ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 17 novembre 2014

Purghe prossime e venture?

Purghe staliniane in corso?

Con rescritto del 3 novembre u.s., la suprema autorità della Chiesa ha emesso – secondo i termini del comunicato ufficiale – una forte riproposizione delle norme in vigore circa il ritiro dal ministero di vescovi e cardinali. A parte l’ossimoro creato dall’accostamento dell’aggettivo forte al termine riproposizione, il contenuto del testo conferma l’impressione iniziale di intervento autoritario in rafforzamento di una prassi che nell’ultimo Concilio ecumenico fu oggetto di un aspro dibattito, conclusosi – come in tanti altri casi – con il trionfo surrettizio del solito partito… dell’innovazione costi quel che costi.
Si ribadisce anzitutto la norma per la quale, compiuto il settantacinquesimo anno di età, il prelato è richiesto di presentare rinuncia al suo ufficio (sulla base del Decreto Christus Dominus al numero 21, il canone 401 del Codice – si badi bene – usa la parola rogatur, non tenetur). Si direbbe che, a quell’età, l’interessato diventasse automaticamente minus aptus al suo ufficio (o si intende forse minus habens per improvvisa demenza senile?). A parte questo, è forse frequente il caso di vescovi o cardinali renitenti o ritardatari?
O ce ne sono magari troppi ancora in carica per il semplice motivo che le loro dimissioni non sono state accolte (dal predecessore del Pontefice attualmente regnante) e il loro incarico è stato legittimamente prorogato? Un richiamo suppone in genere che una regola non sia debitamente osservata…
Con spirito profondamente pastorale e caritatevole si qualifica poi «degno di apprezzamento ecclesiale» che un Pastore, mosso «dall’amore e dal desiderio di un miglior servizio alla comunità», «per infermità o altro grave motivo» rinunci al suo ufficio anche prima del compimento dei settantacinque anni, rassicurato dalla prospettiva della solidarietà con cui la comunità cristiana si prenderà cura di lui… Del tutto inedita – e radicalmente contra legem (visto il canone 193) – appare invece l’ipotesi che «in alcune circostanze particolari» l’autorità competente (che in questo caso non può essere che la più alta) gli chieda di farsi da parte (ossia lo rimuova) senza la necessaria congiuntura di una colpa o inadempienza grave, ma con il solo riguardo di esporgli i motivi della richiesta, ascoltando peraltro le sue ragioni «in fraterno dialogo»…
Astrazion fatta della stomachevole ipocrisia di cui trasuda il testo, redatto in perfetto ecclesialese (attuale lingua ufficiale della Chiesa Cattolica), se l’esempio tipico di questa nuova procedura è la rimozione di monsignor Livieres, che, dopo una visita apostolica di cui non ha conosciuto l’esito, ne è stato informato per telefono senza esser riuscito ad ottenere udienza dal Papa, nel momento stesso in cui la notizia, in sua assenza, veniva resa nota nella sua diocesi con tanto di occupazione dell’episcopio da parte delle forze di sicurezza ed espulsione di tutto il personale (compresa la madre novantenne che vi dimorava), il tutto senza una regolare sentenza né plausibili motivi giuridicamente rilevanti… credo che molti, nella Chiesa, debbano cominciare a preoccuparsi seriamente – forse non un semplice curato di campagna come chi scrive, ma chi sta un po’ più su! E che dire dei siluramenti assolutamente ingiustificati di personaggi irreprensibili come i cardinali Burke, Piacenza, Cañizares Llovera?...
Indubbiamente i vescovi-banderuola (quelli che girano a seconda di come tira il vento), così come gli acrobati del concordismo a tutti i costi (che senza alcun pudore proclamano a oltranza una perfetta continuità tra i due pontificati), possono continuare a dormire sonni tranquilli, stretti stretti agli esponenti della chiesa liberal di cui fino a ieri erano acerrimi nemici. Gli altri (almeno quelli che un barlume di coscienza trattiene ancora dall’allinearsi incondizionatamente al nuovo corso) cominceranno a udire tra capo e collo un sinistro sibilo… di ghigliottina. Tira un’ariaccia di vera e propria epurazione (detta volgarmente purga)… Ma che volete farci, questo esige la “nuova chiesa” dell’incontro, della tenerezza e della misericordia.
P.S.: oggi circola uno strano concetto di dialogo e di ascolto… a meno che questi lemmi non vadano intesi nel senso che potevano eventualmente avere sotto il regime di Josip Stalin e nei processi-farsa di sovietica memoria.
Don Giorgio Ghio
http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/309/purghe-staliniane-in-corso.html

L’accusa di un gesuita americano nemico di Ratzinger: al sinodo 2015 quattro vescovi poco “amici” di Francesco

Gli Stati Uniti si portano avanti, e quando manca poco meno di un anno al Sinodo ordinario (e decisivo) sulla famiglia cui seguiranno le decisioni del Papa, eleggono già i quattro vescovi che parteciperanno alla grande assemblea romana dell’ottobre 2015, sempre che il Vaticano accetti il pacchetto di nomine.

di Matteo Matzuzzi
Gli Stati Uniti si portano avanti, e quando manca poco meno di un anno al Sinodo ordinario (e decisivo) sulla famiglia cui seguiranno le decisioni del Papa, eleggono già i quattro vescovi che parteciperanno alla grande assemblea romana dell’ottobre 2015, sempre che il Vaticano accetti il pacchetto così come spedito da Baltimora.
Mons. Josè H. Gomez
Mons. Josè Gomez
I nomi, ufficialmente top secret, li ha rivelati il padre gesuita Thomas Reese, ex direttore di America prima di dimettersi nel 2005 per dissidi insuperabili con l’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, e attualmente commentatore per il National Catholic Reporter. I quattro eletti sono Joseph Kurtz, Daniel DiNardo, Charles Chaput e Jose Gomez. Era scontata l’elezione dei primi due, essendo dallo scorso anno rispettivamente presidente e vicepresidente della Conferenza episcopale per il triennio in corso.
Monsignor Gomez, invece, dal 2010 arcivescovo di Los Angeles succeduto al liberal Roger Mahony, guida la più grande diocesi degli Stati Uniti (quattro milioni di fedeli), punto di riferimento per la vasta comunità ispanica. Nato in Messico nel 1951, ha scalato rapidamente le gerarchie ecclesiastiche: ausiliare a Denver nel 2001, arcivescovo di San Antonio nel 2005, quindi la chiamata in California. É membro dell’Opus Dei.
Mons. Charles Chaput
Mons. Charles Chaput
Meno scontata, invece, era la designazione di monsignor Charles Chaput. L’arcivescovo di Philadelphia, città che a settembre ospiterà l’ottavo Incontro mondiale delle famiglie, è stato uno dei più aperti critici della prima fase del pontificato di Francesco, soprattutto nei primi tempi. È stato proprio Chaput a sottolineare come «l’ala destra della Chiesa non ha manifestato felicità per la sua elezione», dicendo qualche mese più tardi che «non si può immaginare che il Papa non sarà così pro life e a favore del matrimonio tradizionale come i pontefici del passato». Da ultimo, solo qualche settimana fa, il presule di origini pellerossa rilevava la “confusione” che sarebbe emersa dal Sinodo dello scorso ottobre, notando come questa non possa che «venire dal Diavolo». Critiche che, in un secondo momento, Chaput ha rivolto ai media, spiegando che non era sua intenzione riferirsi al Papa.
Il card. Daniele DiNardo
Il card. Daniele DiNardo
La sua elezione a membro del Sinodo conferma che nonostante i buoni propositi espressi nella relazione iniziale dal presidente Kurtz, permane una certa distanza tra l’episcopato americano e il “programma” di Francesco. Una freddezza che risulta ancor più evidente per la clamorosa bocciatura del cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, che pure era tra i “papabili” per un posto al Sinodo. «Se i vescovi avessero seguito totalmente Papa Francesco, avrebbero eletto come delegati il suo miglior amico nella gerarchia americana, il cardinale O’Malley, e l’arcivescovo eletto di Chicago Cupich, la sua prima grande nomina», ha scritto padre Reese. Invece, l’arcivescovo cappuccino di Boston sarà a Roma solo se rientrerà nella lista di membri scelti direttamente dal Pontefice. Proprio l’ex direttore di America, voce liberal per eccellenza, nota come «una mancanza di passione e di leadership abbia caratterizzato l’assemblea dei vescovi degli Stati Uniti a Baltimora. La loro agenda era stantia e non ha riflettuto l’eccitazione generata dal pontificato di Francesco».
Mons. Joseph Kurtz
Mons. Joseph Kurtz
E poco può fare, per riequilibrare le cose, la designazione di Blase Cupich, successore del cardinale Francis E. George a Chicago, come membro supplente. Cupich, interprete della nuova linea impostata a Roma da Bergoglio, dovrà infatti condividere il ruolo di “riserva” con monsignor Salvatore Cordileone, considerato il vescovo più conservatore d’America, ordinato dal cardinale Raymond Burke, pastore a San Francisco e capofila della lotta senza quartiere alle nozze tra omosessuali. Talmente in prima fila da farsi vedere, nonostante petizioni pubbliche e richieste inviate ai giornali da parte di ottanta intellettuali locali affinché desistesse, alla Marcia per il Matrimonio che si è tenuta a Washington lo scorso giugno. «Il mio dovere è quello di proclamare la verità circa la persona umana e la volontà di Dio. Devo farlo anche quando le verità che sono chiamato a insegnare sono impopolari, come lo è quella sul matrimonio inteso come unione coniugale tra marito e moglie», faceva sapere Cordileone.
Due altri presuli faranno parte del Sinodo essendo membri della struttura organizzativa: si tratta dei cardinali Timothy Dolan e Donald Wuerl, rispettivamente arcivescovi di New York e Washington.
© La Nuova Bussola Quotidiana (17/11/2014)

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.