In risposta a un articolo di Marco Mancini sul sito Campari e De Maistre
Il dott. Marco Mancini, su “Campari e De Maistre”, mi chiama in causa sul tema del male minore, in seguito ad alcuni articoli di Fabrizio Cannone e ad un mio articolo ripubblicato da “Riscossa Cristiana“, con un cappello introduttivo del suo direttore Paolo Deotto, che condivido pienamente. Riservandomi di tornare in maniera approfondita sull’argomento, sottopongo intanto alla riflessione ampi stralci di due articoli dell’avv. Caudio Vitelli, apparsi, sulla rivista “Lepanto” n. 162 (dicembre 2002) e 163 (giugno 2003), in polemica con la tesi della “riduzione del danno” sostenuta da don Angelo Rodriguez Luño in un articolo apparso sull’”Osservatore Romano” del 4 settembre 2002
di Roberto de Mattei
La proposta di leggi che “riducano i danni“
E’ proprio vero che è moralmente lecito approvare una nuova legge per il semplice fatto ch’essa “riduce i danni” della legislazione vigente? Questo criterio di giudizio non commette l’errore di basarsi, non sulla oggettiva bontà del fine voluto, ma sul calcolo dei risultati previsti, cadendo nell’ errore del proporzionalismo? Questo, infatti, valuta la moralità in base alla “proporzione tra beni e mali che effettivamente seguono all’azione“, allo scopo di “massimizzare i beni e minimizzare i mali“.
Giovanni Paolo II però insegna che “la considerazione di queste conseguenze – nonché delle intenzioni - non è sufficiente a valutare la qualità morale di una scelta concreta. La ponderazione dei beni e dei mali, prevedibili in conseguenza di un’azione, non è un metodo adeguato per determinare se la scelta di quel comportamento concreto sia in se stessa buona o cattiva, lecita o illecita” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, §§ 65, 74 e 77).
Il retto criterio del giudizio morale, infatti, è quello assoluto-oggettivo, che valuta un atto come “buono” o “cattivo” secondo che rispetti o violi la Legge naturale e divina, considerandolo innanzitutto in sé e per sé, ossia nell’oggetto, nelle circostanze e nelle conseguenze sue proprie. Invece il criterio proporzionalista è relativistico, perché valuta un atto come “migliore” o “peggiore” secondo che migliori o peggiori una situazione data. Se così fosse, una qualunque scelta iniqua potrebbe essere giustificata per il solo fatto di attenuare una iniquità del passato. Ad esempio, una legge abortista “moderata” potrebbe essere giustificata da una precedente legge abortista radicale, purché ne comporti una “riduzione del danno“. Ma così si finisce con lo scegliere in base alla falsa alternativa tra possibilità solo e comunque cattive (“caso perplesso “), illudendosi di poter fare lecitamente un male “minore” per evitare un male “maggiore” (Cfr. Ludwig Bender O.P., voce Minor male, in: cardd. F. Roberti e P. Palazzini, Dizionario di teologia morale, Studium, Roma 1967. Ciò accade perché si è sostituita la questione di principio (la scelta è conforme alla Legge naturale e divina? realizza un vero bene?) con una questione utilitaristica (la scelta è efficace? “riduce i danni“?).
Per giustificare la propria proposta, don Rodriguez Luño fa appello ad una prospettiva accennata da Giovanni Paolo II, secondo la quale “potrebbe essere lecito offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge (abortista) diminuendone gli effetti negativi”( Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, § 73). Tuttavia, qui il Papa propone di correggere in senso migliorativo una legge cattiva già esistente, ma non di varare e applicare una nuova legge“meno cattiva”. Se interpretassimo tale passo in quest’ultimo senso, contraddiremmo le evidenti intenzioni del Magistero. Questo infatti stabilisce che, “se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave, essa non può mai accettare però di legittimare (..) l’offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello della vita” (Evangelium Vitae § 71).
Per gravi ragioni, dunque, si può rinunciare ad un bene teoricamente necessario ma concretamente inattuabile o controproducente; si può tollerare un male, rinunciando a reprimerlo; si può perfino regolare un male, nel senso di ridurne la libertà e il campo di azione; ma non si può permettere o regolare un male autorizzandolo, perché questo significherebbe approvarlo rendendosene complici (Cfr. Ramòn Garcìa de Haro, La vita cristiana, Ares, Milano 1995, pp. 382-383). Ebbene, una nuova legge “meno permissiva” comporterebbe proprio questa complicità. Qui non si tratta di eliminare un comma od un articolo da una legge ingiusta diminuendone così la malvagità, ma si tratta di varare una legge che le Camere voteranno non solo articolo per articolo, ma anche nella sua totalità, approvandola quindi non solo nelle sue giuste disposizioni restrittive, ma anche nelle sue ingiuste disposizioni permissive. Votare una legge del genere significa rendersi complici di un male che non viene certo compensato né tantomeno cancellato dalla prevista “riduzione del danno“. Le buone intenzioni soggettive o il risultato “restrittivo” della proposta di legge non bastano per sanare l’oggettiva iniquità.
Se così non fosse, ogni legge che migliorasse la situazione precedente sarebbe per ciò stesso buona, in quanto andrebbe giudicata solo per il cambiamento prodotto, senza valutare il risultato complessivo. Non è ad esempio quindi lecito negare il diritto alla vita di alcuni col pretesto di salvare quello di altri; ad esempio permettere l’aborto “terapeutico” con la scusa di vietare gli altri tipi di aborto, oppure permettere l’eutanasia dei pazzi con la scusa di vietare quella degli handicappati. Per essere moralmente valida, e dunque proponibile da un parlamentare cattolico, una legge deve avere una sua propriaintegritas: dev’essere cioè totalmente giusta, almeno nel senso che nessuna delle sue disposizioni contraddica formalmente la Legge naturale e divina; in tal caso proporla e votarla è lecito. Ma se una legge contiene anche una sola disposizione intrinsecamente e oggettivamente immorale, essa manca dell’adeguato bene dovuto; è una “non-legge” in quanto contrasta con la Legge divina e col bene comune; votarla è quindi illecito. “Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu” (san Dionigi Areopagita). “Se una legge è in qualche cosa in contrasto con la Legge naturale, allora non sarà legge bensì corruzione della legge”, dice san Tommaso d’Aquino (S. Tommaso d’Aquino, Summa theologica, I-II, q. 95, a. 2.).
Commentando questo passo, Giovanni Paolo II afferma: “Le leggi che legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti, sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita. (..) Le leggi che autorizzano e favoriscono l’aborto e l’eutanasia (..) sono del tutto prive di autentica validità giuridica” (Evangelium vitae, § 72). “Una legalizzazione dell’aborto che significasse un riconoscimento, da parte dello Stato, di un diritto all’aborto, sia in casi determinati e a certe condizioni, è contraria alla retta ragione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, del 18-11-1974, § 22). Dunque, una qualsiasi legge che attenti alla vita di una categoria di esseri umani (innocenti) – anche se, rispetto ad una normativa precedente, riduce il numero delle categorie colpite – va ritenuta “in totale e insanabile contraddizione” con la Legge divina e con la retta ragione e quindi è “del tutto priva” di validità giuridica. Altrimenti se ne rende complice, per quanto lo riguarda, diventando responsabile di una formale cooperazione al male.
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Obiezioni di carattere strategico
A nostro avviso, la proposta di don Rodriguez Luño suscita comunque anche serie obiezioni di carattere strategico. Egli si premura di precisare ch’essa va attuata solo quando non costituisce una prospettiva compromissoria, optando per un “male minore” (§5b). Ci poniamo però un problema: la scelta di varare leggi “restrittive” non è figlia legittima di questa prospettiva, non solo per il criterio morale applicato, ma anche per la tendenza prospettata? Non finisce col deviare la battaglia pro-vita verso una linea compromissoria che renderà impossibile la vittoria e sicura la sconfitta? Orbene, a nostro avviso prospettiva del teologo è del tutto illusoria e fuorviante. Essa non tiene conto dell’abile strategia della forze “libertarie” e anticristiane, che mirano anche a sopprimere ogni coerenza di azione negli ambienti cristiani cercando di coinvolgerli in una spirale di complicità. Innanzitutto, se si punterà alla falsa terapia palliativa di “ridurre il danno” prodotto dal male, l’opinione pubblica (anche cristiana) finirà col pensare che l’importante non è guarire dalla malattia ma curarne i sintomi, e che la lotta contro il male in quanto tale è inutile o addirittura controproducente. Così, la battaglia per abolire le leggi ingiuste verrà delegittimata sostituendola con le manovre per limitarne le conseguenze. Inoltre, una volta innescato il meccanismo della complicità, si scatenerà senza dubbio un “gioco al ribasso“: le forze “libertarie” proporranno leggi sempre peggiori affinché i parlamentari cattolici le seguano a rimorchio, votandone le versioni “restrittive“. Anzi, alcuni ambienti cattolici già propongono di prevenire il temuto varo di proposte di legge estremistiche, votando leggi “moderate” che ne riducano in anticipo i danni previsti; è quanto sta avvenendo ad esempio in Italia, per quanto riguarda la questione della fecondazione artificiale. Questa soluzione viene timidamente rifiutata dal nostro teologo (§ 5 c), ma essa risponde alla sua esigenza di “stare al gioco” per “ridurre i danni” previsti. Quale sarà il risultato finale di questo processo compromissorio? Forse si arriverà a varare una legislazione meno ingiusta del previsto, ma con la terribile aggravante che sarà stata votata e applicata con la determinante complicità del voto cattolico.
Una volta che fosse approvata (ad esempio) una legge abortista “restrittiva” o una legge eugenetica “minimale“, con che credibilità e coerenza i cristiani potranno poi proporre di correggerle per “ridurne i danni“? E soprattutto, con che credibilità e coerenza potranno continuare a proclamare il diritto alla vita, ormai diventato una mera teoria progressivamente smentita dalla prassi? Compromesse nella proposta, approvazione, applicazione e magari anche difesa di leggi “meno inique“, coinvolte in una strategia tanto umiliante quanto fallimentare, le forze pro-vita finirebbero col perdere non solo la loro combattività ma anche la loro credibilità; e non c’è ipotetica “riduzione del danno” che possa compensare l’onore perduto.
Senza contare poi l’effetto formatore (ed in questo caso deformatore) che hanno le leggi sulle coscienze dei destinatari delle loro disposizioni, sulla base del principio socialmente diffuso che è giusto quello che è legale. Tale degrado è inoltre inevitabile poiché, se non si agisce più in coerenza col proprio pensiero, si finisce col pensare in coerenza con la propria azione. C’è però un altro aspetto della questione. La proposta di don Rodriguez Luño, specialmente se indica una strategia, sembra sottintendere una grave valutazione di fondo. Essa presuppone che, nella moderna società secolarizzata, non sia più possibile ottenere una legislazione conforme al diritto naturale ed ai Dieci Comandamenti; l’integrale rispetto dell’etica e la coerente difesa della vita sarebbero una teoria bella e generosa, ma concretamente irrealizzabile nell’odierna vita pubblica e quindi improponibile allo Stato moderno.
L’unica possibilità realistica sarebbe quella di adeguarsi all’irriformabile sistema “pluralistico “, ripiegando nella scelta fra le alternative proposte dalla dialettica “democratica“. Gli stessi politici non potrebbero fare altro che “mediare” tra una giustizia irrealizzabile e una iniquità inevitabile, ripiegando su soluzioni di compromesso.
Ma com’è possibile che, sia pure in certi casi concreti, sia inevitabile e dunque lecito adeguarsi al male votando una legge cattiva? Forse che Dio ha abbandonato il mondo riducendo gli uomini all’insolubile dilemma di optare tra alternative inique? Forse che la regalità sociale di Cristo è diventata una utopia rinviata alla fine dei tempi? Inoltre, la prospettiva dell’inevitabilità del compromesso fornisce un pericoloso pretesto per tradire il dovere morale professionale. Infatti “è colpa più grave quella di chi induce ad uccidere che non quella di chi uccide” (Sant’Agostino, Contra litteras Petiliani, § 202); se quindi la difficile situazione giustificasse le cattive scelte dei politici, a maggior ragione essa potrebbe giustificare anche quelle degli amministratori e degli operatori sanitari, che si trovano a subire leggi e norme volute dai politici. Ad esempio, medici ed infermieri potrebbero anch’essi ripiegare nella comoda prospettiva di adeguarsi alla prassi “meno cattiva“, limitandosi a “ridurre i danni” delle norme sanitarie vigenti e rinunciando quindi alla difesa della vita e perfino all’obiezione di coscienza. Perché mai pretendere da loro quella credibilità e quella coerenza – spesso a scapito della loro professione – dalle quali i politici, ben più responsabili di loro, vengono dispensati? In realtà, se in certe situazioni può essere effettivamente momentaneamente impossibile fare il bene, tuttavia la Provvidenza garantisce sempre al cristiano la possibilità di evitare il male, magari a prezzo di una resistenza eroica, respingendo la tentazione di scegliere fra alternative inaccettabili. Il cristiano che ha responsabilità legislative ha del resto come missione, – anche nella società “pluralistica” – quella di promuovere e difendere i diritti di Dio e della Chiesa ed in ultima analisi del diritto naturale nel campo politico: “E’ la promulgazione delle leggi che attesta se i sovrani servono veramente il Signore nel timore” (Sant’Agostino, Contra litteras Petiliani, § 202). Certo, il politico coerente verrà accusato di essere incontentabile o fanatico e di perdere utili occasioni lasciando il campo agli altri. Ma in realtà rifiutare la complicità col male, evitando le trappole del compromesso, non equivale a fuggire nell’inazione ma anzi equivale a fare il bene concretamente possibile, ponendo le premesse della futura riscossa.
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La correzione di leggi ingiuste
In un ordinamento giuridico si possono presentare, in relazione alle possibili azioni umane, due fattispecie: la presenza di una norma che già regolamenti le suddette azioni; oppure l’assenza di ogni normativa al riguardo.
Nel primo caso, secondo la giurisprudenza “laica“, la regolamentazione è esclusivamente un fatto di diritto positivo, e cioè prescinde da ogni valutazione etica: la legge generalmente dovrebbe seguire il costume “fotografandone” anche la “moralità”vigente. Pertanto qualsiasi norma, purché approvata secondo le procedure costituzionalmente definite, sarebbe da ritenersi giusta, indipendentemente dalla sua rispondenza o meno al diritto “naturale“. Questa posizione, ovviamente, non può essere condivisa dal politico cattolico. Si pone dunque il problema di quale condotta tenere per cercare di eliminare le conseguenze di una legge del genere. Poniamo in concreto il classico esempio della legislazione sull’aborto. Ebbene, per modificare la nefanda normativa in vigore in Italia (la c. d. legge n. 194/78), si aprono diverse possibilità teoriche:
La terza possibilità, quella del referendum parzialmente abrogativo, pur abolendo alcuni casi di aborto, conferma però la legittimità di abortire in altri casi. Si tratta di una scelta notevolmente problematica. La legge risultante dall’eventuale vittoria del sì nel referendum conserverebbe infatti profili gravemente immorali. Ci si deve allora chiedere se tali profili immorali sarebbero riferibili in qualche modo anche all’autore dell’atto referendario. Tale atto avrebbe infatti in sé una duplice natura, negativa e positiva: negativa in quanto agisce tecnicamente nel processo di formazione delle leggi mediante abrogazione parziale; ma anche positiva, cioè di approvazione sostanziale della legge così come modificata. E’ un problema delicatissimo che non è facile risolvere. Da parte nostra, ma è solo la nostra opinione aperta ad ogni possibile confronto, riteniamo che la deliberazione popolare, con la vittoria di un voto parzialmente abrogativo referendario in materia di aborto, porrebbe in essere una diversa e nuova normativa deliberata non dal Parlamento ma dallo stesso popolo che, quale suprema fonte della sovranità, avrebbe legiferato direttamente nella materia oggetto di referendum, divenendo così diretto responsabile dell’intera legge sull’aborto risultante dall’abrogazione (che nel caso in questione, viene a costituire esclusivamente una tecnica costituzionale per adattare il testo licenziato dalle Camere alla effettiva volontà popolare). Ben diversa è la quarta possibilità: quella che si esercita su una nuova legge, in via di elaborazione parlamentare, modificabile mediante emendamenti meramente abrogativi o restrittivi di disposizioni permissive ed immorali. Siamo in questo caso in presenza di emendamenti correttivi che impediscono che alcune ipotesi normative, proposte per l’approvazione, ottengano forza di legge, oppure, nel caso di emendamenti restrittivi, impediscono che condotte immorali diventino lecite. Va però precisato che, nel nostro ordinamento giuridico, la legge va votata non solo articolo per articolo, ma, alla fine, anche nel suo complesso, in segno di approvazione globale. Pertanto, al parlamentare cattolico non sarebbe comunque mai consentito di dare il proprio voto finale positivo ad una legge che autorizzi azioni immorali, anche se tale legge risulti anche dall’ approvazione dei suoi emendamenti. Egli infatti non può assumersi, in nessun caso ed in nessun modo, la responsabilità globale di un testo finale che autorizzi, ad esempio, pratiche abortive, anche solo in casi rari ed estremi. Ciò significa che egli potrà correggere la proposta di legge mediante emendamenti meramente restrittivi o abrogativi; ma non potrà approvarne il testo finale, se vi permangono disposizioni illecite.
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Legge di riforma e vuoto legislativo
Nel caso infine di una legge abortista già esistente, il parlamentare cattolico può e deve presentare esclusivamente disegni di legge, sostitutivi della normativa vigente, conformi al diritto naturale e cristiano. Se poi, nel corso del dibattito parlamentare, tale proposta di legge venisse modificata (ad esempio inserendo casi di legalizzazione dell’aborto), l’atteggiamento del parlamentare cattolico non può che essere che quello già delineato relativamente all’esempio precedente. Pertanto, fermo restando il suo voto positivo sui singoli articoli conformi alla morale cattolica, il parlamentare non potrà in nessun caso votare la legge nel suo complesso, pena l’assunzione della responsabilità morale e giuridica dell’intero testo.
Resta da affrontare la seconda fattispecie: quella cioè in cui vi sia una totale assenza di regolamentazione giuridica. Si tratta in genere di campi dell’agire umano che si sviluppano per il continuo progresso di tecnologie che aprono all’uomo possibilità d’azione prima neppure immaginabili. Si vengono così a costituire fattispecie relativamente o assolutamente nuove da regolamentare, essendo totalmente assente una normativa che abbia ad oggetto situazioni ricollegabili in qualche modo a quella in causa. E’ questo il caso di alcuni settori della bioetica. Si pensi ad esempio alla fecondazione artificiale, o alla clonazione terapeutica o riproduttiva. Quest’ultimo è il caso forse oggi più eclatante di assoluta assenza di regolamentazione, tanto che al riguardo si parla di “Far West legale“, intendendo con tale espressione una sorta di anarchia di condotta che trova limite solo nell’eventuale autoregolamentazione dei singoli responsabili.
Per quanto attiene ad esempio alla clonazione, a fronte di tale lacuna legislativa e di una conseguente liceità di ogni condotta anche la più aberrante, molti ambienti, anche cattolici, propongono che il nostro paese si doti, come già hanno fatto altre nazioni, di una legislazione che stabilisca quali azioni siano lecite e quali vietate.
Ovviamente anche in questo caso si è aperta una disputa tra i fautori di una soluzione “pragmatica” e coloro che invece intendono difendere con intransigenza la dottrina naturale e cristiana della Chiesa cattolica. I primi sostengono che, nel caso in questione, una qualsiasi legge sarebbe comunque più restrittiva della situazione esistente; pertanto il legislatore cattolico dovrà cercare in ogni modo di ottenere il massimo possibile di regolamentazione in subiecta materia.. Ma, per ottenere questo risultato, stanti i concreti rapporti di forza parlamentari, sarebbe necessario cercare una “terza via” tra quella ottimale e quella pessima, trovando un minimo comun denominatore tra le posizioni contrapposte. Ad esempio, bisognerebbe escludere la liceità della clonazione riproduttiva (quella tesa ad ottenere un soggetto fotocopia di quello originario) ma a ritenere lecita, entro certi ambiti, la clonazione terapeutica (che in sostanza mira non a creare un nuovo essere autonomo, ma a riprodurre, partendo da embrioni umani clonati, cellule organi o parti di essi a scopo curati vi). Insomma, occorrerebbe “cedere per non perdere“. I fautori della posizione intransigente, tra i quali ci schieriamo, obiettano che applicare quella nota norma compromissoria anche a questo settore condurrà inevitabilmente, come finora è sempre avvenuto, alla sconfitta totale. Una volta ceduto sui principi, non vi è ragione – se non contingente – perché la liceità della donazione debba essere limitata ad alcuni settori della ricerca e non estesa ad altri. Il problema può risolversi solo applicando il sopra delineato principio di responsabilità del legislatore per le proprie azioni. Ripetiamo per l’ennesima volta che, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, non è lecito per un cattolico cooperare formalmente al male, neppure per ottenere un bene maggiore; dunque la cooperazione ad una legge che approvi un qualsiasi tipo di donazione è un atto gravemente immorale. Ci si potrebbe obiettare che una legge sulla materia è comunque necessaria e che, se i parlamentari cattolici si astenessero, la discussione di tale legge porterebbe comunque, per i rapporti di forza parlamentari, ad un risultato peggiore di quella altrimenti ottenibile col contributo cattolico. Questo può essere vero a breve scadenza; ma alla lunga il cedimento fatto sui princìpi comprometterà l’affermazione e la difesa della sacralità della vita umana e degli inalienabili diritti di Dio. Né regge l’accusa di astensionismo disfattista. I parlamentari cattolici possono sempre presentare disegni di legge che, pur non regolamentando tutta la materia, tuttavia vietino alcune azioni oggi non previste come reati dal codice penale. Ad esempio, basterebbe approvare una norma che reciti: “chiunque a qualsiasi fine e con qualsiasi mezzo pratichi o renda possibile o solo più agevole la clonazione riproduttiva, è punito con la pena di…”. In questo modo, si otterrebbe una regolamentazione immediatamente operativa che eliminerebbe ogni possibilità di compiere legalmente un tale tipo di donazione, evitando l’inconveniente di coinvolgere colui che votasse tale legge in una qualche responsabilità circa altri aspetti della materia che in concreto, nella situazione attuale, non era possibile regolamentare secondo coscienza. Su un tale aspetto, inoltre, si potrebbe coinvolgere tutti coloro che sono contrari alla donazione riproduttiva (vale a dire la stragrande maggioranza dei parlamentari italiani), riservando a momenti futuri la regolamentazione degli altri aspetti della materia.
Quanto abbiamo detto facendo l’esempio estremo e paradigmatico della donazione, lo possiamo ripetere per altri casi meno eclatanti, ma ugualmente gravi, come quello della fecondazione artificiale, che oggi molti cattolici vorrebbero regolamentare a qualunque costo (morale), pur di ottenere il maggior consenso politico possibile. A questa prospettiva obiettiamo che, se è grave che un Parlamento non abbia finora legiferato al riguardo, è però ben più grave che legiferi male legalizzando la fecondazione. L’assenza di legge non comporterà mai responsabilità così gravi come quelle che comporta il varo di una legge cattiva.
In sostanza, in assenza di una legge che regoli una serie di attività umane, e nella (momentanea) impossibilità di ottenere una regolamentazione globale conforme alla morale naturale e cristiana, il parlamentare cattolico deve a nostro avviso innanzi tutto operare affinché siano vietate per legge tutte quelle azioni che sono contrarie alla morale, cercando progressivamente di ridurre le attività legittime a quelle moralmente accettabili. Non ci stancheremo infatti di ricordare che chiunque, a qualsiasi titolo, intervenga attivamente nel processo di approvazione (voto positivo in Parlamento) o promulgazione (sottoscrizione della legge per renderla operativa) di norme contrarie alla morale cattolica, si prende una grave responsabilità personale, rendendosi complice delle nefandezze che verranno autorizzate e promosse dalla legge che egli ha contribuito a porre in vigore.
La proposta di leggi che “riducano i danni“
E’ proprio vero che è moralmente lecito approvare una nuova legge per il semplice fatto ch’essa “riduce i danni” della legislazione vigente? Questo criterio di giudizio non commette l’errore di basarsi, non sulla oggettiva bontà del fine voluto, ma sul calcolo dei risultati previsti, cadendo nell’ errore del proporzionalismo? Questo, infatti, valuta la moralità in base alla “proporzione tra beni e mali che effettivamente seguono all’azione“, allo scopo di “massimizzare i beni e minimizzare i mali“.
Giovanni Paolo II però insegna che “la considerazione di queste conseguenze – nonché delle intenzioni - non è sufficiente a valutare la qualità morale di una scelta concreta. La ponderazione dei beni e dei mali, prevedibili in conseguenza di un’azione, non è un metodo adeguato per determinare se la scelta di quel comportamento concreto sia in se stessa buona o cattiva, lecita o illecita” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, §§ 65, 74 e 77).
Il retto criterio del giudizio morale, infatti, è quello assoluto-oggettivo, che valuta un atto come “buono” o “cattivo” secondo che rispetti o violi la Legge naturale e divina, considerandolo innanzitutto in sé e per sé, ossia nell’oggetto, nelle circostanze e nelle conseguenze sue proprie. Invece il criterio proporzionalista è relativistico, perché valuta un atto come “migliore” o “peggiore” secondo che migliori o peggiori una situazione data. Se così fosse, una qualunque scelta iniqua potrebbe essere giustificata per il solo fatto di attenuare una iniquità del passato. Ad esempio, una legge abortista “moderata” potrebbe essere giustificata da una precedente legge abortista radicale, purché ne comporti una “riduzione del danno“. Ma così si finisce con lo scegliere in base alla falsa alternativa tra possibilità solo e comunque cattive (“caso perplesso “), illudendosi di poter fare lecitamente un male “minore” per evitare un male “maggiore” (Cfr. Ludwig Bender O.P., voce Minor male, in: cardd. F. Roberti e P. Palazzini, Dizionario di teologia morale, Studium, Roma 1967. Ciò accade perché si è sostituita la questione di principio (la scelta è conforme alla Legge naturale e divina? realizza un vero bene?) con una questione utilitaristica (la scelta è efficace? “riduce i danni“?).
Per giustificare la propria proposta, don Rodriguez Luño fa appello ad una prospettiva accennata da Giovanni Paolo II, secondo la quale “potrebbe essere lecito offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge (abortista) diminuendone gli effetti negativi”( Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, § 73). Tuttavia, qui il Papa propone di correggere in senso migliorativo una legge cattiva già esistente, ma non di varare e applicare una nuova legge“meno cattiva”. Se interpretassimo tale passo in quest’ultimo senso, contraddiremmo le evidenti intenzioni del Magistero. Questo infatti stabilisce che, “se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave, essa non può mai accettare però di legittimare (..) l’offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello della vita” (Evangelium Vitae § 71).
Per gravi ragioni, dunque, si può rinunciare ad un bene teoricamente necessario ma concretamente inattuabile o controproducente; si può tollerare un male, rinunciando a reprimerlo; si può perfino regolare un male, nel senso di ridurne la libertà e il campo di azione; ma non si può permettere o regolare un male autorizzandolo, perché questo significherebbe approvarlo rendendosene complici (Cfr. Ramòn Garcìa de Haro, La vita cristiana, Ares, Milano 1995, pp. 382-383). Ebbene, una nuova legge “meno permissiva” comporterebbe proprio questa complicità. Qui non si tratta di eliminare un comma od un articolo da una legge ingiusta diminuendone così la malvagità, ma si tratta di varare una legge che le Camere voteranno non solo articolo per articolo, ma anche nella sua totalità, approvandola quindi non solo nelle sue giuste disposizioni restrittive, ma anche nelle sue ingiuste disposizioni permissive. Votare una legge del genere significa rendersi complici di un male che non viene certo compensato né tantomeno cancellato dalla prevista “riduzione del danno“. Le buone intenzioni soggettive o il risultato “restrittivo” della proposta di legge non bastano per sanare l’oggettiva iniquità.
Se così non fosse, ogni legge che migliorasse la situazione precedente sarebbe per ciò stesso buona, in quanto andrebbe giudicata solo per il cambiamento prodotto, senza valutare il risultato complessivo. Non è ad esempio quindi lecito negare il diritto alla vita di alcuni col pretesto di salvare quello di altri; ad esempio permettere l’aborto “terapeutico” con la scusa di vietare gli altri tipi di aborto, oppure permettere l’eutanasia dei pazzi con la scusa di vietare quella degli handicappati. Per essere moralmente valida, e dunque proponibile da un parlamentare cattolico, una legge deve avere una sua propriaintegritas: dev’essere cioè totalmente giusta, almeno nel senso che nessuna delle sue disposizioni contraddica formalmente la Legge naturale e divina; in tal caso proporla e votarla è lecito. Ma se una legge contiene anche una sola disposizione intrinsecamente e oggettivamente immorale, essa manca dell’adeguato bene dovuto; è una “non-legge” in quanto contrasta con la Legge divina e col bene comune; votarla è quindi illecito. “Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu” (san Dionigi Areopagita). “Se una legge è in qualche cosa in contrasto con la Legge naturale, allora non sarà legge bensì corruzione della legge”, dice san Tommaso d’Aquino (S. Tommaso d’Aquino, Summa theologica, I-II, q. 95, a. 2.).
Commentando questo passo, Giovanni Paolo II afferma: “Le leggi che legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti, sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita. (..) Le leggi che autorizzano e favoriscono l’aborto e l’eutanasia (..) sono del tutto prive di autentica validità giuridica” (Evangelium vitae, § 72). “Una legalizzazione dell’aborto che significasse un riconoscimento, da parte dello Stato, di un diritto all’aborto, sia in casi determinati e a certe condizioni, è contraria alla retta ragione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, del 18-11-1974, § 22). Dunque, una qualsiasi legge che attenti alla vita di una categoria di esseri umani (innocenti) – anche se, rispetto ad una normativa precedente, riduce il numero delle categorie colpite – va ritenuta “in totale e insanabile contraddizione” con la Legge divina e con la retta ragione e quindi è “del tutto priva” di validità giuridica. Altrimenti se ne rende complice, per quanto lo riguarda, diventando responsabile di una formale cooperazione al male.
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Obiezioni di carattere strategico
A nostro avviso, la proposta di don Rodriguez Luño suscita comunque anche serie obiezioni di carattere strategico. Egli si premura di precisare ch’essa va attuata solo quando non costituisce una prospettiva compromissoria, optando per un “male minore” (§5b). Ci poniamo però un problema: la scelta di varare leggi “restrittive” non è figlia legittima di questa prospettiva, non solo per il criterio morale applicato, ma anche per la tendenza prospettata? Non finisce col deviare la battaglia pro-vita verso una linea compromissoria che renderà impossibile la vittoria e sicura la sconfitta? Orbene, a nostro avviso prospettiva del teologo è del tutto illusoria e fuorviante. Essa non tiene conto dell’abile strategia della forze “libertarie” e anticristiane, che mirano anche a sopprimere ogni coerenza di azione negli ambienti cristiani cercando di coinvolgerli in una spirale di complicità. Innanzitutto, se si punterà alla falsa terapia palliativa di “ridurre il danno” prodotto dal male, l’opinione pubblica (anche cristiana) finirà col pensare che l’importante non è guarire dalla malattia ma curarne i sintomi, e che la lotta contro il male in quanto tale è inutile o addirittura controproducente. Così, la battaglia per abolire le leggi ingiuste verrà delegittimata sostituendola con le manovre per limitarne le conseguenze. Inoltre, una volta innescato il meccanismo della complicità, si scatenerà senza dubbio un “gioco al ribasso“: le forze “libertarie” proporranno leggi sempre peggiori affinché i parlamentari cattolici le seguano a rimorchio, votandone le versioni “restrittive“. Anzi, alcuni ambienti cattolici già propongono di prevenire il temuto varo di proposte di legge estremistiche, votando leggi “moderate” che ne riducano in anticipo i danni previsti; è quanto sta avvenendo ad esempio in Italia, per quanto riguarda la questione della fecondazione artificiale. Questa soluzione viene timidamente rifiutata dal nostro teologo (§ 5 c), ma essa risponde alla sua esigenza di “stare al gioco” per “ridurre i danni” previsti. Quale sarà il risultato finale di questo processo compromissorio? Forse si arriverà a varare una legislazione meno ingiusta del previsto, ma con la terribile aggravante che sarà stata votata e applicata con la determinante complicità del voto cattolico.
Una volta che fosse approvata (ad esempio) una legge abortista “restrittiva” o una legge eugenetica “minimale“, con che credibilità e coerenza i cristiani potranno poi proporre di correggerle per “ridurne i danni“? E soprattutto, con che credibilità e coerenza potranno continuare a proclamare il diritto alla vita, ormai diventato una mera teoria progressivamente smentita dalla prassi? Compromesse nella proposta, approvazione, applicazione e magari anche difesa di leggi “meno inique“, coinvolte in una strategia tanto umiliante quanto fallimentare, le forze pro-vita finirebbero col perdere non solo la loro combattività ma anche la loro credibilità; e non c’è ipotetica “riduzione del danno” che possa compensare l’onore perduto.
Senza contare poi l’effetto formatore (ed in questo caso deformatore) che hanno le leggi sulle coscienze dei destinatari delle loro disposizioni, sulla base del principio socialmente diffuso che è giusto quello che è legale. Tale degrado è inoltre inevitabile poiché, se non si agisce più in coerenza col proprio pensiero, si finisce col pensare in coerenza con la propria azione. C’è però un altro aspetto della questione. La proposta di don Rodriguez Luño, specialmente se indica una strategia, sembra sottintendere una grave valutazione di fondo. Essa presuppone che, nella moderna società secolarizzata, non sia più possibile ottenere una legislazione conforme al diritto naturale ed ai Dieci Comandamenti; l’integrale rispetto dell’etica e la coerente difesa della vita sarebbero una teoria bella e generosa, ma concretamente irrealizzabile nell’odierna vita pubblica e quindi improponibile allo Stato moderno.
L’unica possibilità realistica sarebbe quella di adeguarsi all’irriformabile sistema “pluralistico “, ripiegando nella scelta fra le alternative proposte dalla dialettica “democratica“. Gli stessi politici non potrebbero fare altro che “mediare” tra una giustizia irrealizzabile e una iniquità inevitabile, ripiegando su soluzioni di compromesso.
Ma com’è possibile che, sia pure in certi casi concreti, sia inevitabile e dunque lecito adeguarsi al male votando una legge cattiva? Forse che Dio ha abbandonato il mondo riducendo gli uomini all’insolubile dilemma di optare tra alternative inique? Forse che la regalità sociale di Cristo è diventata una utopia rinviata alla fine dei tempi? Inoltre, la prospettiva dell’inevitabilità del compromesso fornisce un pericoloso pretesto per tradire il dovere morale professionale. Infatti “è colpa più grave quella di chi induce ad uccidere che non quella di chi uccide” (Sant’Agostino, Contra litteras Petiliani, § 202); se quindi la difficile situazione giustificasse le cattive scelte dei politici, a maggior ragione essa potrebbe giustificare anche quelle degli amministratori e degli operatori sanitari, che si trovano a subire leggi e norme volute dai politici. Ad esempio, medici ed infermieri potrebbero anch’essi ripiegare nella comoda prospettiva di adeguarsi alla prassi “meno cattiva“, limitandosi a “ridurre i danni” delle norme sanitarie vigenti e rinunciando quindi alla difesa della vita e perfino all’obiezione di coscienza. Perché mai pretendere da loro quella credibilità e quella coerenza – spesso a scapito della loro professione – dalle quali i politici, ben più responsabili di loro, vengono dispensati? In realtà, se in certe situazioni può essere effettivamente momentaneamente impossibile fare il bene, tuttavia la Provvidenza garantisce sempre al cristiano la possibilità di evitare il male, magari a prezzo di una resistenza eroica, respingendo la tentazione di scegliere fra alternative inaccettabili. Il cristiano che ha responsabilità legislative ha del resto come missione, – anche nella società “pluralistica” – quella di promuovere e difendere i diritti di Dio e della Chiesa ed in ultima analisi del diritto naturale nel campo politico: “E’ la promulgazione delle leggi che attesta se i sovrani servono veramente il Signore nel timore” (Sant’Agostino, Contra litteras Petiliani, § 202). Certo, il politico coerente verrà accusato di essere incontentabile o fanatico e di perdere utili occasioni lasciando il campo agli altri. Ma in realtà rifiutare la complicità col male, evitando le trappole del compromesso, non equivale a fuggire nell’inazione ma anzi equivale a fare il bene concretamente possibile, ponendo le premesse della futura riscossa.
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La correzione di leggi ingiuste
In un ordinamento giuridico si possono presentare, in relazione alle possibili azioni umane, due fattispecie: la presenza di una norma che già regolamenti le suddette azioni; oppure l’assenza di ogni normativa al riguardo.
Nel primo caso, secondo la giurisprudenza “laica“, la regolamentazione è esclusivamente un fatto di diritto positivo, e cioè prescinde da ogni valutazione etica: la legge generalmente dovrebbe seguire il costume “fotografandone” anche la “moralità”vigente. Pertanto qualsiasi norma, purché approvata secondo le procedure costituzionalmente definite, sarebbe da ritenersi giusta, indipendentemente dalla sua rispondenza o meno al diritto “naturale“. Questa posizione, ovviamente, non può essere condivisa dal politico cattolico. Si pone dunque il problema di quale condotta tenere per cercare di eliminare le conseguenze di una legge del genere. Poniamo in concreto il classico esempio della legislazione sull’aborto. Ebbene, per modificare la nefanda normativa in vigore in Italia (la c. d. legge n. 194/78), si aprono diverse possibilità teoriche:
- presentazione di un disegno di legge che, correggendo la normativa vigente, ripristini il totale divieto di aborto;
- promozione di un referendum totalmente abrogativo delle norme che legalizzano l’aborto;
- promozione di un referendum parzialmente abrogativo della citata legge (ad esempio, consentendo solo l’aborto c.d. terapeutico).
- presentazione di una nuova legge che, regolamentando ex novo la materia, restringa significativamente le possibilità di interruzione di gravidanza;
La terza possibilità, quella del referendum parzialmente abrogativo, pur abolendo alcuni casi di aborto, conferma però la legittimità di abortire in altri casi. Si tratta di una scelta notevolmente problematica. La legge risultante dall’eventuale vittoria del sì nel referendum conserverebbe infatti profili gravemente immorali. Ci si deve allora chiedere se tali profili immorali sarebbero riferibili in qualche modo anche all’autore dell’atto referendario. Tale atto avrebbe infatti in sé una duplice natura, negativa e positiva: negativa in quanto agisce tecnicamente nel processo di formazione delle leggi mediante abrogazione parziale; ma anche positiva, cioè di approvazione sostanziale della legge così come modificata. E’ un problema delicatissimo che non è facile risolvere. Da parte nostra, ma è solo la nostra opinione aperta ad ogni possibile confronto, riteniamo che la deliberazione popolare, con la vittoria di un voto parzialmente abrogativo referendario in materia di aborto, porrebbe in essere una diversa e nuova normativa deliberata non dal Parlamento ma dallo stesso popolo che, quale suprema fonte della sovranità, avrebbe legiferato direttamente nella materia oggetto di referendum, divenendo così diretto responsabile dell’intera legge sull’aborto risultante dall’abrogazione (che nel caso in questione, viene a costituire esclusivamente una tecnica costituzionale per adattare il testo licenziato dalle Camere alla effettiva volontà popolare). Ben diversa è la quarta possibilità: quella che si esercita su una nuova legge, in via di elaborazione parlamentare, modificabile mediante emendamenti meramente abrogativi o restrittivi di disposizioni permissive ed immorali. Siamo in questo caso in presenza di emendamenti correttivi che impediscono che alcune ipotesi normative, proposte per l’approvazione, ottengano forza di legge, oppure, nel caso di emendamenti restrittivi, impediscono che condotte immorali diventino lecite. Va però precisato che, nel nostro ordinamento giuridico, la legge va votata non solo articolo per articolo, ma, alla fine, anche nel suo complesso, in segno di approvazione globale. Pertanto, al parlamentare cattolico non sarebbe comunque mai consentito di dare il proprio voto finale positivo ad una legge che autorizzi azioni immorali, anche se tale legge risulti anche dall’ approvazione dei suoi emendamenti. Egli infatti non può assumersi, in nessun caso ed in nessun modo, la responsabilità globale di un testo finale che autorizzi, ad esempio, pratiche abortive, anche solo in casi rari ed estremi. Ciò significa che egli potrà correggere la proposta di legge mediante emendamenti meramente restrittivi o abrogativi; ma non potrà approvarne il testo finale, se vi permangono disposizioni illecite.
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Legge di riforma e vuoto legislativo
Nel caso infine di una legge abortista già esistente, il parlamentare cattolico può e deve presentare esclusivamente disegni di legge, sostitutivi della normativa vigente, conformi al diritto naturale e cristiano. Se poi, nel corso del dibattito parlamentare, tale proposta di legge venisse modificata (ad esempio inserendo casi di legalizzazione dell’aborto), l’atteggiamento del parlamentare cattolico non può che essere che quello già delineato relativamente all’esempio precedente. Pertanto, fermo restando il suo voto positivo sui singoli articoli conformi alla morale cattolica, il parlamentare non potrà in nessun caso votare la legge nel suo complesso, pena l’assunzione della responsabilità morale e giuridica dell’intero testo.
Resta da affrontare la seconda fattispecie: quella cioè in cui vi sia una totale assenza di regolamentazione giuridica. Si tratta in genere di campi dell’agire umano che si sviluppano per il continuo progresso di tecnologie che aprono all’uomo possibilità d’azione prima neppure immaginabili. Si vengono così a costituire fattispecie relativamente o assolutamente nuove da regolamentare, essendo totalmente assente una normativa che abbia ad oggetto situazioni ricollegabili in qualche modo a quella in causa. E’ questo il caso di alcuni settori della bioetica. Si pensi ad esempio alla fecondazione artificiale, o alla clonazione terapeutica o riproduttiva. Quest’ultimo è il caso forse oggi più eclatante di assoluta assenza di regolamentazione, tanto che al riguardo si parla di “Far West legale“, intendendo con tale espressione una sorta di anarchia di condotta che trova limite solo nell’eventuale autoregolamentazione dei singoli responsabili.
Per quanto attiene ad esempio alla clonazione, a fronte di tale lacuna legislativa e di una conseguente liceità di ogni condotta anche la più aberrante, molti ambienti, anche cattolici, propongono che il nostro paese si doti, come già hanno fatto altre nazioni, di una legislazione che stabilisca quali azioni siano lecite e quali vietate.
Ovviamente anche in questo caso si è aperta una disputa tra i fautori di una soluzione “pragmatica” e coloro che invece intendono difendere con intransigenza la dottrina naturale e cristiana della Chiesa cattolica. I primi sostengono che, nel caso in questione, una qualsiasi legge sarebbe comunque più restrittiva della situazione esistente; pertanto il legislatore cattolico dovrà cercare in ogni modo di ottenere il massimo possibile di regolamentazione in subiecta materia.. Ma, per ottenere questo risultato, stanti i concreti rapporti di forza parlamentari, sarebbe necessario cercare una “terza via” tra quella ottimale e quella pessima, trovando un minimo comun denominatore tra le posizioni contrapposte. Ad esempio, bisognerebbe escludere la liceità della clonazione riproduttiva (quella tesa ad ottenere un soggetto fotocopia di quello originario) ma a ritenere lecita, entro certi ambiti, la clonazione terapeutica (che in sostanza mira non a creare un nuovo essere autonomo, ma a riprodurre, partendo da embrioni umani clonati, cellule organi o parti di essi a scopo curati vi). Insomma, occorrerebbe “cedere per non perdere“. I fautori della posizione intransigente, tra i quali ci schieriamo, obiettano che applicare quella nota norma compromissoria anche a questo settore condurrà inevitabilmente, come finora è sempre avvenuto, alla sconfitta totale. Una volta ceduto sui principi, non vi è ragione – se non contingente – perché la liceità della donazione debba essere limitata ad alcuni settori della ricerca e non estesa ad altri. Il problema può risolversi solo applicando il sopra delineato principio di responsabilità del legislatore per le proprie azioni. Ripetiamo per l’ennesima volta che, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, non è lecito per un cattolico cooperare formalmente al male, neppure per ottenere un bene maggiore; dunque la cooperazione ad una legge che approvi un qualsiasi tipo di donazione è un atto gravemente immorale. Ci si potrebbe obiettare che una legge sulla materia è comunque necessaria e che, se i parlamentari cattolici si astenessero, la discussione di tale legge porterebbe comunque, per i rapporti di forza parlamentari, ad un risultato peggiore di quella altrimenti ottenibile col contributo cattolico. Questo può essere vero a breve scadenza; ma alla lunga il cedimento fatto sui princìpi comprometterà l’affermazione e la difesa della sacralità della vita umana e degli inalienabili diritti di Dio. Né regge l’accusa di astensionismo disfattista. I parlamentari cattolici possono sempre presentare disegni di legge che, pur non regolamentando tutta la materia, tuttavia vietino alcune azioni oggi non previste come reati dal codice penale. Ad esempio, basterebbe approvare una norma che reciti: “chiunque a qualsiasi fine e con qualsiasi mezzo pratichi o renda possibile o solo più agevole la clonazione riproduttiva, è punito con la pena di…”. In questo modo, si otterrebbe una regolamentazione immediatamente operativa che eliminerebbe ogni possibilità di compiere legalmente un tale tipo di donazione, evitando l’inconveniente di coinvolgere colui che votasse tale legge in una qualche responsabilità circa altri aspetti della materia che in concreto, nella situazione attuale, non era possibile regolamentare secondo coscienza. Su un tale aspetto, inoltre, si potrebbe coinvolgere tutti coloro che sono contrari alla donazione riproduttiva (vale a dire la stragrande maggioranza dei parlamentari italiani), riservando a momenti futuri la regolamentazione degli altri aspetti della materia.
Quanto abbiamo detto facendo l’esempio estremo e paradigmatico della donazione, lo possiamo ripetere per altri casi meno eclatanti, ma ugualmente gravi, come quello della fecondazione artificiale, che oggi molti cattolici vorrebbero regolamentare a qualunque costo (morale), pur di ottenere il maggior consenso politico possibile. A questa prospettiva obiettiamo che, se è grave che un Parlamento non abbia finora legiferato al riguardo, è però ben più grave che legiferi male legalizzando la fecondazione. L’assenza di legge non comporterà mai responsabilità così gravi come quelle che comporta il varo di una legge cattiva.
In sostanza, in assenza di una legge che regoli una serie di attività umane, e nella (momentanea) impossibilità di ottenere una regolamentazione globale conforme alla morale naturale e cristiana, il parlamentare cattolico deve a nostro avviso innanzi tutto operare affinché siano vietate per legge tutte quelle azioni che sono contrarie alla morale, cercando progressivamente di ridurre le attività legittime a quelle moralmente accettabili. Non ci stancheremo infatti di ricordare che chiunque, a qualsiasi titolo, intervenga attivamente nel processo di approvazione (voto positivo in Parlamento) o promulgazione (sottoscrizione della legge per renderla operativa) di norme contrarie alla morale cattolica, si prende una grave responsabilità personale, rendendosi complice delle nefandezze che verranno autorizzate e promosse dalla legge che egli ha contribuito a porre in vigore.
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