Il Sangue di Gesù Cristo o il rosolio dei nuovi teologi?
Un saggio di Maurizio Blondet
“La legge è questa: tutto ciò che, per diventare importante, ha bisogno del numero, è eo ipso privo di importanza ed è tanto meno importante quanto più grande è il numero di cui abbisogna. Tutto ciò che non può essere realizzato, arrangiato, compiuto se non per via del numero e che poi gli uomini ammirano stupefatti, come se ciò fosse la cosa importante, è proprio cosa senza importanza. Ciò ch’è veramente importante sta in senso inverso, ha sempre meno bisogno del numero per poter compiersi, e per la cosa più importante di tutte, per quella che muove cielo e terra non c’è bisogno che di un solo uomo, se c’è bisogno di più questo sottrae. Le guerre europee, le rivoluzioni, le esposizioni d’arte e i giornali a tiratura gigantesca ecc. non possono certamente essere allestiti da un uomo solo. Ma la cosa più importante di tutte, ciò che interessa angeli e demoni, è che un uomo si metta in rapporto con Dio: per questo un solo uomo basta” – Soren Kierkegaard
di Piero Vassallo
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Nell’affascinante saggio Un cuore per la vita eterna, edito da Effedieffe a cura di Lorenzo De Vita, Maurizio Blondet cita un testo esemplare del defunto padre domenicano Anton-Marie Roguet (1909-1991), il teologo progressista, che ha teorizzato una Carità avulsa dalla giustizia: “Come l’innocente può pagare per il colpevole? E’ da deplorare che per molti nostri contemporanei, la Redenzione si presenti in questi termini. Certi ne sono scandalizzati nel loro senso di giustizia e trovano nella Redenzione così presentata un’obiezione insuperabile contro la bontà di Dio. Se fosse veramente Padre trasferirebbe la sua collera nel Figlio diletto? Invece, nella presentazione del mistero pasquale non si incontrano questi scogli; in esso la nostra salvezza appare operata da un atto vitale e gratuito, da una libera iniziativa di Dio, uscita totalmente dal suo amore misericordioso”.
Generata dal timore di scandalizzare la coscienza dei numerosi miscredenti, la teologia neomodernista (o cripto-modernista) separa l’amore dalla giustizia, censura il dialogo nel Getzemani e affonda il sacrificio della Santa Messa in un fiume di mistico rosolio.
Sulla scena della storia irrompe un massiccio, inedito analfabetismo cristiano, che, per un verso, manda avanti folle di visionari demenziali, per il verso opposto fa scendere vertiginosamente il numero delle vocazioni religiose e dei matrimoni celebrati in chiesa.
Opportunamente Blondet cita, quale antidoto al delirio irrompente nella nuova teologia [1], la magnifica enciclica Haurietis Aquas, pubblicata nel 1956 dal venerabile servo di Dio Pio XII per esaltare il culto del Sacro Cuore di Gesù.
Un testo di struggente bellezza, quello di Papa Pacelli, che confuta e smentisce l’opinione di padre Roguet e dei suoi innumerevoli seguaci, attivi nelle cellule della teologia, che ha preparato la confusione conciliare: “Il Mistero della Divina Redenzione è propriamente un mistero d’amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano”. A conferma della sua tesi, Pio XII citava un magistrale, inequivocabile testo di San Tommaso d’Aquino: “La liberazione dell’uomo mediante la passione di Cristo fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia, anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato, alla misericordia, poi, perché non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore, nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna giustificazione”.
L’influenza che l’incapacità squisitamente moderna di cogliere il non senso della separazione di misericordia e giustizia – incapacità che avvicina i nuovi teologi agli antichi gnostici, i quali immaginavano uno scisma nell’Essere supremo, spaventa le menti deboli dei teologi modernizzatori e li trascina nel vortice zuccherino del buonismo.
Di conseguenza l’insegnamento tradizionale confermato da Pio XII è dimenticato e quasi censurato dalla teologia sentimentale e umanitaria, suggerita dalla paura di scandalizzare la massa degli atei e di contrastare il vento del concilio.
Insidiata dal rispetto umano, l’idea di sacrificio si allontana dal discorso cattolico mentre la Santa Messa si restringe nella figura di un banchetto commemorativo, rallegrato da canti concepiti da sciatti rimatori e accompagnati da irritanti/disturbanti rumori di chitarra.
Al seguito del desiderio di non turbare l’oscurata coscienza dell’uomo d’oggi, intanto si diffonde nei circoli dell’avanguardia teologica, l’opinione temeraria e infondata, secondo cui la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta “proprio come il fariseo della parabola” osserva Blondet “sicché per lui, che si crede buono e giusto, l’incontro con Cristo non ha alcuna conseguenza soteriologica”.
Lo squillante sciocchezzaio e la miscredenza diventano terreni d’elezione per l’attività di veggenti a gettone, d’invasati e di eretici in uscita da antiche ebbrezze, devianze teologiche e puerili superstizioni.
In un libro scritto dalla visionaria sudamericana Conchiglia e largamente diffuso nel pio sottobosco abitato dai sedicenticarismatici, si legge, ad esempio: “Sì … io sono colei che sono nella Trinità divina, sono la perfetta per volere di Dio, sono la parte femminile di Dio. … Da sempre sin dal Pensiero nascente del Padre Io ero. Da sempre nel pensiero nascente del Padre Gesù era. Noi … Io e Gesù … Eravamo” [2].
Quasi in sintonia con il dilagare dell’incendiaria, incontenibile stupidità dei nuovi teologi e dei visionari, si diffonde un’implacabile disprezzo nei confronti della religione e una tetra, zoologica rassegnazione alla perfetta fine di tutto.
Al proposito scrive Blondet: “Ho l’impressione che la distanza dell’uomo occidentale da ogni religione sia essenzialmente dovuta ad una fede diversa, a suo modo scientifica: l’accettazione totale del proprio destino zoologico. Non lo dice la scienza che l’uomo non è che un primate al 98% identico allo scimpanzé? Dunque morire è la fine di tutto – quel che conta è afferrare il godimento possibile fin che si è in tempo, e poi il buio, l’insignificanza totale”.
Blondet non cede tuttavia allo scoramento. Afferma invece che anche nella Chiesa d’oggi, “che è in gran parte una maceria, un residuo sulla via dell’estinzione“, ossia società di credenti in una dottrina obnubilata, Cristo si fa presente.
Nel fascinoso capitolo finale Blondet, formula un problema che dimostra la sua alta qualità di scrittore cattolico. Egli si domanda: “come mai arriva il Messia ed è un essere così provocatoriamente diverso da quello annunciato nella Torah da obbligare quasi questo popolo [Israele] a rifiutarlo oppure a compiere un salto mortale nella fede, una totale rinuncia alla propria più cara identità e alle sue certezze tradizionali più solide?”
La soluzione del problema risiede nella missione dei cristiani: confutare gli stati d’animo dei credenti nei Veda o nei canoni buddhisti o negli scritti dei filosofi greci che hanno sentito il corpo come tomba dell’anima. Il miracolo dell’ostia che si trasforma in un frammento nel cuore di Gesù crocifisso solleva il velo “sulla Maestà inimmaginabile e sul progetto regale di cui non vediamo che una briciola”.
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[1] Quale esempio di teologia nuova, Blondet cita l’opera del neocatecumenale Kiko Arguello, un bizzarro mistagogo, che censura e rinnega il Concilio di Trento e rigetta sdegnosamente la parola transustanziazione sostituendola con la accomodante e piatta parola transignificazione.
[2] Cfr:.Conchiglia, Maria E’ Divina il Mistero di Maria, a cura del Movimento d’Amore San Juan Diego, Maniago, Pordenone, 2003,pag. 293.
di Piero Vassallo
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Nell’affascinante saggio Un cuore per la vita eterna, edito da Effedieffe a cura di Lorenzo De Vita, Maurizio Blondet cita un testo esemplare del defunto padre domenicano Anton-Marie Roguet (1909-1991), il teologo progressista, che ha teorizzato una Carità avulsa dalla giustizia: “Come l’innocente può pagare per il colpevole? E’ da deplorare che per molti nostri contemporanei, la Redenzione si presenti in questi termini. Certi ne sono scandalizzati nel loro senso di giustizia e trovano nella Redenzione così presentata un’obiezione insuperabile contro la bontà di Dio. Se fosse veramente Padre trasferirebbe la sua collera nel Figlio diletto? Invece, nella presentazione del mistero pasquale non si incontrano questi scogli; in esso la nostra salvezza appare operata da un atto vitale e gratuito, da una libera iniziativa di Dio, uscita totalmente dal suo amore misericordioso”.
Generata dal timore di scandalizzare la coscienza dei numerosi miscredenti, la teologia neomodernista (o cripto-modernista) separa l’amore dalla giustizia, censura il dialogo nel Getzemani e affonda il sacrificio della Santa Messa in un fiume di mistico rosolio.
Sulla scena della storia irrompe un massiccio, inedito analfabetismo cristiano, che, per un verso, manda avanti folle di visionari demenziali, per il verso opposto fa scendere vertiginosamente il numero delle vocazioni religiose e dei matrimoni celebrati in chiesa.
Opportunamente Blondet cita, quale antidoto al delirio irrompente nella nuova teologia [1], la magnifica enciclica Haurietis Aquas, pubblicata nel 1956 dal venerabile servo di Dio Pio XII per esaltare il culto del Sacro Cuore di Gesù.
Un testo di struggente bellezza, quello di Papa Pacelli, che confuta e smentisce l’opinione di padre Roguet e dei suoi innumerevoli seguaci, attivi nelle cellule della teologia, che ha preparato la confusione conciliare: “Il Mistero della Divina Redenzione è propriamente un mistero d’amore: un mistero, cioè, di amore giusto da parte di Cristo verso il Padre celeste, cui il sacrificio della Croce, offerto con animo amante ed obbediente, presenta una soddisfazione sovrabbondante ed infinita per le colpe del genere umano”. A conferma della sua tesi, Pio XII citava un magistrale, inequivocabile testo di San Tommaso d’Aquino: “La liberazione dell’uomo mediante la passione di Cristo fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia. Alla giustizia, anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato, alla misericordia, poi, perché non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore, nella persona del Figlio suo. Ora questo fu da parte di Dio un gesto di più generosa misericordia, che se Egli avesse perdonato i peccati senza esigere alcuna giustificazione”.
L’influenza che l’incapacità squisitamente moderna di cogliere il non senso della separazione di misericordia e giustizia – incapacità che avvicina i nuovi teologi agli antichi gnostici, i quali immaginavano uno scisma nell’Essere supremo, spaventa le menti deboli dei teologi modernizzatori e li trascina nel vortice zuccherino del buonismo.
Di conseguenza l’insegnamento tradizionale confermato da Pio XII è dimenticato e quasi censurato dalla teologia sentimentale e umanitaria, suggerita dalla paura di scandalizzare la massa degli atei e di contrastare il vento del concilio.
Insidiata dal rispetto umano, l’idea di sacrificio si allontana dal discorso cattolico mentre la Santa Messa si restringe nella figura di un banchetto commemorativo, rallegrato da canti concepiti da sciatti rimatori e accompagnati da irritanti/disturbanti rumori di chitarra.
Al seguito del desiderio di non turbare l’oscurata coscienza dell’uomo d’oggi, intanto si diffonde nei circoli dell’avanguardia teologica, l’opinione temeraria e infondata, secondo cui la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta “proprio come il fariseo della parabola” osserva Blondet “sicché per lui, che si crede buono e giusto, l’incontro con Cristo non ha alcuna conseguenza soteriologica”.
Lo squillante sciocchezzaio e la miscredenza diventano terreni d’elezione per l’attività di veggenti a gettone, d’invasati e di eretici in uscita da antiche ebbrezze, devianze teologiche e puerili superstizioni.
In un libro scritto dalla visionaria sudamericana Conchiglia e largamente diffuso nel pio sottobosco abitato dai sedicenticarismatici, si legge, ad esempio: “Sì … io sono colei che sono nella Trinità divina, sono la perfetta per volere di Dio, sono la parte femminile di Dio. … Da sempre sin dal Pensiero nascente del Padre Io ero. Da sempre nel pensiero nascente del Padre Gesù era. Noi … Io e Gesù … Eravamo” [2].
Quasi in sintonia con il dilagare dell’incendiaria, incontenibile stupidità dei nuovi teologi e dei visionari, si diffonde un’implacabile disprezzo nei confronti della religione e una tetra, zoologica rassegnazione alla perfetta fine di tutto.
Al proposito scrive Blondet: “Ho l’impressione che la distanza dell’uomo occidentale da ogni religione sia essenzialmente dovuta ad una fede diversa, a suo modo scientifica: l’accettazione totale del proprio destino zoologico. Non lo dice la scienza che l’uomo non è che un primate al 98% identico allo scimpanzé? Dunque morire è la fine di tutto – quel che conta è afferrare il godimento possibile fin che si è in tempo, e poi il buio, l’insignificanza totale”.
Blondet non cede tuttavia allo scoramento. Afferma invece che anche nella Chiesa d’oggi, “che è in gran parte una maceria, un residuo sulla via dell’estinzione“, ossia società di credenti in una dottrina obnubilata, Cristo si fa presente.
Nel fascinoso capitolo finale Blondet, formula un problema che dimostra la sua alta qualità di scrittore cattolico. Egli si domanda: “come mai arriva il Messia ed è un essere così provocatoriamente diverso da quello annunciato nella Torah da obbligare quasi questo popolo [Israele] a rifiutarlo oppure a compiere un salto mortale nella fede, una totale rinuncia alla propria più cara identità e alle sue certezze tradizionali più solide?”
La soluzione del problema risiede nella missione dei cristiani: confutare gli stati d’animo dei credenti nei Veda o nei canoni buddhisti o negli scritti dei filosofi greci che hanno sentito il corpo come tomba dell’anima. Il miracolo dell’ostia che si trasforma in un frammento nel cuore di Gesù crocifisso solleva il velo “sulla Maestà inimmaginabile e sul progetto regale di cui non vediamo che una briciola”.
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[1] Quale esempio di teologia nuova, Blondet cita l’opera del neocatecumenale Kiko Arguello, un bizzarro mistagogo, che censura e rinnega il Concilio di Trento e rigetta sdegnosamente la parola transustanziazione sostituendola con la accomodante e piatta parola transignificazione.
[2] Cfr:.Conchiglia, Maria E’ Divina il Mistero di Maria, a cura del Movimento d’Amore San Juan Diego, Maniago, Pordenone, 2003,pag. 293.
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