bergoglio tiene settimanalmente nella cappella dell’ostello vaticano e che son diventate centro di tutta la catechesi cattolica. Diciamo, precisamente, quella del 4 settembre scorso, nella quale e con la quale il pontefice ha dato ulteriore colpo di piccone alla figura di san Paolo col fargli dire vere e proprie aberrazioni di forte sapore gnostico. Un’operazione scorretta e subdola per la quale gravi e sicuri saranno i danni che ne seguiranno.
    “Di quali cose si può vantare un cristiano? Due cose: dei propri peccati e di Cristo crocifisso. E una sola cosa conta veramente: l’incontro con Cristo che cambia la vita dei cristiani “tiepidi” e trasforma il volto di parrocchie e comunità “decadenti”… Ad ispirare (?) le parole del Pontefice è stata anzitutto la prima lettura della liturgìa, tratta dalla prima Lettera di san Paolo ai corinzi (3, 18/23)”.

Questo è l’incipit con cui prende l’avvìo il servizio di Radio Vaticana (O. R. 5/9/2014).
E subito dopo, papa Bergoglio, che forse era parso aver affermato, con quel vantarsi dei proprî peccati, cosa sua personale, precisa che no, non era sua estemporanea riflessione quella, ma autentica dichiarazione di San Paolo il quale “dice di se stesso: «Io soltanto mi vanto dei miei peccati»
  
Il resto dell’omelìa scorre su questa direzione smaccatamente impostata su un falso.
Falso, perché per quanto si legga in lungo e in largo san Paolo, mai e poi mai si troverà simile affermazione, di diretta o indiretta sua paternità.
   
Intanto è da spiegare, sotto l’aspetto sintattico, se quel “soltanto” voglia dire “io soltanto”, cioè: io solo, o “soltanto dei miei peccati”. Detta, scritta e letta così, siffatta proposizione si presta ad ambigue interpretazioni che restano, tuttavia, improponibili e incompatibili se riferite alla persona dell’Apostolo e alla teologìa morale.
Ma ciò che, di questa nuova uscita di Francesco I, inquieta e suscita interrogativi circa la sua preparazione  biblico/teologica, è senza dubbio la faciloneria con cui egli opera trasferimenti  di tipo sinonimico giocando con le parole. Nel nostro caso, egli, giostra con il termine “peccato”, raccordato e parificato a quello che, nella stesura originale greca e nella traduzione latina di Girolamo, vale “debolezzainfermità”.
    
I lettori ci concedano un attimo di sosta onde fare il punto su questo aspetto che, dovendo noi, per “la reverenza delle somme chiavi” (Inf. XIX, 101) tenerci distanti dai sospetti di frode, si qualifica a prima vista come dimostrazione di scarsa conoscenza dei testi biblici e, in questo caso, paolini. Diciamo ciò con fatica e ruvido sforzo perché non si spiega se, ad esempio, il chiaro, netto, inequivocabile monito dell’apostolo contro la sodomia, a cui sopra abbiamo accennato, sia stato rottamato da papa Bergoglio, e da tanti altri suoi imitatori, per involontario, inconsapevole e distratto zelo pastorale o, piuttosto, per lucida volontà di operare, nella Chiesa di Cristo, quella rivoluzione che, così riferì al papa-laico Scalfari, egli porterà avanti con umiltà ed orgoglio.
Si può, infatti, far finta di non capire che il peccato, per il quale il Signore scaraventò sotto terra le città di Sodoma e Gomorra, è di quelli che provocano la vendetta divina? No.
E allora: si può concedere al papa, nel caso in esame, l’attenuante dell’ignoranza ritenuta, per popolare opinione, l’ottavo sacramento? Noi restiamo sbalorditi per come un dotto gesuita, per di più sommo pontefice, possa ignorare ciò che un semplice fedele come noi , invece, avverte. Ma soprattutto ci desta indignazione la manipolazione “pro causa sua” dell’Apostolo delle Genti.
    
Ma vediamo, ora, cosa ci dicono i testi originali.
Partito da I Cor. 3, 18/23, papa Bergoglio è planato su un passo di II Cor., esattamente il capitolo 12 versetto 9/b dove l’Apostolo scrive:«’Hedista oùn màllon cauchésomai en tàis astheneìaismoù, ìna epischenòse ep’emé dynamis toù Christoù” che san Gerolamo traduce “Libenter igitur gloriabor in infirmitatibus meis, ut inhabitet in me virtus Christi” e, cioè “ Volentieri mi glorierò nelle mie infermità affinché in me abiti la forza di Cristo”.
San Gerolamo ha ben tradotto il futuro del verbo cauchàomai  - cauchesomai - con gloriaborché, infatti, questo è il significato da applicare poiché, anche se il termine greco vuol anche direvantarsi, in un contesto quale è questo, contesto teologico, decisamente consentaneo è il primo il quale si raccorda con la gloria di Dio. Pertanto, tradurre con “vantarsi”, o tantomeno “compiacersi” come fa la Bibbia – ed. Paoline 1958/1964 pag.1230 –  è da ritenere non semanticamente e lessicalmente corretto. Le parole sono una cosa seria tanto che Giustiniano ne proclamò la categorìa ontologica quando sentenziò che “nomina sunt consequentia rerum” (Institutiones, 2,7,3). Ma oggi, a quanto pare “nomina perdidimus rerum”, abbiamo perso il nome delle cose, come chiosa Ignazio Silone nel suo “Uscita di sicurezza” quando criticò la definizione di “soccorso fraterno”, piuttosto che “invasione imperialista”, attribuita alla repressione della rivolta ungherese del 1956 operata dalle truppe sovietiche del Patto di Varsavia.
   
Papa Bergoglio ha, indubbiamente, perduto il senso della teologìa paolina perché sorprendente, poi, è la commistione – stavamo per scrivere mistificazione – tra il vocabolo “asthèneia” (debolezza, mancanza di forze, malattia, infermità) e  “peccato”. Il quale, in greco, vien detto “amartìa,amàrtema”.
Se il peccato originale è stato la causa della debolezza della natura umana questa infermità, questa debolezza a sua volta diventa, e resta, la causa di ogni peccato perciò, far dire all’apostolo, di gloriarsi, di vantasi dei proprî peccati vuol dire classificarlo tra quegli gnostici antichi e moderni  - encratiti, ofiti, cainiti, Fratelli dello Spirito, sabbatei, franckisti -  che vedevano, e vedono nel commettere il male, un percorso di purificazione, ascetico e doloristico e, pertanto meritorio. In sintesi: pecca più che puoi poiché potrai vantartene. Né più né meno che una parafrasi luterana “pecca fortiter et gloriare fortius
Ne illustra molto semplicemente, e chiaramente, un moderno saggista, passato dall’appartenenza alla Tradizione solare al territorio oscuro del male: Elemire Zolla. Egli, infatti, così scrive:
«Non cercare il bene che ti consola ma contempla il male che ti dispera ed esploralo fino agli estremi confini” (Volgarità e dolore – Milano 1962, pag. 129 cit. in: Piero Vassallo: Ritratto di una cultura di morte – i pensatori neognostici - Ed. D’Auria 1994 pag. 48).  
   
Ma San Paolo afferma, invece,  di gloriarsi della propria debolezza, della propria infermità in quanto solo in essa rifulge la forza di Cristo perché solo “òtan gar asthenò, tòte dynatòs eimì” (II Cor. 12, 10), che vale il latino “Cum enim infirmor, tunc potens sum” cioè: proprio quando sono debole, allora sono forte. “Asthenò”, sono debole, e non “amartàno”, pecco, sbaglio.
Il cristiano, abbeverato al Catechismo di san Pio X, sa che il peccato non è motivo di vanto ma di vergogna, di urgenza a confessarsi per riacquistare la grazia di Dio e, per questo, disposto a subire la penitenza dovuta. Ci si vanta, o meglio, ci si gloria, ma umilmente, per la ristabilita grazia e solo per questo e non per i peccati confessati.
D’altra parte, come è possibile vantarsi delle proprie colpe se, per liberarci dalla schiavitù del peccato, Cristo Signore si è immolato sulla Croce?
Ci si può vantare d’essere schiavi di Satana?

Noi, che siam dotati per grazia di Dio, di una buona memoria, non facciamo difficoltà a collegare questa infelice e aberrante uscita papale a quanto egli stesso affermò in quel già citato discorso tenuto ai Superiori Generali quando, in un passaggio pseudo-sillogistico, ebbe a dire che  “se uno non pecca, non è uomo”.
Su quella paradossale sentenza abbiamo già scritto, definendola un sofisma con cui il pontefice fa del peccato una categorìa ontologica afferente e consustanziale alla stessa natura dell’uomo. Perciò non sorprende che, allo scopo di confermare questa sua visione, egli abbia addomesticato anche San Paolo.

I danni?
Certamente, e sono tanti se è vero, come è vero, che il testo dell’omelìa è stato diffuso, in tempo reale, dai massmedia e dalla rete globale sicché, ci domandiamo:  quante saranno le intelligenze e le coscienze di labile caratura, e sprovviste delle difese opportune, a cui questa superficialità, questa estemporaneità e questa esegesi fai-da-te esposte e spacciate come magistero dogmatico per essere state formulate dal sommo pastore, dal primo esegeta e maestro del cattolicesimo, renderà cosa ovvia credere di poter peccare e di vantarsene?
   
Che riflesso ne subirà il sacramento della Confessione che già registra il minimo storico con i confessionali polverosi e vuoti?  E il tanto amaro-benefico senso di colpa, che scaturiva dal “timor Domini” (Ps. 110,10), scomparso il quale vediamo accedere alla Santa Eucaristìa coppie di conviventi, divorziati risposati, apostati passati ad altre confessioni?
   
Noi non chiediamo al papa di essere più prudente. No! Noi lo riteniamo imprudente, avventato e – perché no? – scorretto, condizione che, nel suo ruolo non è ammissibile né scusabile.
   
Un eminente teologo riferisce, in un suo scritto, di un parroco che amava guarnire e rinforzare le sue omelìe col dire: “Come dice San Paolo…” conferendo così, con l’autorità dell’Apostolo, analoga autorità alle proprie ricognizioni. Sennonché le citazioni erano inventate. Ma tanto bastava.
Narra Fedro di una volpe che, trovato un mascherone, preso ed osservatolo, esclamò:«O quanta species! Cerebrum non habet!» - che bell’aspetto, ma è privo di cervello!





Quinto fiore: le ridicole amenità de “La Domenica”
La Domenica – foglio messale delle edizioni San Paolo – XXI Domenica del Tempo ordinario/A, 24 agosto 2014, pag. 45, rubrica: Preghiera dei fedeli n.4
Testuale: «Ravviva il dialogo tra cristiani ed ebrei, facendo sì che il popolo primogenito della antica alleanza ci aiuti a riscoprire l’importanza della Bibbia. Preghiamo: ascoltaci, o Signore».


Il Talmud

Che il foglietto-periodico dei paolini sia da sempre la punta avanzata dell’eversione dogmatica, etica e liturgica cattolica non è un mistero se si pon mente alle varie gestioni dei don Zega, don Pierini ed ora di don Sciortino che si caratterizzarono, ed ancora, per derive dottrinarie e politiche. Non desta, pertanto, meraviglia se ancora una volta, sul foglietto citato, emergono affermazioni e direttive di totale segno opposto all’ortodossìa. E già, perché, con l’avvìo dell’attuale pontificato, il primato dell’ortoprassi, il riconoscimento della santità di tutte le religioni e il dialogo con esse, predicati al Concilio e sanciti dai documenti, capovolgono i piani dei valori eterni, tradizionali  sicché, in conseguenza di quanto sopra si prega, l’esclusiva cattolica dell’esegesi biblica e della gestione del “depositum fidei” passa, con consapevole e volontaria rinuncia, ad altri soggetti unitamente al loro riconoscimento di legittimo magistero.
   
Il popolo ebraico, già eletto e primogenito, ma privato del beneficio dell’alleanza per la sua infedeltà, ha sconfessato  Scrittura e la Legge mosaica professando l’attuale sua dottrina rabbinica fondata sul Talmud e sulla Kabbalà. Non staremo a tediare i lettori con l’esplicazione di che cosa siano questi due poli poiché è noto come il primo sia l’adunata di tutte le maledizioni e le bestemmie lanciate contro Gesù, la Vergine Maria e i cristiani, e il secondo luciferina, aberrante deriva biblico/gnostica impastata di  oscuro esoterismo da cui nascono, quali sterpi velenosi, le elucubrazioni sabbatiste, l’alchimìa, il faustismo e la massoneria. Chi avesse voglia di meglio conoscer l’argomento potrà, ad esempio, leggersi il fondamentale testo “La Kabbalà e il suo simbolismo” di Gershom Scholem. Ciò che ci interessa non è tanto questo quanto, piuttosto, dimostrare che già, Gesù vivente, gli ebrei fossero cattivi interpreti della Scrittura. Pertanto ci avvarremo dei Vangeli ove chiari, specchiati e numerosi sono questi riferimenti in cui il Signore accusa scribi, dottori e farisei per aver adulterato e misconosciuto la parola di Dio. 
Ne proponiamo alcuni a significativo esempio.
1 - «I farisei gli dissero: “ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato”. Ed Egli rispose: “Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni?. . .o non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa?»  (Mt. 12, 2/5 – Mc. 2, 23/25)
2 – E Gesù rispose loro: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?» (Mt. 15, 3);
- «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?».Ed Egli rispose: “Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadono in un fosso”» (Mt. 15, 12/14);
4 - «Gesù disse loro: “Fate attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei”» (Mt. 16, 6 – Mc. 8, 15 – Lc. 12, 1);
5 - «Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “ Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno”. . . “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini”. . . “Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”. . . “Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare alla condanna della Geenna?”» (Mt. 23, 1/38 – le colpe dei farisei),
6 - «Ed Egli rispose loro. “ Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti umani. . .Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione”» (Mc. 7, 6/9);
7 - «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere, essi riceveranno una condanna più grave» ( Mc. 12, 38/40  - Lc. 11, 43),
8 - «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di Lui. Egli disse. “ Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori”» (Lc. 16, 15);
- «Gli rispose Gesù: “Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto, ma voi non accogliete la nostra testimonianza”» (Gv. 3, 10);
10 - «Voi [farisei] scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna, ebbene, sono proprie esse che mi rendono testimonianza”». (Gv. 5, 39);
11 - «Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desiderî del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità». (Gv. 8, 43/45);

Vi sembra, cari lettori, che la Chiesa, Mater et Magistra, depositaria per mandato divino del supremo, inerrante  ed indefettibile magistero, debba pregare Dio affinché, intensificando un dialogo che da tempo sta rivelandosi un’utopìa dannosa con l’ex popolo eletto, questi,  popolo deicida,l popolo apòstata,  popolo che ha rinnegato la propria Legge, le insegni a “riscoprire l’importanza della Bibbia”?
Sembra paradossale, ma la Chiesa conciliare, fatta tabula rasa della Tradizione e dell’imponente e solido edificio agostiniano/tomista, avverte questa urgente necessità e, pertanto chiede aiuto a coloro, i primogeniti (!), che Cristo stesso condannò proprio per lo stravolgimento della Scrittura e per la sequela del padre della menzogna!
Noi cattolici, che abbiamo ereditato l’alleanza rifiutata da Israele, cerchiamo davvero, in questi ciechi, le vere guide? Non  basta la divina e sicura parola di Gesù, o davvero dobbiamo pensare che il papato e l’episcopato cattolico stìano concorrendo all’opera di demolizione della Chiesa?
Attestata la ormai avvenuta virata verso il modernismo, noi pensiamo che, tra gli uomini di Chiesa, serpeggi il disegno dissolutorio dell’Anticristo i cui legionarî, lupi travestiti da pastori e pastori diventati interiormente lupi ed  irreggimentati nelle sue orde, da tempo si muovono sotto la volta della Chiesa. Il verme è dentro di Essa ma stìano sicuri che non sarà mai travolta (Mt. 16,18). Parola del Signore!
    
E la CEI, che sovrintende alla compilazione di queste indegne preghiere, si rende conto delle bestialità che circolano tra i fedeli? Se lo sa, dovrà allora rendere conto a Dio Giudice di questo ulteriore tradimento, se lo ignora dovrà allora rispondere di mancata e doverosa  sorveglianza perché “Non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel” (Ps. 120,4) – non si appisolerà né dormirà il custode di Israele  - comando parallelo a quanto in proposito già l’antica e pagana saggezza annotava col dire che “Non decet tota nocte dormire consiliatorem virum” (Iliade, 2, 24) – non si addice al consigliere dormire tutta la notte né tanto all’episcopos, colui che è di guardia, di custodia.
    
Siamo convinti che quella ridicola preghiera sia stata respinta dal Signore.




Sesto fiore: i ridicoli pistolotti de La Domenica.

La Domenica – foglio messale delle edizioni San Paolo – XXIII Domenica del Tempo Ordinario/A , 7 settembre 2014, rubrica: Preghiera dei fedeli n. 1-3 e premessa all’antifona d’ingresso.

Testuale: 1 – “Dona, Signore, alla Chiesa il dono di aprire le porte e le vie della speranza, perché possa essere guida per i fedeli in questi momenti di crisi economica e spirituale.Preghiamo: Esaudisci il tuo popolo, Signore.
   

C’è da credere, intanto, che, con questo dono di aprire le porte, si voglia fare implicita confessione di averle tenute chiuse in questi 60 anni postconciliari;  conciliare perché quella preconciliare sì è caratterizzata per averle sempre aperte ma vigilate con occhiuti corpi di guardia. Ma vediamo l’espressione che abbiamo scritto in neretto. V’è, naturalmente, corrispondenza completa alla dottrina bergogliana secondo cui, stando all’intervista papale resa all’altro papa-laico, Eugenio Scalfari, il più grave, attuale problema della Chiesa è la disoccupazione giovanile e, quindi, la crisi economica. Poi, in seconda battuta viene – se viene -  anche quella spirituale. Uno spirito saggio avrebbe scritto “spirituale ed economica”.  
Ma cosa volete, quest’ultima si risolve con un’assoluzione collettiva e con un analogo collettivo vantarsi dei proprî peccati.
Chi ricorda più, o Signore, quel tuo monito? «Non affannatevi, dunque, dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo? che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani. Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt. 6, 31/34).

Testuale: 3 – “Fa’, Signore, che non manchino nella Chiesa e nella società, persone che all’odio rispondano con il perdono, e alla indifferenza rispondano con la tolleranza al fine di risollevare la nostra vita comune… Esaudisci il tuo popolo, Signore”


Buona ed utile preghiera nella prima parte, laicizzante e conciliare nella seconda. Rispondere all’indifferenza con la tolleranza significa lasciar le cose come stanno, significa - se è vero che l’indifferenza è la categorìa delle persone tiepide che il Signore vomita “per non essere né fredde né calde” (Apoc. 3, 16) - tradire e disattendere il comandamento della correzione fraterna, quello che proprio nel Vangelo di questa Domenica viene letto. Ma oggi si preferisce la tolleranza, cioè: rispetto dell’altrui cultura, dialogo, incontro e scambio di notizie.
E poi. Vale più, in termini morali, la dimensione personale che quella comunitaria. Siffatta proiezione è quella che, spesso, dà modo a qualche sacerdote di evadere l’obbligo della Messa per mancanza di “pubblico”. D’altra parte, come fargli torto? Papa Paolo VI – prossimo beato!! – ha definito il rito del Sacrificio Eucaristico, “sinassi”, cioè, assemblea. Ergo, se non c’è assemblea – ragiona quel prete – non ci può essere Messa.
Premessa all’antifona d’ingresso.

Di fronte a un fratello o a una sorella che hanno peccato non possiamo essere indifferenti. La carità nei loro riguardi richiede che ci si sforzi di aiutarli a correggersi. Ė il dovere della “correzione fraterna” che richiede molto tatto e umiltà, come ci indica il Vangelo”.

Risolviamo molto brevemente la topica di questa “premessa” che sta tutta nel solco del galateo salottiero, quello che, su forte impulso del papa – buona sera, buon pranzo, arrivederci -  ha preso il ruolo di rinforzino a fine Messa, quando il sacerdote, impartita la benedizione “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, non fidandosi della potenza di simile invocazione aggiunge:buona domenica. Amen!

Correggere i fratelli, con molto tatto e umiltà.
A leggere la striscia del Vangelo di San Matteo (18, 15/20) sembra che di tatto ce ne sia molto poco, anzi, nemmeno l’aura. Gesù, infatti, raffigura quattro forti momenti costitutivi di questa correzione fraterna:

1 – va’ da tuo fratello e ammoniscilo;
2 – se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni
3 – Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità (tradotto: rendi pubblico il suo peccato!);
4 -  e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.

Bravo chi riesce a trovare, in questa sequenza correttiva un che di tatto, di tollerante e di umile.
Bravo, pertanto, il compilatore di questo sciropposo pistolotto che è riuscito trovato nel Vangelo la prova della sua flaccida riflessione, e brava la CEI che autorizza siffatte bischerate.


di L. P.

vai alla prima parte


Fine
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV934_L-P_Fiori_tossici_II.html

2 commenti:

  1. Fateci sapere chi è il genio che ha inventato queste intenzioni di preghiera così gli diamo la Palma d'oro! Sempre più chiara la deriva di questa barca di Pietro il cui nocchiero gioca col timone! Signore salvaci! Affondiamo! Mala tempora currunt! Libera nos Domine! Aumenta la nostra fede!

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  2. non ho risposto con l' assemblea perché non sono preghiere cristiane....anche quando la preghiera dei fedeli è di enzo bianchi .....sono ecumeniche ambigue elevo al Signore la preghiera affinché torniamo al vero cristianesimo.....

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