Il coro urla: Bergoglio, facci la riforma protestante. Resisterà?
Il Sinodo che doveva cambiare tutto non ha cambiato niente. Ma, fra un anno, sono molti a crederlo e alcuni persino a giurarlo, cambierà tutto. Intanto prendiamone atto. Non è cambiato niente. Per mesi si è letto di riforme sconvolgenti, dalla portata epocale. Se arriveranno ne discuteremo. Sarebbe però sbagliato far finta di niente. Al Sinodo si è discusso, anche animatamente, di questioni dirompenti. C’è una larga fetta dell’episcopato, guidata dai vescovi nordeuropei, impegnata a traghettare la Chiesa verso una riforma protestante.
I protestanti con l’avanzata della secolarizzazione (dalla seconda metà del Novecento) hanno deciso di aprirsi al mondo. Tutto è stato accettato. Gli splendidi risultati previsti in definitiva non sono arrivati. Quindi se la Chiesa di Roma si aprirà al mondo, come vuole la maggioranza dei vescovi che hanno votato in particolare su due punti divisivi (come accogliere l’omosessualità e i fedeli divorziati), il futuro è già scritto. Perderà di credibilità. Verrà sempre di più equiparata ad un’agenzia non governativa, una onlus qualunque con compiti sociali, che annovera fra i tesserati una larga schiera di testimonial del glamour, da Laura Boldrini e Lorenzo Jovanotti. Se le sorti della Chiesa fossero rette dal sistema democratico già si sarebbe suicidata. La maggioranza l’avrebbe accompagnata verso la dolce morte. Invece tutto è nelle mani del Papa. La sicurezza è diffusa: Francesco darà la spallata alla Chiesa istituzionale. Anche all’epoca del Concilio tutti erano convinti che Paolo VI avrebbe cavalcato la modernizzazione. Invece resistette alla tempesta. E dopo di lui il lungo pontificato di Giovanni Paolo II ha fatto assumere alla Chiesa una fisionomia inaspettata e mal sopportata dal sistema di pensiero progressista (anche cattolico) dominante. La caduta del comunismo, il successo mediatico, le grandi adunate giovanili, alcuni gesti clamorosi come la visita alla Sinagoga di Roma. Il Papa polacco non solo rintuzzò, ma mise nell’angolo lo spirito del Concilio più oltranzista e protestante. Lo stesso spirito che oggi è rispuntato fuori e scalpita, chiede riforme urgenti e radicali per adeguarsi al mondo. In definitiva la storia della Chiesa è sempre la stessa. A determinarne il corso è il Papa. Francesco resisterà alle sirene progressiste? Oppure si lascerà tentare? Fra i libri preferiti di Francesco c’è Il padrone del mondo di Hugh Benson, scrittore inglese figlio dell’arcivescovo di Canterbury convertitosi al cattolicesimo. Chi conosce il libro sa benissimo che è un ammonimento a non cedere alle lusinghe del mondo (cioè del Diavolo). Il tempo scioglierà il dilemma. I Pontefici passano allo storia se sanno guidare il «popolo di Dio» nella giusta direzione. Altrimenti si perdono.
I protestanti con l’avanzata della secolarizzazione (dalla seconda metà del Novecento) hanno deciso di aprirsi al mondo. Tutto è stato accettato. Gli splendidi risultati previsti in definitiva non sono arrivati. Quindi se la Chiesa di Roma si aprirà al mondo, come vuole la maggioranza dei vescovi che hanno votato in particolare su due punti divisivi (come accogliere l’omosessualità e i fedeli divorziati), il futuro è già scritto. Perderà di credibilità. Verrà sempre di più equiparata ad un’agenzia non governativa, una onlus qualunque con compiti sociali, che annovera fra i tesserati una larga schiera di testimonial del glamour, da Laura Boldrini e Lorenzo Jovanotti. Se le sorti della Chiesa fossero rette dal sistema democratico già si sarebbe suicidata. La maggioranza l’avrebbe accompagnata verso la dolce morte. Invece tutto è nelle mani del Papa. La sicurezza è diffusa: Francesco darà la spallata alla Chiesa istituzionale. Anche all’epoca del Concilio tutti erano convinti che Paolo VI avrebbe cavalcato la modernizzazione. Invece resistette alla tempesta. E dopo di lui il lungo pontificato di Giovanni Paolo II ha fatto assumere alla Chiesa una fisionomia inaspettata e mal sopportata dal sistema di pensiero progressista (anche cattolico) dominante. La caduta del comunismo, il successo mediatico, le grandi adunate giovanili, alcuni gesti clamorosi come la visita alla Sinagoga di Roma. Il Papa polacco non solo rintuzzò, ma mise nell’angolo lo spirito del Concilio più oltranzista e protestante. Lo stesso spirito che oggi è rispuntato fuori e scalpita, chiede riforme urgenti e radicali per adeguarsi al mondo. In definitiva la storia della Chiesa è sempre la stessa. A determinarne il corso è il Papa. Francesco resisterà alle sirene progressiste? Oppure si lascerà tentare? Fra i libri preferiti di Francesco c’è Il padrone del mondo di Hugh Benson, scrittore inglese figlio dell’arcivescovo di Canterbury convertitosi al cattolicesimo. Chi conosce il libro sa benissimo che è un ammonimento a non cedere alle lusinghe del mondo (cioè del Diavolo). Il tempo scioglierà il dilemma. I Pontefici passano allo storia se sanno guidare il «popolo di Dio» nella giusta direzione. Altrimenti si perdono.
La modernizzazione, o meglio la «protestantizzazione» della politica italiana sta riguardando anche la destra partitica italiana. Berlusconi ha orientato Forza Italia su posizioni etiche protestanti. È un bene? È un male? È un dato di fatto. Ormai gli eventi lo hanno scavalcato. Ci voleva un giovane cattolico premier per far emergere il problema. Il vecchio Prodi si tenne abilmente alla larga da spinose questioni. Ci voleva un boyscout dall’aria vagamente socialista per far capire che ormai la diga messa in piedi dal movimento popolare guidato da Berlusconi e la Chiesa italiana di Camillo Ruini non regge più. Chi accusa Berlusconi di aver svenduto vent’anni di battaglie, fa finta di non vedere i profondi cambiamenti verificatisi nella società italiana. Pasolini imputava alla Chiesa la responsabilità di aver bloccato la riforma protestante in Italia. Questa, cacciata dalla porta, è entrata dalla finestra attraverso la società dei consumi che Pasolini visceralmente odiava. Ormai a rivendicare i principi etici legati alla morale cattolica sono rimasti una minoranza di italiani. Una minoranza considerata dalla maggioranza repellente, fuori dal mondo, proveniente da un altro pianeta. Tutti i paesi «civili» europei (quindi l’Italia attuale non è civile né europea) hanno adottato una legislazione sulle unioni civili fra appartenenti allo stesso sesso. E così avverrà anche in Italia, con o senza Berlusconi. Siamo destinati a diventare un paese nordeuropeo protestante, come la Svezia o la Danimarca. Con un problema: non siamo la Svezia né la Danimarca. Chi ci salverà?
http://www.lintraprendente.it/2014/10/il-coro-urla-bergoglio-facci-la-riforma-protestante-resistera/
Introvigne e il "Dio delle sorprese".
Francesco con il discorso conclusivo del Sinodo (qui) ha preso le distanze dai "tradizionalisti ... che trasformano il pane in pietre" e dai "progressisti che ... trasformano le pietre in pane". Quindi ha indicato, senza fissare con chiarezza la natura dichiarativa di quella che in materia spirituale è più un' auctoritas che una plena potestas, la propria funzione di autore dell'unità della Chiesa e rivendicato obbedienza.
Il problema di questi passaggi è l'indeterminatezza di ogni dichiarazione di metodo che promette, in quanto tale, la produzione di una verità o di un giusto risultato. Pensare la Verità del Cristianesimo, che è anche "Via e Vita" (Gv 6), lo stesso Verbo Divino, come il prodotto di un metodo oppure concepire le dichiarazioni del magistero ordinario (e straordinario) alla stregua dell'attività normativa di una competenza suprema significa abbandonare il sistema cattolico. Anche il dogma dell'infallibilità che è funzione della Tradizione, e non viceversa, ne esce deformato.
Sotto il presupposto formale deformante della competenza suprema e del suo metodo possono darsi appuntamento sia le componenti conservatrici sia quelle progressiste, purché accettino il presupposto stesso e siano disposte a conformarsi (e a deformarsi). La vittima di questo sistema, ormai non più cattolico, è la stessa fede, e con la fede l'anima cristiana, il cui contenuto è messo integralmente a disposizione di un procedimento formale (e deformante) dagli esiti (almeno da quarant'anni) mobili. Tale disponibilità della fede e dell'anima, cui corrisponde la tirannia meccanizzata della competenza, è la forma più estrema di modernismo. La distruzione formale (ora sinodale) di ogni contenuto della Rivelazione e il prosciugamento delle stesse fonti della Rivelaziome, Tradizione e Scrittura.(su questi punti si vedano i nostri precedenti interventi quie qui)
Un esempio evidente di questa infinita devozione alla competenza formale è il commento dedicato da Massimo Introvigne al discorso di chiusura del Sinodo di Francesco (qui). Dopo avere negato, come di consueto, la differenza sostanziale tra magistero ordinario e straordinario (si tratta di uno dei postulati introvigneschi), il "reggente nazionale vicario" di Alleanza Cattolica, raccoglie tutti i passaggi del discorso di Francesco per affermare quell'occasionalismo (in tal senso parlava Karl Löwith - vedi Storia e fede, Bari 2000, p. 97 - degli ultimi sviluppi del pensiero decisionista post Kierkegaard) che è il vero fondamento reazionario del suo pensiero: meglio una decisione che nessuna decisione. Nella successione di de Bonald, de Maistre, Donoso Cortes Introvigne si pone idealmente, dopo Cortes, all'estrema avanguardia della reazione alla rivoluzione montante e, pur di salvaguardare il supremo decisore, tutto si concede, difende - lui e il suo movimento - il Concilio Vaticano II, Nostra Ætate, il Novus Ordo, la libertà religiosa, l'idolatria di Assisi, l'oblivione del Nuovo Israele, la coscienza di Scalfari e, infine, il" Dio delle sorprese".
A proposito di quest'ultimo concetto Introvigne non spiega che Dio può fare miracoli, a ciò pensava ancora Kierkegaard, ma non cambiare la dottrina rivelata (Kierkegaard non se lo sarebbe neppure sognato), perché ciò sarebbe come se Dio cambiasse se stesso. Da questi incerti e strani abissi che sono i medesimi del nominalismo e di un certo volontarismo gesuitico, la Chiesa si è sempre tenuta lontana. Ma il punto, è in fondo, proprio questo: il "Dio delle sorprese" è il dio degli occasionalisti reazionari, e il nostro reazionario torinese è finalmente giunto a casa.
Il problema di questi passaggi è l'indeterminatezza di ogni dichiarazione di metodo che promette, in quanto tale, la produzione di una verità o di un giusto risultato. Pensare la Verità del Cristianesimo, che è anche "Via e Vita" (Gv 6), lo stesso Verbo Divino, come il prodotto di un metodo oppure concepire le dichiarazioni del magistero ordinario (e straordinario) alla stregua dell'attività normativa di una competenza suprema significa abbandonare il sistema cattolico. Anche il dogma dell'infallibilità che è funzione della Tradizione, e non viceversa, ne esce deformato.
Sotto il presupposto formale deformante della competenza suprema e del suo metodo possono darsi appuntamento sia le componenti conservatrici sia quelle progressiste, purché accettino il presupposto stesso e siano disposte a conformarsi (e a deformarsi). La vittima di questo sistema, ormai non più cattolico, è la stessa fede, e con la fede l'anima cristiana, il cui contenuto è messo integralmente a disposizione di un procedimento formale (e deformante) dagli esiti (almeno da quarant'anni) mobili. Tale disponibilità della fede e dell'anima, cui corrisponde la tirannia meccanizzata della competenza, è la forma più estrema di modernismo. La distruzione formale (ora sinodale) di ogni contenuto della Rivelazione e il prosciugamento delle stesse fonti della Rivelaziome, Tradizione e Scrittura.(su questi punti si vedano i nostri precedenti interventi quie qui)
Un esempio evidente di questa infinita devozione alla competenza formale è il commento dedicato da Massimo Introvigne al discorso di chiusura del Sinodo di Francesco (qui). Dopo avere negato, come di consueto, la differenza sostanziale tra magistero ordinario e straordinario (si tratta di uno dei postulati introvigneschi), il "reggente nazionale vicario" di Alleanza Cattolica, raccoglie tutti i passaggi del discorso di Francesco per affermare quell'occasionalismo (in tal senso parlava Karl Löwith - vedi Storia e fede, Bari 2000, p. 97 - degli ultimi sviluppi del pensiero decisionista post Kierkegaard) che è il vero fondamento reazionario del suo pensiero: meglio una decisione che nessuna decisione. Nella successione di de Bonald, de Maistre, Donoso Cortes Introvigne si pone idealmente, dopo Cortes, all'estrema avanguardia della reazione alla rivoluzione montante e, pur di salvaguardare il supremo decisore, tutto si concede, difende - lui e il suo movimento - il Concilio Vaticano II, Nostra Ætate, il Novus Ordo, la libertà religiosa, l'idolatria di Assisi, l'oblivione del Nuovo Israele, la coscienza di Scalfari e, infine, il" Dio delle sorprese".
A proposito di quest'ultimo concetto Introvigne non spiega che Dio può fare miracoli, a ciò pensava ancora Kierkegaard, ma non cambiare la dottrina rivelata (Kierkegaard non se lo sarebbe neppure sognato), perché ciò sarebbe come se Dio cambiasse se stesso. Da questi incerti e strani abissi che sono i medesimi del nominalismo e di un certo volontarismo gesuitico, la Chiesa si è sempre tenuta lontana. Ma il punto, è in fondo, proprio questo: il "Dio delle sorprese" è il dio degli occasionalisti reazionari, e il nostro reazionario torinese è finalmente giunto a casa.
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