ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 17 novembre 2014

Dialoghi tradizionalmente traditi

Mons. Pozzo: la Messa “straordinaria” può essere proibita dall’autorità

E l’IBP deve «assimilare» questi contenuti. Ecco i frutti della scelta di arrendersi!
                                                                   
                                          15 novembre 2014, 
Sant’Alberto Magno Dottore della Chiesa


Per l’ispezione canonica, ritratti bergogliani su tutti i muri di Courtalain 
(anche nella sala da pranzo…) 

Le specificità fondatrici dell’IBP…introvabili

Ci è giunta ampia documentazione sulla situazione attuale dell’Istituto del Buon Pastore. Questa documentazione, che pubblichiamo in fondo al presente articolo, consta di:

1) I due testi delle conferenze del Segretario della Commissione Ecclesia Dei, illustranti il nuovo “protocollo d’insegnamento” per il Seminario dell’Istituto;

2) La lettera del 7 aprile 2014 di Mons. Pozzo al Superiore Generale dell’IBP, controfirmata dall’abbé Laguérie (che vi annota persino le sue felicitazioni «per questa riuscita molto bella»);

3) Il «Rapporto sullo stato dell’Istituto del Buon Pastore (2008-2013) e prospettive», datato 19 marzo 2014;

4) Una lettera molto significativa a firma del Commissario Forgeot.

Facciamo notare che nella sua lettera all’abbé Laguérie (Superiore dell’IBP per installamento forzato dall’esterno) mons. Pozzo non manca di sottolineare, a proposito delle due conferenze: «tengo a ripetervi» la richiesta che «professori e seminaristi le studino per assimilarne il contenuto». Si tratta dunque delle nuove linee direttrici della formazione nell’Istituto del Buon Pastore. Al tempo stesso la “dirigenza-fantoccio” dell’Istituto, nel Rapporto di cui sopra, cita la formula «le sole caratteristiche fondamentali» dell’IBP, ma senza mai nominarle espressamente, dal che potrebbe venire (illusoriamente, come vedremo) una qualche impressione di un loro mantenimento. 

Analizziamo dunque le conferenze di Mons. Pozzo, nuovi fari orientatori del Seminario dell’Istituto, e vediamo cosa resta delle specificità fondatrici, giacché sarebbe completamente fuori della realtà pensare che la “sensibilità” per il rito antico, meramente a motivo della sua bellezza e solennità, possa essere una «sola caratteristica fondamentale» dell’IBP.


Cosa resta della “critica costruttiva”?

Come è stato detto tante volte nel 2006 e negli anni seguenti, l’Istituto del Buon Pastore presentava come proprie specificità - oltre alla carità pastorale ed ecclesiale richiamata dal nome - la facoltà riconosciuta di una “critica costruttiva” di certi punti del Concilio Vaticano II (e a maggior ragione dei successivi sviluppi) e la facoltà, parimenti riconosciuta, dell’utilizzo “esclusivamente” del rito tradizionale, esclusività che per i membri dell’Istituto era concepita come un impegno fondante.

Nella conferenza, dal titolo «Il Concilio Vaticano II: rinnovamento nella continuità con la Tradizione», cosa resta del pilastro originario della critica costruttiva? Tale facoltà ne esce ridotta ai minimi termini, non più di un piccolo accenno sommerso in numerose affermazioni che vanno in direzione opposta.

Mons. Pozzo insiste invece sulla mera “ermeneutica della continuità”. Linea che in teoria, come spesso la si intende, potrebbe essere contrapposta a quella dei progressisti, ma che nella realtà si è mostrata al riguardo fallimentare: a riprova basti citare il fatto che un dichiarato “ermeneuta della rottura” come Mons. Tagle ha ricevuto ciononostante la porpora (tornando anche di recente ad affermare trionfante che «è tornato a soffiare lo Spirito del Concilio», e senza che venisse messo…“sotto tutela”). Questa soluzione si è palesata essere così poco convincente che qualcuno, in altissimo loco, ha affermato nella nota intervista a La Civiltà Cattolica che il Concilio Vaticano II sarebbe stato «una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea» (uno dei tanti detti e fatti non propriamente in linea con l’ermeneutica della continuità). L’esigenza imprescindibile di applicare l’ermeneutica della continuità varrebbe dunque soltanto per i tradizionalisti ? Di fatto, il peso che Mons. Pozzo attribuisce alla questione ermeneutica lascia così poco spazio alle possibilità di critica, benché “seria e costruttiva”, che egli insiste - in una conferenza così ben «riuscita» - ad applicarla in particolare a Dignitatis Humanae. Benché, come dice egli stesso, tale Dichiarazione sia uno «dei testi di carattere pratico-pastorale» (p. 8) - che in sé esigono quindi un assenso di grado inferiore -, neanche questo si può criticare ? Di fatto egli, eludendo le critiche rispettose ma puntuali come quelle di Mons. De Castro Mayer (cfr. Libertà religiosa: la chiara posizione di Mons. De Castro Mayer), ripropone sostanzialmente le tesi di Padre Basile del Barroux, tesi che non avevano convinto i primi membri dell’IBP nel 2006, i quali espressamente ne avevano preso le distanze: adesso i seminaristi dell’IBP le debbono «assimilare»? 

Un altro esempio: Mons. Pozzo arriva a dire che l’ultimo Concilio sarebbe « in perfetta continuità e fedeltà con la Tradizione» (p. 2). Una continuità addirittura «perfetta»! Dunque l’ermeneutica della continuità non è neppure, in tale impostazione, un modo per affrontare il problema di alcuni aspetti del Concilio Vaticano II e delle successive riforme. Diversi autori ad esempio (tra cui il Card. Siri), avevano ammesso la presenza in tali testi di alcune ambiguità, da risolvere appunto con una interpretazione “alla luce della Tradizione”. No, nemmeno questo: se la continuità è addirittura «perfetta», allora non si tratta neppure della risoluzione di un problema, ma dell’affermazione - tautologica - dell’inesistenza del problema. Peraltro una ermeneutica della continuità così concepita (che non è neppure “il Concilio alla luce della Tradizione”) viene richiesta non soltanto davanti ai testi del Vaticano II, ma su tutta la linea: tant’è che il Buon Pastore dovrebbe mettere altresì in luce «la continuità liturgica tra il Vetus Ordo e il Novus Ordo» (p.3). E ciò dovrebbe essere «assimilato» dai seminaristi!

A tal punto Mons. Pozzo indica in siffatta ermeneutica la panacea d’ogni problema ecclesiale, da dire che anche Papa Francesco, come Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, si è espresso «senza equivoci» sull’ «indifferentismo religioso» (p. 6)! E’ il colmo del trionfo della petizione di principio sulla realtà.

Con che coraggio dunque si parla ancora di mantenimento delle «sole caratteristiche fondamentali» dell’IBP?

Dunque la negazione del problema. Perché fare allora la ratzingeriana “riforma della riforma”? Di più: il Concilio (e più ampiamente, come abbiamo visto) non è un “Superdogma”, afferma Mons. Pozzo richiamando la corrosiva battuta dell’allora Card. Ratzinger, però viene quasi da pensare che, se non un “Superdogma”, almeno un dogma (benché non l’unico) lo sia.  Infatti in più di un passaggio della conferenza sembra quasi che tale Concilio venga inserito nell’oggetto della fede. In questa linea non stupisce che in siffatto protocollo della formazione dottrinale mons. Pozzo condanni anche una posizione genericamente «minimalista» sul Vaticano II, che sottolineerebbe troppo che esso «non è che un Concilio pastorale» (p.8). E’ evidente che questa linea non è affatto favorevole neppure ad un certo ridimensionamento dell’ultimo Concilio. Ed è altrettanto evidente - a chi non è accecato dall’interesse - che la “critica costruttiva” ne esce seppellita, anzi siamo agli antipodi di questo punto fondativo.


Cosa resta dell’ “exclusive”?

Se possibile, ancora meno.

Infatti Mons. Pozzo nella succitata lettera del 7 aprile chiede espressamente una «applicazione del motu proprio Summorum Pontificum e dell’istruzione Universae Ecclesiae» che sia «senza alcun esclusivismo» . Stentiamo a credere di come si possa essere tanto accecati dalla doppiezza opportunistica (che oscilla tra servilismo in pubblico ed estremismo in privato) da non vedere che la direzione indicata è agli antipodi con l’exclusive. Peraltro, una richiesta così assoluta (“nessun esclusivismo”) è un pozzo senza fondo, applicabile anche a chi, ad esempio, tenta di utilizzare il nuovo rito nel modo più tradizionale possibile: giacché anche l’utilizzo esclusivo della prima delle Preghiere Eucaristiche a scelta (più o meno il Canone romano) è comunque unesclusivismo.  Anche l’escludere il decimo Prefazio, quello ereticale in cui si dice «l’umanità intera entrerà nel tuo (di Dio) riposo», sarebbe comunque unescludere…Dove si arriva per questa strada, se non al disarmo assoluto di ogni resistenza cattolica?

In questa prospettiva, «bisogna mettere in rilievo l’intima convergenza delle due forme» (p.5) e inoltre, sarebbe «fortemente consigliata» la concelebrazione dei sacerdoti aderenti al Vetus Ordo che operano nelle diocesi (p.7). E’ vero che ufficialmente viene dato come un consiglio e non come un obbligo, non come un impegno. Tuttavia è assai poco rassicurante quell’avverbio, «fortemente», e soprattutto preoccupante è il contesto che emerge dall’affermazione di mons. Pozzo, la quale getta su tutto l’insieme una luce alquanto sinistra.

Egli infatti fa comparire una strana e inquietante spiegazione “ermeneutica”: ilVetus Ordo non è mai stato abolito in sé (p.4) e questo perché, viene precisato alquanto riduttivamente, la Chiesa «non abolisce una forma in quanto tale», però «l’autorità della Chiesa limita o restringe l’uso dei testi liturgici»; è ciò che di fatto «si è verificato negli anni del dopo-Concilio» e tutti devono obbedienza a questo genere di misure restrittive (p. 4), che di fatto possono non permettere, in certi tempi o ad alcuni soggetti, la celebrazione della Messa tradizionale, sebbene questa, in sé, resti “mai abolita”. Si tratta, plausibilmente, di una ermeneutica della continuità così esasperata (non è anche questa «ideologizzazione»?) da voler vedere continuità anche tra il motu proprio Summorum Pontificum (col suo “mai abolita”), e la notoria recente proibizione di tale celebrazione a qualche Ordine, sebbene biritualista ed anche cultore dell’obbedienza cieca. Ma - di fatto - un tale discorso ha pure il tono di un avvertimento: nella realtà concreta, la Messa tradizionale può essere tolta.

Non si vede proprio come avvertimenti del genere possano non costituire un pericoloso condizionamento psicologico, anche in rapporto ai forti inviti a concelebrare. Condizionamento anche connesso al ricordo delle ordinazioni sacerdotali che la Commissione, d’accordo col Commissario Forgeot e con l’abbé Aulagnier, ha bloccato - il 10 giugno 2013 - la sera prima della celebrazione! Due diaconi del Buon Pastore hanno saputo alla fine del loro ritiro preparatorio all’ordinazione, che l’indomani alle ore 9 non sarebbero divenuti sacerdoti; hanno dovuto rimandare a casa i genitori (venuti dal Brasile), annullare le prime Messe, e ciò «per cause politiche», fu detto esplicitamente. Violando senza remore lo stesso canone 1030 (CIC).

Non si vede dunque come una «assimilazione» nell’insegnamento di un siffatto discorso, peraltro in un contesto del genere, possa essere compatibile con il carisma originario dell’Istituto, che - con l’autorizzazione del Santo Padre - aveva nell’exclusive uno dei punti fondamentali.


Il rinnegamento del carisma originario dell’IBP, direttamente…

Gli attuali Superiori dell’IBP, sono forse d’accordo sul prendere questa strada ? In cuor loro, certo che no: tant’è che (con uno stile che non ci appartiene) in privato parlano di mons. Pozzo in termini pesantemente offensivi e si definisce la “Nuova Messa” con espressioni irripetibili. Nelle conferenze interne ai seminaristi, l’abbé Aulagnier (ancora nel 2014!) ha affermato - con singolare esegesi dell’Apocalisse - che: «la bestemmia che esce dalla bocca della Bestia è la Nuova Messa», ed egli è stato nominato d’ufficio da Dom Forgeot Rettore del Seminario (e questa sarebbe una cosa seria?). Eppure, nei discorsi pubblici l’abbé Laguérie parla di Mons. Pozzo come “il nostro protettore” e in un testo ufficiale quale il sopracitato «Rapporto sullo stato dell’Istituto del Buon Pastore (2008-2013) e prospettive» si parla di «sostegno costante » da parte di Roma all’Istituto, asserendo che ciò l’avrebbe «mantenuto intatto sulle sue basi solide»! 

In questo documento, i Superiori chiedono sì «il favore (sic!) di prorogare i suoi Statuti allo stato e di accordargli (all’Istituto, ndril riconoscimento definitivo da parte della Santa Sede», ma questi, come evidente nel quadro appena esposto, sarebbero comunque completamente svuotati. Gli Statuti attuali resterebbero, eventualmente, giusto per la facciata (anche per le obiezioni pubbliche mosse a queste manovre da alcuni contestatori di nostra conoscenza…). E ciò è tanto oggettivamente fondato che in questo documento dei “Superiori-marionetta” dell’IBP si legge che qualche modifica degli Statuti «potrebbe apparire auspicabile a lungo termine», tuttavia « non è ravvisabile oggi e potrebbe essergli fatale». Ed è notevole che una tale affermazione (si possono cambiare, però non oggi) compaia subito dopo il seguente periodo, che chiaramente fa riferimento a quella che fu la nostra resistenza interna, quando era giusto tentarla: «l’Istituto del Buon Pastore ha bisogno di un periodo di calma, di lavoro, di perfezionamento delle virtù del rispetto, dell’obbedienza (interna ed esterna), talvolta ben maltrattate in passato».

Ed è tanto vero che le voci critiche non sono ammesse che nella documentazione in oggetto abbiamo trovato anche, in forma esplicita, quanto nella sostanza già sapevamo: il Commissario dell’IBP, Abbé Antoine Forgeot, autore di quello che uno dei presenti alla votazione (cfr. Quali conseguenze dall’alterazione del corpo elettorale dell’IBP e La cosiddetta “elezione” dell’abbé Laguérie) chiamò “il golpe di Fontgombault”, il 29 settembre 2013 ha scritto alla Segnatura per «far tacere» un sacerdote dell’Istituto, don Stefano Carusi, «molto proceduriero e contestatore». A parte la ovvia tendenza a personalizzare, rileviamo lo stupefacente fastidio per l’attenzione alla correttezza delle procedure canoniche (del resto, va di moda…); ma notiamo anche il sano condizionamento che, evidentemente, le obiezioni dei resistenti hanno rappresentato.

I Superiori re-installati dall’esterno, invece, hanno qualcosa da ridire sull’assimilazione di un tale protocollo dottrinale ? E, non limitandoci ai documenti: hanno qualcosa da dire sugli scandali dell’attualità ecclesiale, per esempio al Sinodo? L’abbé de Tarnouarn per esempio, che essi chiamano “la sinistra dell’IBP” e che non è sulle nostre posizioni, questa onestà intellettuale l’ha avuta sul suo blog con articoli documentati. Disputationes Theologicae ha scritto : andiamo «Alle radici del veleno sinodale», richiamando alcuni dei propri studi contro la “Nuova teologia”. E i Superiori dell’IBP?  Oppure, anziché resistere lealmente a siffatte pressioni, essi hanno scelto la via doppia di mostrarsi allineati (e persino laudatori) ufficialmente e di lasciare la critica - che per compensazione è violentissima e distruttiva - alla sfera privata ? E quanti all’IBP dicono d’ispirarsi allo spirito romanamente combattivo di Mons. De Castro Mayer, hanno qualcosa da dire?

Noi saremo «molto procedurieri e contestatori», ma sta di fatto che abbiamo sostenuto a viso aperto delle tesi, abbiamo realizzato degli studi sulle questioni in oggetto, in cui una sana critica abbiamo tentato di realizzarla e nel contempo abbiamo tentato di indicare come le specificità dell’Istituto possono essere compatibili con le norme vigenti (cfr. ad esempio Il rito proprio e l’ermeneutica della continuità sono sufficienti? e Novus Ordo Missae: la legittimità di esprimere con franchezza il proprio pensiero teologico). Loro?


….e indirettamente

C’è anche un’altra modalità per annullare il carisma fondativo dell’Istituto, rinnegandolo pur volendo magari salvare il proprio orgoglio: e risiede nella scelta di alcuni sacerdoti, evidentemente in dissenso con i superiori “ufficiali” dell’IBP, di andarsene individualmente altrove.

Nel Rapporto sullo stato dell’Istituto (da cui si evince anche che la “contropartita” dell’apertura di nuovi apostolati lascia molto a desiderare, vedi tra gli altri il caso di Zarate-Campana in Argentina…) si dice che «due dei nostri sacerdoti incardinati e uno che stava per esserlo, tutti e tre scoraggiati, hanno così raggiunto la Fraternità San Pio X». Notiamo en passant che della FSSPX nel Rapporto si parla come di «gruppi «scismatici» » da non «confortare manifestamente nel loro funesto errore» (è significativa la sintonia con qualche frase di Mons. Pozzo nel suo ufficio a Roma), allorquando in altre occasioni l’abbé Laguérie si è espresso sulla FSSPX ben diversamente.

Altri sacerdoti dell’Istituto sono andati nella Fraternità San Pietro o in maniera individuale nelle Diocesi.

E’ chiaro (o dovrebbe esserlo) che se ci si dissolve altrove, evidentemente non si è saldi nella propria identità. Non si ritiene di avere qualcosa di specifico da dire.


Per non annullare questo carisma

In questo quadro, come si può dire che il “restare dentro”, come un assoluto, è automaticamente la via per conseguire maggiori risultati? Quanto sopra portato alla luce, testimonia l’esatto contrario. Il vero risultato che si ottiene imponendo o accettando questa via ben nota (ed è proprio il caso di dirlo :errare humanum est perseverare diabolicum) è quello di rendere, nell’ambito tradizionale, alcuni complessati e timorosi di non essere abbastanza “allineati” (quello che all’IBP chiamavamo “complesso dell’integrato”), altri - in un vortice estremista - esasperati.

La conclusione da trarne però non è quella di rassegnarsi alla morte di quelle specificità fondative. Proprio per questo i vecchi Resistenti dell’IBP sono rimasti insieme, riuniti nella San Gregorio Magno, continuando una testimonianza in favore di quelle specificità che nel 2006 furono la ragion d’essere dell’Istituto, e di cui vanno fieri.

A fronte di quel doloroso annullamento, quando per la via dell’opportunismo e quando per quella complementare dello scoraggiamento, possiamo invece trovare nella documentazione in disamina degli elementi che mostrano come la nostra testimonianza, pur modesta, è tutt’altro che vana.

Ad esempio, ci si esporrebbe a rivolgersi al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica - facendo affermazioni così pesanti, specialmente per un religioso, quali “fateli tacere” - se la testimonianza rappresentata dalle nostre obiezioni fosse stata senza effetti? Ovviamente siamo ben consapevoli dei contraccolpi ai quali questa franchezza ci può esporre, pazienza…

E per quale motivo mai c’è stato trasmesso questo materiale, evidentemente da confratelli che ancora stanno dentro l’IBP, se non proprio ritenendo che noi - a differenza loro che hanno le mani e la bocca legati - possiamo porre pubblicamente le questioni?

Davanti a questo multiforme annullamento, riproponiamo il manifesto fondativo della nostra giovane comunità (link).

Associazione chierici “San Gregorio Magno

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