“Milagros” era il titolo di una
famosa telenovela argentina del 1993. Ebbene, ieri con l’evento di
pre-apertura del Sinodo è andato in scena il primo episodio della
chiesa-milagros guidata dallo sceneggiatore-regista Jorge Mario
Bergoglio. La puntata di ieri ha visto come protagonisti Nicola e
Antonella che in pubblica piazza hanno raccontato la storia del
tradimento di lui, della separazione e del ritorno al tetto coniugale.
Una puntata tutto sommato con un lieto fine. Ma l’importante è sguazzare
nel torbido, compiacersi della trasgressione e del peccato. No, non la
povera coppia che in un estremo impulso esibizionista ha spiattellato le
proprie vicende private in piazza, ma l’apparato
burocratico-istituzionale di questa chiesa-calabraghe.
Così ieri, durante la prima puntata
della telenovela argentina, la voce narrante ha esortato i
telespettatori a non giudicare i protagonisti. Piuttosto li ha invitati a
“prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’«odore»
degli uomini d’oggi” perché solo così possiamo “ricercare ciò che oggi
il Signore chiede alla Sua Chiesa”. In questo plot Dio, il Signore,
Cristo sono dei puri “deus ex machina”, giustificazione soprannaturale
di fatti mondani, di esigenze della trama. Così la puzza della società
contemporanea costruita su principi e valori antitetici a quelli
cristiani, propri peraltro di tutte le società tradizionali, diventa
sulla bocca di Bergoglio “odore”. Un odore da “percepire” e dal quale
farsi guidare per trovare ricette adeguate come farebbe il topino Rémy
nella cucina del cartoon Ratatouille. O meglio per adeguare la
chiesa-milagros alle aspettative del pubblico. I telespettatori amano i
tradimenti, le tensioni, le trasgressioni. Amano gli intrecci
complicati, le storie strappalacrime, amano il conflitto, il peccato,
amano anche la redenzione, ma la redenzione procede secondo i desiderata
dello sceneggiatore il cui scopo essenziale è quello di prolungare
l’attenzione del pubblico.
Milagros ha vissuto per ben 200 puntate.
La Chiesa Cattolica per ben 2000 anni. Solo che per la maggiorparte di
questi 2000 anni l’assetto sociale sul quale insisteva la predicazione
del Vangelo era l’assetto tradizionale, fondato sulla famiglia
monogamica. Ed era soprattutto l’assetto proprio di società largamente
rurali nelle quali la stabilità, la fissità sociale era un must. Non
c’era bisogno di telenovelas. Nell’ultimo secolo l’industrializzazione
prima e la globalizzazione poi (dei consumi oltre che della produzione e
degli scambi) hanno generato un’assetto sociale diverso e antitetico,
fondato sulla flessibilità, sull’instabilità dei legami, sull’usa e
getta invece del “per sempre”. Fino a quando la Chiesa ha potuto
resistere all’avanzata di questa rivoluzione sociale (fomentata da
modelli culturali ben precisi, anche questi ostili al cattolicesimo e ad
ogni forma di società tradizionale o di valori e principi etici
“assoluti”), la Chiesa si è barcamenata fra una dottrina inflessibile e
una prassi un po’ più nebulosa. Ma dinanzi alla conclamata conquista del
modello sociale precedente fondato sulla legge di natura da parte di
questo nuovo modello consumistico che Alexander Dugin definisce
“post-società” intendendo un luogo dove non c’è più societas (aggregazione in un solo corpo di tanti individui), bensì nel quale vige la legge dell’ idiòtes (il
cittadino privato, l’individuo staccato da ogni forma di aggregazione),
ecco che anche la chiesa deve capitolare. Deve calarsi le braghe.
Perché oltre ad essere ipocrita e
davvero di pessimo gusto tutto il giro di parole che mira a coinvolgere
Nostro Signore nel “dignitoso compromesso” (per citare Malachi Martin)
fra Chiesa e Poteri mondani, è una somma attestazione di debolezza, di
inconsistenza. Almeno lo è per chi come me pensa che un uomo debba
essere fedele a se stesso sempre. Quando un uomo tradisce la sua storia i
suoi valori il suo ethos non può ricevere il plauso del mondo, ma solo
biasimo. Questo tradimento è viltà. E resto dell’opinione di Sofocle
nell’Aiace: “all’uomo nobile si addice o il viver con onore o morire con
onore”. Pensieri e valori di altri tempi, si sa.
La Chiesa è sì fatta di uomini nobili,
ma anche di numerosi uomini di potere. Ve li immaginate voi vescovi
cardinali e preti alle prese con le quotidiane ostilità del Mondo, come
accadeva sotto Benedetto XVI? Ve li immaginate mentre vengono accusati,
processati, mentre le diocesi vengono espropriate, i conti bancari
congelati, le banche non prestano più denaro per edificare nuove
orribili chiese o per dar vita ad inutili iniziative pseudo-pastorali?
No. Questa chiesa con la C minuscola, questo apparato
istituzionale-burocratico mira a preservare se stesso. A tutti i costi.
Anche al costo di adeguare il Vangelo al puzzo della società
contemporanea. D’altro canto, sempre per citare Martin, questi signori
sono animati dal “complesso di Giuda”, tradiscono non con l’idea di
tradire, ma perché convinti che la loro strada, il loro “dignitoso
compromesso” sia la soluzione più logica, la migliore.
Purtroppo non credo che questa
telenovela finirà presto. Al contrario durerà a lungo perché i suoi
produttori sono esterni alla Chiesa. Ne gioiscono e si compiacciono.
Come se ne compiacciono le masse che adeguatamente lobotomizzate dai
poteri mondani leggono nelle parole della chiesa-milagros e del suo
sceneggiatore-regista un compiaciuto soddisfacimento dei propri
desideri, una conferma della propria libertà, libertà di sbagliare senza
sanzione, libertà persino dagli sbagli. Così nella telenovela appena
iniziata la voce del popolo diventa la “voce di Dio” (“dobbiamo chiedere
il dono dell’ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del
popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci
chiama”). E’ tutto così bello e delicato in questa chiesa panem et
circenses. Certo, non hanno fatto i conti con l’Oste. Ma Nostro Signore
sa aspettare, sa mettere alla prova, lascia persino il suo Israele
costruire vitelli d’oro e ballarci e danzarci attorno…
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