Il caso Forte, le tariffe e... Quanti mugugni tra i vescovi
Molti di loro, in privato, si dicono “disorientati” dopo le durissime parole pronunciate venerdì mattina, a Santa Marta, da Papa Francesco. Un’omelia nella quale il Pontefice ha tuonato contro preti e segretari parrocchiali rei d’affiggere sulle porte delle chiese i tariffari per i sacramenti. A tutti questi, aggiungeva Bergoglio, «noi diciamo quello che dice Gesù: meglio essere buttati nel mare». Frasi che, non appena venivano diffuse dalla Radio Vaticana, facevano sobbalzare più d’un presule (non solo italiano). «Passa l'idea che battezziamo solo se vediamo l'obolo in busta», dice uno di loro.
Certo, c'è il caso del sacerdote che a Cagliari affittava la chiesa per «non meno di 300 euro» e del parroco di Pistoia che battezzava i bambini alla modica cifra di 90 euro (sconto del 30 per cento per i gemelli). Eppure, si tratta di casi isolati, chiariva nello stesso pomeriggio di venerdì il cardinale Angelo Bagnasco: «I sacramenti non sono pagati in nessun modo. Le offerte che i fedeli intendono dare in forma libera sono un modo per contribuire alla necessità materiali della Chiesa». Parole che venivano lette come una risposta esplicita a quanto detto dal Pontefice qualche ora prima, ancor più rilevanti per il fatto d’essere state pronunciate dal presidente (confermato) della Conferenza episcopale italiana. E a conferma che il dubbio fosse lecito, interveniva poco dopo il portavoce della Cei, monsignor Domenico Pompili a teMantare di gettare acqua sul fuoco: «Qualsiasi lettura che contrappone le parole del Presidente della Cei al Papa è fuorviante».
Eppure, che qualcosa non vada nel rapporto tra il centro e la periferia, tra Roma e la base, appare ormai un dato assodato. Ha fatto scalpore, qualche settimana fa, la sonora bocciatura di monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, in lizza per il posto di vicepresidente dell’episcopato italiano per il settore Centro. Al ballottaggio, Forte è stato travolto: sessanta voti per lui, centoquaranta al vescovo di Fiesole, monsignor Mario Meini. Dal parterre dei vescovi riuniti ad Assisi, subito si tentava (blandamente) di sdrammatizzare: «Si è voluto individuare e proporre nuove figure dell’episcopato italiano». Sarà così, anche se Forte fu bocciato – quasi con gli stessi voti – già cinque anni fa, quando eletto risultò essere Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, poi creato cardinale nel primo Concistoro di Francesco. Stavolta, poi, Forte godeva delle luci della ribalta del Sinodo, che lo aveva visto protagonista come segretario speciale e autore della controversa relazione intermedia ampiamente emendata dai circoli minori.
Qualche osservatore ha notato come il voto, al di là della carica di vicepresidente territoriale della Cei, abbia anche indicato l’orientamento dell’episcopato italiano in merito a una possibile promozione di Forte ad arcivescovo di una delle due diocesi cardinalizie che si libereranno nei primi mesi del 2015, Bologna e Firenze. Il teologo napoletano era già stato indicato in passato nelle terne sottoposte dalla Congregazione per i Vescovi al Papa per le cattedre di Venezia, Firenze e Milano.
Ma all’assemblea autunnale di Assisi sarebbe accaduto anche qualcos’altro, scrive il vaticanista Marco Tosatti: nella prima votazione, indicativa, ben ventisette voti sarebbero andati a monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina ed ex segretario generale della Cei, rimpiazzato dal vescovo di Cassano allo Jonio, monsignor Nunzio Galantino. Sarebbe stato proprio Crociata, stando alle ricostruzioni, a dissuadere i confratelli dal continuare a votarlo, perché ciò sarebbe apparso come un chiaro dissenso rispetto alla decisione papale di un anno fa di rimuoverlo dall’incarico e di destinarlo a una diocesi di secondo piano. Un dissenso anche nei confronti della nuova gestione Galantino, caratterizzata da una sovraespozione del segretario generale che raramente s’era vista nei quartieri sulla via Aurelia, tanto da mettere spesso in ombra il cardinale presidente. E ancora tutt’altro che riassorbita la ferita provocata dall’intervista del vescovo di Cassano allo Jonio dei mesi scorsi in cui il vescovo rivelava di non identificasi «con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche che praticano l’interruzione della gravidanza, ma con quei giovani che sono contrari a questa pratica e lottano per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro».
E proprio a Galatino si imputa l’aver invitato all’assemblea autunnale padre Fidenzio Volpi, commissario nominato da Roma per la Congregazione dei Francescani dell’Immacolata. Qualche vescovo, avvicinato da padre Volpi, si sarebbe sentito chiedere di non incardinare nella propria diocesi i frati dell’Immacolata decisi a uscire dalla Congregazione. Nulla si sa del perché il commissario abbia fatto tale raccomandazione a dei vescovi – lui che vescovo non é –, visto che accade di frequente in ogni diocesi del mondo. Fatto ancor più strano se si aggiunge che a tale visita sarebbe seguita una lettera circolare inviata dal segretario generale all’episcopato italiano in cui si domandava, a fronte di richieste di incardinamento dei francescani nelle singole diocesi, di mettersi al più presto in contatto con il commissario straordinario.
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Poveri parroci presi a bastonate! “Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi”...
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Perché il papa non comincia la pulizia da casa sua e magari a partire dallo Ior, diventato il paradiso delle lobby finanziarie straniere?
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