ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 6 novembre 2014

Fuoco sull'acqua

06 Novembre 2014


Sulla vicenda di Brittany Maynard, malata terminale che ha deciso di uccidersi, la chiesa cattolica ha detto no ed era più che normale che lo dicesse ma è stato un esercizio di ermeneutica vedere all’opera i laici, i superlaici e tutta la macchina della mobilitazione delle coscienze adoperarsi per tenere separato il Papa dalle – diciamo così – opinioni.
I giornali, infatti, hanno strillato usando la parola “Vaticano” a mo’ di schermo, giusto per proteggere il proprio beniamino dall’ondata di indignazione sollevatasi dopo la nota ufficiale delle gerarchie cattoliche. Non un solo articolo, non un solo servizio, ha fatto riferimento all’attuale Pontefice lasciando intendere che dietro alle dure e severe parole – “un atto privo di dignità” – ci fosse il bieco potere dei preti pedofili, ricchi e retrogradi che tanto fanno per impedire alla chiesa di diventare la casa aperta alla modernità e a tutte le stravaganze proprie della società liberata e poi bla e ancora bla. E’ proprio una gran comodità buttarsi a sinistra. Uno fa il Papa, si mette il Leonka dentro casa e diventa doppiamente infallibile. Radical e caviar.

Eluana e Brittany
    



Eluana Englaro

Brittany Maynard


di U. T.

Chi oggi scrive del suicidio assistito della povera Brittany ha la tentazione di assimilarlo impropriamente al caso italiano di Eluana Englaro. Al riguardo, per rispetto della verità, è utile qualche rettifica.
Eluana, diagnosticata in stato vegetativo (pessima e controversa definizione ascientifica), secondo la Convenzione ONU 2006, era una “disabile”, affetta da una disabilità a basso livello di funzionamento, ma ad alta necessità di “facilitatori ambientali” (una famiglia ristretta e riadattata a vivere col disabile). Aveva cioè bisogno non di cure, ma di chi avesse cura di lei (carezze, massaggi, parole affettuose, cambio del pannolino mestruale). Aveva necessità di quelle attenzioni che le avevano profuso instancabilmente le suore Misericordine di Lecco per quindici anni. Non certo di essere collegata a macchine di alcun genere, né alla somministrazione di alcun farmaco salvavita.
A meno che non fosse da considerarsi “accanimento terapeutico” la mera idratazione e nutrizione attraverso il sondino naso gastrico.

Se proprio si vuole accostare il caso della morte per decreto di Eluana a quelli della “buona morte” a pagamento si abbia il coraggio almeno di chiamarlo con il suo nome: eutanasia di una disabile.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1016_U-T_Eluana_Brittany.htmlI

Incertezze anche sull’eutanasia?

brittany
La confusione regna sovrana in casa cattolica. Adesso anche sull’eutanasia si fanno strani distinguo. Fino a non molto tempo fa, basti pensare ai tristi casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, le idee erano chiare. Ora invece si respira un’aria diversa, e il cedimento di fronte alle incalzanti campagne laiciste è ormai dietro l’angolo.
In questi giorni sta facendo discutere la scelta di Brittany Maynard, ragazza statunitense di 29 anni, malata terminale di tumore al cervello, che ha deciso di ricorrere al “suicidio assistito” per poter morire “con dignità”. Nel merito, l’agenzia Sir (della Conferenza Episcopale Italiana) ha intervistato Salvino Leone, medico ginecologo e bioeticista, docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica di Sicilia e presidente dell’Istituto di Studi bioetici “Salvatore Privitera” di Palermo. Ebbene, le risposte pubblicate lasciano perplessi. Leone mette subito le mani avanti dichiarando che «bisogna essere molto prudenti prima di formulare giudizi più o meno avventati». Certamente si deve sempre evitare di parlare con superficialità relativamente a situazioni del genere. Il dolore, la sofferenza, la malattia e il travaglio interiore cui un malato di cancro è sottoposto esige che tutti facciano un passo indietro. Però la scelta di ricorrere all’eutanasia va giudicata eccome! Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2277 afferma chiaramente che l’eutanasia «è moralmente inaccettabile», in quanto costituisce «un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana». Aggiunge poi che «l’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere» (corsivo mio). Come si vede, in pieno pontificato di S. Giovanni Paolo II, non si aveva paura di esprimere giudizi su determinati atti. Le parole del Catechismo cozzano non poco con quanto sostiene Leoni, secondo cui, «in casi di eutanasia non compiuta per motivi futili, edonistici o di volontà ipotetica di evitare sofferenze nel futuro e così via, ci sono una serie di valenze soggettive e di “attenuanti”, coinvolte in una sincera scelta ponderata di coscienza, che possono sminuire o, come dice la Chiesa, addirittura eliminare del tutto la colpevolezza morale del soggetto». Ma tutto ciò crea soltanto confusione. Nessuno infatti dice e può dire che la povera Brittany è stata condannata all’inferno. Solo Dio è giudice delle anime e vede i cuori. Tuttavia, non ci si può esimere dal ribadire che il cosiddetto suicidio assistito è sempre condannabile e mai ci possono essere attenuanti. Peraltro, quali sarebbero i casi in cui l’eutanasia viene scelta “per motivi futili, edonistici o di volontà ipotetica di evitare sofferenze nel futuro”? E la povera Brittany non ha forse voluto evitare sofferenze ulteriori? Insomma, Leone mischia le carte e semina caos. E lo fa da docente di teologia morale!Perché non ha ribadito con forza che l’eutanasia è contraria alla legge naturale, scritta nel cuore di ogni uomo, cristiano, islamico o ateo che sia? Perché non ha spiegato che proprio per questo la difesa della vita è un valore non negoziabile, su cui non si può scendere a compromessi? Quale può essere la testimonianza cristiana di un cattolico impegnato che conclude l’intervista invitando a rispettare la scelta della giovane americana «senza giudizi affrettati e senza condanne, perché se qualcuno di noi si dovesse trovare malauguratamente nella stessa situazione, non so poi di fatto, anche in un orizzonte di fede cristiana, quale decisione prenderebbe»? Si tratta forse di una non tanto velata critica al Catechismo approvato da S. Giovanni Paolo II?http://www.libertaepersona.org/wordpress/2014/11/incertezze-anche-sulleutanasia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=incertezze-anche-sulleutanasia

Il suicidio di Brittany Maynard – una lettera di Carla D’Agostino Ungaretti

Redazione
zzscdCaro Direttore,
 e così la povera Brittany Maynard a soli trent’anni ha realizzato il suo progetto (ampiamente divulgato sul WEB ) di morire anzitempo  perché, malata com’era di un’inguaribile forma di tumore al cervello che le lasciava pochi mesi di vita, ha voluto ricorrere al suicidio assistito che, a suo dire e secondo la mentalità corrente, le avrebbe garantito di morire“alle sue condizioni”  e “con dignità”.
Ancora una volta, dopo i tanti suicidi descritti come segno di libertà e di autodeterminazione di cui abbiamo avuto notizia, sono stata colta da un profondo senso di gelo, che ho potuto sciogliere solo affidando a Dio l’anima della povera ragazza nella certezza che solo Lui conosce quello che ella  aveva nel cuore. Quindi, con questa mia riflessione non intendo certo giudicare lei, per non essere troppo severamente giudicata da Dio io stessa per i miei innumerevoli difetti, ma non posso fare a meno di giudicare il suo gesto, tanto più che il video in cui veniva divulgata la sua decisione è stato visto su You Tube da nove milioni e mezzo di persone, è stato supportato, ammirato e portato come esempio di coraggio da tutta la mentalità corrente di questo nostro mondo in cui allignano sempre più rigogliose, la “cultura di morte” e “le strutture di peccato” di cui ha parlato lungamente S. Giovanni Paolo II. E tanto più che la povera ragazza ha fatto sapere di voler morire dopo aver festeggiato in famiglia il compleanno di suo marito e dopo aver fatto una gita con lui al Gran Canyon che non aveva mai visto.
Prescindendo per un momento dal credo religioso che Brittany aveva (o non aveva) questi suoi due ultimi progetti, dei quali tutti i media hanno parlato abbondantemente, mi hanno dato da pensare. E’ mai possibile, mi sono domandata, che un essere umano che decide scientemente e razionalmente di morire, sia pure col suicidio assistito, dia tanta preliminare importanza a eventi di per sé banali, nel significato globale della vita, come il compleanno del proprio marito e una gita turistica? Che senso potevano avere, quale soddisfazione o consolazione potevano darle questi due eventi di fronte al ben più grave, serio, irreparabile progetto che essa si proponeva di attuare? Sia che ella credesse in un Dio che l’avrebbe giudicata, sia che non ci credesse, a mio giudizio la decisione del suicidio avrebbe dovuto essere talmente dirompente, destabilizzante, sconvolgente per suo marito e per gli altri suoi familiari (oltre che per se stessa) che festeggiare un compleanno e fare un viaggetto, come se nulla stesse per accadere, avrebbero dovuto suonare come un’irrisione o l’omaggio al feticcio (tipico del mondo moderno) del godimento del proprio piacere ad ogni costo. O meglio, forse, come la svalutazione di ciò che veramente sembrerebbe importante e cioè la sacralità della vita umana nella quale evidentemente non crede più nessuno.
Lost and Confused SignpostTant’è: la cosiddetta “American way of life” che ci viene propinata continuamente prevede anche questo, come l’importanza esasperata attribuita a certi eventi, festeggiare i compleanni o gli anniversari di matrimonio in un mondo in cui i legami familiari si vanno sbiadendo o addirittura adulterando, celebrare feste originariamente pagane come Halloween o divenute tali come lo stesso Natale, in cui si dà più importanza alle decorazioni  e al gigantesco tacchino che alla nascita del Redentore.
Sul CORRIERE DELLA SERA di ieri, 5 novembre, Remo Bodei ha definito il gesto di Brittany “un atto di coraggio degno di rispetto”. Con tutto il rispetto per l’illustre filosofo, non sono del tutto d’accordo. Atto degno del rispetto che si deve nutrire sempre di fronte alla morte, sì (e infatti non giudico la ragazza) ma coraggio qui non ne vedo. Che significa, poi, morire “alle proprie condizioni“? Forse che si può negoziare con la morte sui tempi e i modi di morire? Alcuni artisti hanno cercato di farlo nelle loro opere; per esempio, nella sua tragedia Alcesti, Euripide descrive l’eroismo di una giovane moglie che accetta di morire per amore al posto di suo marito, dopo che gli egoisti genitori di lui avevano rifiutato di farlo, ma alla fine sopraggiunge Eracle che, commosso da tanta devozione coniugale, sconfigge in duello Thanatos (la Morte) e fa ricongiungere i due sposi. Molti secoli dopo, il regista Ingmar Bergman, nel film Il settimo sigillo, descrive una partita a scacchi tra il Cavaliere e la Morte dalla quale quest’ultima uscirà sconfitta, ma si tratta in entrambi i casi di poesia, anche se sublime, di fantasia che dà corpo alla più segreta, inappagata e inappagabile (a livello umano) aspirazione dell’uomo: quella di essere immortale.
Nella concreta vita umana di ogni giorno, decidere da sé quando morire non è forse sterile superbia? Coraggio sarebbe stato affrontare la malattia fino alla fine, accettando l’ineluttabile e la sofferenza (oggi, poi, controllabile con le cure palliative) e dominandoli con la propria volontà, tenendo stretti accanto a sé gli affetti familiari più veri  ma la tendenza moderna –  che esalta e ammira tanto il suicidio assistito in caso di malattia grave divulgandola addirittura su Internet – mi fa pensare che siano proprio questi affetti a mancare in queste tristi circostanze o che, per lo meno, vengano meno al loro ruolo perché incapaci di accettare loro stessi la tragicità della fine di un loro familiare assistendovi impotenti. Meglio per tutti farla finita, allora, tanto la vita degli altri continua.
Sono cinica? Può darsi; ma, essendo cristiana, io ho sempre davanti agli occhi  la morte di Gesù Cristo, crocifisso come un malfattore e come i due ladroni che gli furono messi ai lati. Morte non certo “dignitosa” (secondo il giudizio dell’epoca) o inflittagli “alle sue condizioni”, perciò per noi cristiani, chiamati all’imitazione totale di Lui, la dignità della morte è un falso problema: la morte per noi è sempre dignitosa, se accettata come la volontà di quel Dio che è pronto ad accoglierci tra le sue braccia.
Ma possiamo fare questo tipo di discorso al mondo moderno? Pare di no, ed ecco allora dilagare le leggi che tutelano e regolano la volontà di morte.
           Come sempre, grazie per avermi letto.
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Carla D’Agostino Ungaretti

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