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venerdì 3 ottobre 2014

“commitment to marriage”

L’alfiere americano del matrimonio che non sembra uscito dalla sacrestia


Papa Francesco (foto LaPresse)
New York. La lettera che un pugno di intellettuali americani – e non solo – di area conservatrice ha recapitato a Papa Francesco il mese scorso in vista del Sinodo sulla famiglia non s’addentra nei dettagli della comunione ai divorziati risposati, né evoca le implicazioni ecclesiologiche dello scontro con i progressisti kasperiani. Non per questo il “commitment to marriage” avanza richieste oziose o meno pugnaci rispetto al dibattito corrente. Al Papa e ai cardinali si chiede, in sostanza, di usare l’occasione del sinodo per riaffermare con forza la verità del matrimonio, senza conformarsi alla mentalità di questo secolo, come direbbe san Paolo: “Gli uomini e le donne hanno disperatamente bisogno di sentire la verità sul motivo per cui dovrebbero sposarsi”.


ARTICOLI CORRELATI Anche se tutti, noi no Passioni calde su dottrina e pastorale della famiglia (molto, molto calde)Riaffermare, non riformare, questo è quello che chiedono i vari Robert George, Mary Ann Glendon, Rick Warren, Mary Eberstadt, Orlando Carter Snead, Marcello Pera e il resto della prevedibile falange cattolica e protestante americana che costantemente cerca nuove armi per combattere la culture war.

Fra i firmatari c’è anche un intruso generazionale di nome Ryan Anderson, analista  di “religion e free society” all’Heritage foundation, think tank reaganiano e baluardo del conservatorismo sociale. Per rimanere nella metafora bellica, Anderson è stato eletto da qualche tempo ariete del movimento a favore del matrimonio fra uomo e donna. 32 anni, cresciuto in una famiglia cattolica di Baltimora, educato chissà perché nelle scuole dei quaccheri e poi a Princeton, Anderson si è trovato molto presto dall’altra parte della barricata della mentalità dominante – dalla parte sbagliata della storia, direbbe Obama – in fatto di matrimonio e famiglia, tanto da essere costretto a chiedersi molto seriamente le ragioni del suo viaggio controcorrente. Ryan è cresciuto quando la guerra culturale, nella sua essenza, era già stata vinta, negli anni clintoniani del politicamente corretto e dello svuotamento sorridente di tutto l’impianto tradizionale della società. Dai dibattiti con i compagni di classe, figli di “una generazione che non ha sperimentato una cultura del matrimonio forte”, Ryan si è trovato a scrivere articoli sul giornale di Princeton e poi a cofirmare un libro sul matrimonio con l’autorevole giurista Robert George.

E’ forse per questa sua consuetudine a cercare vie esclusivamente razionali per dibattere che Anderson è diventato il volto più noto del dibattito sul matrimonio. Non ha la faccia da chierichetto né l’inclinazione all’urlo di un imbonitore radiofonico del Tea Party, discute con la sicurezza di un data journalist che parla dei grandi elettori dell’Ohio. Si è fatto anche crescere la barba, forse per assomigliare più a un hipster che a un giovane rampollo del conservatorismo. Va in televisione senza cravatta, parla con i tempi giusti, incastra gli interlocutori sulla logica traballante dei loro ragionamenti, non sui dogmi (“che cosa c’è di magico nel numero due?” è una sua provocazione classica per costringere a spiegare perché, una volta accettato il matrimonio gay, non si dovrebbe accettare anche la poligamia). Di solito gli anchorman gli tendono delle trappole, lo mettono in mezzo a una platea di provocatori che di professione fanno perdere le staffe. Lui si presenta in qualunque arena e non concede mai la soddisfazione di una reazione iraconda. Quando lo scorso anno è andato al talk show di Piers Morgan sulla Cnn, il conduttore e l’ospite in studio, Suze Orman, sono andati a sbattere contro il rigoroso aplomb argomentativo di Anderson, che rifiutava l’identificazione fra sostegno al matrimonio fra uomo e donna e omofobia. A un certo punto Morgan e Orman si sono talmente adirati che sono apparsi loro come i fondamentalisti intolleranti, non il giovane intellettuale che ha cambiato il paradigma della comunicazione sul matrimonio tradizionale.
© FOGLIO QUOTIDIANO

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