"Con Papa Francesco una nuova
stagione di dialogo. Non è più il
tempo di una Chiesa sulla
difensiva"
Intervista a don Francesco Cosentino, docente alla Pontificia
Università Gregoriana, fra i promotori del Forum della Cultura
Cristiana
Si dissolvono i legami. E così l'identità profonda, individuale, collettiva. Ne consegue uno sfilacciamento generale, un esasperato senso dell'individualismo, un deficit di passione e di speranza sulle questioni umane e sociali. Questa la realtà della nostra società. Questo lo stato di crisi del nostro mondo. Per ovviare a questa disgregazione si è riunito sabato scorso il Forum della Cultura Cristiana, spazio ideale di dialogo e confronto tra il pensiero cristiano e quello laico. Nato lo scorso anno nelle Marche, il Forum è approdato a Roma, presso il Salone dei Piceni in piazza San Salvatore in Lauro. Il tema affrontato è stato: "Fede e Cultura. La sfida del legami".
Don Francesco Cosentino, docente alla Pontificia Università Gregoriana e officiale della Congregazione per il Clero, perché parlare del dissolvimento dei legami oggi?
I legami sono il cuore dell'esistenza umana e l'esperienza della vita ci conferma che ciò vale, soprattutto, per i legami affettivi. Ora, nell'attuale cultura postmoderna, immersi come siamo in una velocità permanente e in un mondo in continua evoluzione, la vera crisi è "crisi di legami". La sicurezza dei legami di base, inseriti in un progetto di esistenza dentro un mondo unificato da alcuni valori-chiave, lascia sempre di più il posto alla liquidità, alla frammentazione, al "mordi e fuggi", alla fatica di organizzare la propria libertà e di fronteggiare un mondo diventato complesso. Non vuole essere un giudizio ma una serena lettura del nostro tempo. Prendendo però consapevolezza, che occorre ripartire da un nuovo umanesimo fondato sulla ricostruzione dei legami infranti.
I legami sono sempre meno tenuti in considerazioni: le famiglie si dissolvono, i rapporti lavorativi sono sempre più labili, così i rapporti fra vecchie e nuove generazioni. Cosa ha da dire il mondo cristiano in proposito e cosa il mondo laico. Ritiene vi sia un punto di unione?
Credo che quando è in gioco la "questione uomo", debbano necessariamente cadere tutte le diffidenze e i pregiudizi, talvolta costruiti sulla rigidità ideologica di chi vuole difendere solo se stesso e le proprie idee. Se abbiamo passione per l'uomo, per gli uomini e le donne del nostro mondo, per le fatiche e le ferite così come per i sogni e per il futuro, allora credenti e non credenti devono parlarsi. La fede cristiana professa un Dio che si è fatto carne, ha sposato la storia, non ha avuto paura di sporcarsi le mani pur di rialzare l'uomo. E' una fede che non può essere allora separata dai gemiti della storia: dalla povertà all'ingiustizia, dalla crisi della famiglia alle inquietudini dei giovani, tutto sta a cuore a Dio. E deve stare a cuore anche alla Sua Chiesa. D'altra parte, molti pensatori laici sono portatori di idee e coltivatori di progetti, nei quali si intravede un impegno onesto per il progresso umano e sociale. Perché non dovremmo dialogare e confrontarci? Di fatto, il Forum della Cultura Cristiana, grazie soprattutto all'impegno del suo Presidente Roberto De Tilla, intende promuovere questo confronto.
Papa Francesco non giudica il dissolvimento dell'uomo, le sue crisi di valori anzitutto. Ma sembra voler trovare la giusta tensione fra valori e carne, fra dottrina e vita, una vita sempre più ferita. È questa la strada che la Chiesa deve intraprendere? È questa una strada nuova per la Chiesa oppure no?
Non ho dubbi sulla strada indicata da Papa Francesco. E mi dispiace se qualcuno si sente smarrito da questa novità dello Spirito e non trova il coraggio di uscire dalle abitudini consolidate. Ma questa è la strada del Concilio Vaticano II, che ha inaugurato una stagione segnata dall'incontro invece che dalla polemica difensiva. E' anche la strada del magistero di questi anni: dalla Chiesa "che si fa colloquio" di Paolo VI alla Chiesa che "deve aprire un cortile dei gentili" di Benedetto XVI. Oggi i tempi sembrano maturi perché la Chiesa assuma lo strumento del dialogo con l'uomo contemporaneo non tanto come "metodo pastorale", ma come stile e prassi del suo stare al mondo. Uscire da se stessa senza preoccuparsi di essere il centro, come Papa Francesco ci indica, non significa una Chiesa pavida e rinunciataria ma invece, una comunità capace di aprire vie nuove perché il Vangelo si intrecci con la vita, arrivando fino alle periferie geografiche ed esistenziali. Se siamo dominati solo dalla paura di perdere qualcosa e dall'ansia rigorista di conservare tutto come prima, allora siamo per primi noi ad aver abbandonato il Vangelo di Cristo.
Il tema dei legami familiari è stato al centro del recente Sinodo dei vescovi. La Chiesa è davanti a realtà nuove, situazioni che pongono interrogativi non facili. Un prossimo appuntamento in merito sarà il Sinodo vero e proprio del prossimo ottobre 2015. Secondo Lei dove vuole arrivare il Papa convocando il Sinodo? Ha una meta da raggiungere in mente?
Guardi, io credo che occorre guardare la Chiesa spogliandoci dalla tentazione di una interpretazione clericale. Siamo in un mistero di comunione, in cui quello della gerarchia è un servizio per la cura del gregge e non un posto di potere e di privilegio. Dunque, Papa Francesco non convoca un Sinodo perché questo sposi le sue idee, altrimenti perché convocare un Sinodo? Penso che il suo desiderio è che la Chiesa finalmente si apra e impari a dialogare, armonizzando sensibilità diverse e andando incontro alla realtà. Per lui - ma deve essere così per tutti noi - è più importante il fatto che si discuta su alcuni temi, rispetto alle eventuali risposte o risoluzioni a cui si giungerà. Siamo in un momento difficile ma inedito. E, in quanto alle mete, ho molta fiducia che Dio illuminerà ancora la strada.
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