Ride bene chi ride subito
Ascoltate il Papa che benedice l’ilarità e sculaccia i malmostosi
Papa Francesco (foto LaPresse)
"Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo”. Così, fate una bella risata, venerati confratelli. Non siate persone “burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità, e di trattare gli altri con rigidità, durezza e arroganza”. Papa Francesco – non potendo oggettivamente lasciare, a fine anno, l’ultima parola a Benigni che fa Mosè sul Monte Sinai di Rai Uno – ha fornito ai suoi della Curia, dopo il decalogo abbondantemente conosciuto (pur se non sempre praticato), un fenomenale prontuario in quindici punti: una paterna sculacciata, in vista del Santo Natale, che ha resto color porpora non solo le solenni vesti.
Papa Francesco si scaglia contro i mali della Curia romanaQuindici sfumature di peccato: un “catalogo delle malattie curiali” di tale severità che quasi tutti gli anticlericali di professione non saprebbero tenere il passo. Ha riso, ha detto a vescovi e cardinali di ridere, il Papa. Poi, con un lessico mai sentito nei Sacri Palazzi, ha evocato tutte le loro manchevolezze – dal “complesso degli Eletti” a quelli che lavorano troppo trascurando “il sedersi sotto i piedi di Gesù Cristo”, da coloro che sono “macchine di pratiche e non uomini di Dio”, a quelli ossessionati dalla pianificazione, “un contabile o un commercialista”, dal “falso quietismo” e “falso misticismo” dei vanagloriosi, a chi – “come Satana”, ha precisato Francesco – si muta in seminatore di zizzania, dalle “persone meschine” che passano i giorni a “corteggiare i superiori”, così che vivono “pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare”, ai circoli chiusi curiali simili al “cancro”, fino all’effetto finale, quello della “malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare i poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, persino sui giornali e sulle riviste”. Perciò, dunque e pertanto – fate penitenza, mutate il cuore, cambiate quella espressione fessa di “severità teatrale e pessimismo sterili”, spesso nient’altro che “sintomi di paura e di insicurezza di sé”. Amen. Come se il Papa morettiano di “Habemus Papam” avesse finito la terapia dallo psicanalista. E sistemato l’inconscio, e salda la fede, castigat ridendo mores. Ridendo senza esagerare, però.
di Redazione | 23 Dicembre 2014
© FOGLIO QUOTIDIANO
http://www.ilfoglio.it/articoli/v/124062/rubriche/vaticano/papa-francesco-curia-ride-bene-chi-ride-subito.htm
il Fatto Quotidiano
(Marco Politi) Il violento attacco portato da Papa Francesco alle “malattie” curiali è il segno della forte difficoltà in cui si trova il suo progetto riformatore. Nella Curia romana il pontefice argentino si ritrova in netta minoranza e sono pochi i decisi fautori della sua linea profondamente innovatrice. Affascinata dalla sua personalità e dalla sincerità di una “buona novella” subito comprensibile a credenti e non credenti, l’opinione pubblica mondiale sembra non accorgersi che papa Bergoglio sta incontrando un’opposizione e un sabotaggio crescenti nella macchina curiale (e nella grande struttura degli episcopati dei cinque continenti), i cui capi non hanno né condiviso né sostenuto nel recente Sinodo dei vescovi le aperture da lui appoggiate in merito alla comunione ai divorziati riposati e al riconoscimento delle coppie omosessuali.
Né, d’altra parte, in Curia si registra entusiasmo per il suo disegno di nominare donne a capo di posti di responsabilità. E meno che mai si coglie un appoggio convinto al progetto di riforma, che dovrebbe risultare in una Curia non più comando generale della Chiesa cattolica, ma strumento “al servizio del pontefice e dei vescovi”. Ascoltato di primo acchito, il discorso papale tenuto nella cornice solenne della sala Clementina appare un sermone quaresimale, in cui c’è di tutto: la condanna della vanagloria, del carrierismo, della sete di potere, dell’avidità materiale, della durezza di cuore, delle trasgressioni sessuali. Ma in controluce, scorrendo l’elenco dei quindici peccati (e sono tanti!) denunciati, quelli che pungono nel vivo la chiusura della corte curiale sono i peccati più propriamente politici. La patologia del potere, il “complesso degli Eletti” – come lo chiama Francesco – cioè il narcisismo di chi nella sua funzione dirigente non si accorge dei più deboli e bisognosi. E ancora, l’“impietrimento” mentale e spirituale di chi diventa una macchina di pratiche, scordandosi del prossimo. Ma soprattutto, come altre volte, Francesco si scaglia contro quanti nella Chiesa restano attaccati alle astrattezze dottrinarie e hanno la pretesa di ingabbiare lo Spirito Santo. Qui il Papa usa un crescendo di denuncia: “Regolare, addomesticare, pilotare, rinchiudere” lo Spirito Santo. Dimenticando che lo Spirito è “freschezza, fantasia, novità”. Di sicuro non si è mai visto un Papa accusare la sua Curia di “Alzheimer spirituale”: malattia gravissima per Bergoglio, un vero e proprio handicap i cui sintomi sono la creazione di “muri intorno a sé” e la soggezione alle proprie visioni immaginarie, ai propri idoli. Il senato curiale ha incassato in silenzio la lavata di capo del pontefice. Ma sarebbe errato vedere Bergoglio nelle vesti di fustigatore onnipotente. L’assolutismo papale funziona, quando i pontefici procedono nei binari tradizionali e la macchina del potere si muove secondo i riti secolari, sentendosi rafforzata dall’ubbidienza ai comandi immutabili del monarca. Nei momenti di svolta e di rivoluzione la macchina curiale, invece, recalcitra, accusando sotto voce il sovrano di tradire la sua “missione eterna”. Giovanni XXIII sperimentò personalmente questo sabotaggio e le maldicenze sistematiche sul suo conto. Francesco le incontra quotidianamente sui siti web e mese dopo mese avverte l’atmosfera crescente di ostilità nei confronti dei suoi progetti. In questo senso la requisitoria di Francesco contro una Curia bisognosa di autocritica è un segnale di allarme. E al tempo stesso un avvertimento. Così non si può andare avanti. Non è un caso che vescovi e cardinali a lui più vicini gli suggeriscano insistentemente di non essere così lento nel ricambio di personale ai vertici dei dicasteri vaticani. Senza una squadra “sua” molti pensano che il pontefice argentino non potrà farcela. In ultima analisi personalità come il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, cardinale Müller, o il cardinale americano Burke – quando esprimono dissenso – sono interlocutori leali. Ciò che il pontefice argentino non può sopportare e soprattutto ciò che è rischioso per la sua linea innovatrice è la terra bruciata, creata intorno a lui dagli avversari delle riforme che rimangono muti seppur ufficialmente ossequiosi. Quando il Papa denuncia le “mormorazioni... malattia delle persone vigliacche”, è a loro che va il suo pensiero. A quanti “come Satana” seminano zizzania e diventano “omicidi a sangue freddo” della reputazione altrui. Tra poco Francesco entrerà nel suo terzo anno di pontificato e non c’è dubbio che il 2015 è destinato a essere un passaggio cruciale per i traguardi verso cui si è impegnato a spingere la Chiesa. La riforma della Curia non può essere rimandata e il secondo Sinodo sulla famiglia è in agenda. È vero, come ha detto più volte, che per lui è importante il “processo”, cioè il mettersi in moto di una dinamica riformatrice senza l’ansia di vederne personalmente gli esiti. Ma è anche vero che la storia è piena di sabotaggi riusciti. I casi di Gorbaciov e Obama ne sono un esempio.
http://ilsismografo.blogspot.it/2014/12/vaticano-il-papa-attacca-per-difendersi.html
Il Papa predicatore che parla all’«ambigua argilla», cioè noi. Molta umanità. E i nodi teologici affrontati senza pavoneggiarsi. Così i sermoni di Bergoglio surclassano le abitudini del clero
Il Corriere della Sera
Pare che l'opera di rinnovamento e trasparenza di Papa Francesconon piaccia a molti in Vaticano. Qualcuno parla addirittura dell'eventualità di un scisma, di una guerra teologica ormai già cominciata. Il Pontefice ne è consapevole e spesso ha richiamato i cardinali e vescovi a "non sprecare energie per contrapporsi e schierarsi". I temi spinosi, riporta il Giornale, sono la comunione ai divorziati risposati e i diritti dei gay.
Porporati oppositori - Da una parte ci sono i sostenitori di Papa Francesco, i rinnovatori, dall'altra i "tradizionalisti". Fra questi ultimi spicca Raymond Leo Burke, 66 anni, nominato da Bergoglio patrono del sovrano ordine militare di Malta, e gli altri quattro porporati che insieme a Burke hanno scritto il volume "Permanere nella verità di Cristo", Gerhard Ludwig Muller, Walter Brandmuller, Velasio De Paolis e Carlo Caffarra, sostenuti a loro volta dall'arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, già dato per papabile nello scorso Conclave, da Marc Ouellet e George Pell.
Intellettuali contro - Ma fra gli oppositori al Papa non ci sono solo i porporati. L'intellettuale cattolico Antonio Socci da tempo mette in dubbio la validità dell'elezione di Bergoglio, Giuliano Ferrara ha spesso affermato di non essere un fan di Francesco e anche lo storicoRoberto De Mattei ha più volte criticato la sua strategia comunicativa definendola "pericolosa".
http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11736090/L-esercito-degli-anti-Papa-Francesco.html
il Fatto Quotidiano
(Marco Politi) Il violento attacco portato da Papa Francesco alle “malattie” curiali è il segno della forte difficoltà in cui si trova il suo progetto riformatore. Nella Curia romana il pontefice argentino si ritrova in netta minoranza e sono pochi i decisi fautori della sua linea profondamente innovatrice. Affascinata dalla sua personalità e dalla sincerità di una “buona novella” subito comprensibile a credenti e non credenti, l’opinione pubblica mondiale sembra non accorgersi che papa Bergoglio sta incontrando un’opposizione e un sabotaggio crescenti nella macchina curiale (e nella grande struttura degli episcopati dei cinque continenti), i cui capi non hanno né condiviso né sostenuto nel recente Sinodo dei vescovi le aperture da lui appoggiate in merito alla comunione ai divorziati riposati e al riconoscimento delle coppie omosessuali.
Né, d’altra parte, in Curia si registra entusiasmo per il suo disegno di nominare donne a capo di posti di responsabilità. E meno che mai si coglie un appoggio convinto al progetto di riforma, che dovrebbe risultare in una Curia non più comando generale della Chiesa cattolica, ma strumento “al servizio del pontefice e dei vescovi”. Ascoltato di primo acchito, il discorso papale tenuto nella cornice solenne della sala Clementina appare un sermone quaresimale, in cui c’è di tutto: la condanna della vanagloria, del carrierismo, della sete di potere, dell’avidità materiale, della durezza di cuore, delle trasgressioni sessuali. Ma in controluce, scorrendo l’elenco dei quindici peccati (e sono tanti!) denunciati, quelli che pungono nel vivo la chiusura della corte curiale sono i peccati più propriamente politici. La patologia del potere, il “complesso degli Eletti” – come lo chiama Francesco – cioè il narcisismo di chi nella sua funzione dirigente non si accorge dei più deboli e bisognosi. E ancora, l’“impietrimento” mentale e spirituale di chi diventa una macchina di pratiche, scordandosi del prossimo. Ma soprattutto, come altre volte, Francesco si scaglia contro quanti nella Chiesa restano attaccati alle astrattezze dottrinarie e hanno la pretesa di ingabbiare lo Spirito Santo. Qui il Papa usa un crescendo di denuncia: “Regolare, addomesticare, pilotare, rinchiudere” lo Spirito Santo. Dimenticando che lo Spirito è “freschezza, fantasia, novità”. Di sicuro non si è mai visto un Papa accusare la sua Curia di “Alzheimer spirituale”: malattia gravissima per Bergoglio, un vero e proprio handicap i cui sintomi sono la creazione di “muri intorno a sé” e la soggezione alle proprie visioni immaginarie, ai propri idoli. Il senato curiale ha incassato in silenzio la lavata di capo del pontefice. Ma sarebbe errato vedere Bergoglio nelle vesti di fustigatore onnipotente. L’assolutismo papale funziona, quando i pontefici procedono nei binari tradizionali e la macchina del potere si muove secondo i riti secolari, sentendosi rafforzata dall’ubbidienza ai comandi immutabili del monarca. Nei momenti di svolta e di rivoluzione la macchina curiale, invece, recalcitra, accusando sotto voce il sovrano di tradire la sua “missione eterna”. Giovanni XXIII sperimentò personalmente questo sabotaggio e le maldicenze sistematiche sul suo conto. Francesco le incontra quotidianamente sui siti web e mese dopo mese avverte l’atmosfera crescente di ostilità nei confronti dei suoi progetti. In questo senso la requisitoria di Francesco contro una Curia bisognosa di autocritica è un segnale di allarme. E al tempo stesso un avvertimento. Così non si può andare avanti. Non è un caso che vescovi e cardinali a lui più vicini gli suggeriscano insistentemente di non essere così lento nel ricambio di personale ai vertici dei dicasteri vaticani. Senza una squadra “sua” molti pensano che il pontefice argentino non potrà farcela. In ultima analisi personalità come il prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, cardinale Müller, o il cardinale americano Burke – quando esprimono dissenso – sono interlocutori leali. Ciò che il pontefice argentino non può sopportare e soprattutto ciò che è rischioso per la sua linea innovatrice è la terra bruciata, creata intorno a lui dagli avversari delle riforme che rimangono muti seppur ufficialmente ossequiosi. Quando il Papa denuncia le “mormorazioni... malattia delle persone vigliacche”, è a loro che va il suo pensiero. A quanti “come Satana” seminano zizzania e diventano “omicidi a sangue freddo” della reputazione altrui. Tra poco Francesco entrerà nel suo terzo anno di pontificato e non c’è dubbio che il 2015 è destinato a essere un passaggio cruciale per i traguardi verso cui si è impegnato a spingere la Chiesa. La riforma della Curia non può essere rimandata e il secondo Sinodo sulla famiglia è in agenda. È vero, come ha detto più volte, che per lui è importante il “processo”, cioè il mettersi in moto di una dinamica riformatrice senza l’ansia di vederne personalmente gli esiti. Ma è anche vero che la storia è piena di sabotaggi riusciti. I casi di Gorbaciov e Obama ne sono un esempio.
http://ilsismografo.blogspot.it/2014/12/vaticano-il-papa-attacca-per-difendersi.html
Il Papa predicatore che parla all’«ambigua argilla», cioè noi. Molta umanità. E i nodi teologici affrontati senza pavoneggiarsi. Così i sermoni di Bergoglio surclassano le abitudini del clero
Il Corriere della Sera
(Alberto Melloni) Una delle grandi criticità della chiesa che il papato di Francesco non risolve, ma se mai acuisce proprio con la sua testimonianza , è quella della predicazione. Punto discriminante durante il Cinquecento fra chi aderisce alla riforma e chi aderisce al rinnovamento tridentino della chiesa cattolica, la predicazione s’è spesso consumata di qua e di là del confine della divisione confessionale. Oggi, a differenza di cinque secoli fa, non è così automatico riconoscere una predica protestante da una cattolica, se non forse per quel riferimento mariano che marca il discorso della chiesa di Roma. Ma in entrambi i casi si vedrà una predominanza di tematiche morali, quando non del moralismo sudaticcio che proprio con la sua enfasi rigorista denuncia le dissipazioni di chi vi ricorre con inutile zelo.
Francesco, dicevo, con la sua predicazione mostra l’insufficienza di quella che c’è: la surclassa, per tanti ne rappresenta un pericoloso sostituto. Ma non per molti è facile riconoscerne le radici e la costruzione. Francesco ha sempre predicato così: con un’immediatezza che sa diventare frustata (da questa settimana lo sa anche l’intera curia romana, sferzata da quello che doveva essere un discorso di auguri ed è diventato un sermone de emendanda ecclesia che intrecciava con martellante potenza Rosmini, Pier Damiani, Grossatesta, Gregorio Magno e il dossier dei tre cardinali emeriti sui mali di Roma); e con una dolcezza che commuove chi al posto della chiesa madre s’è trovato talora innanzi una matrigna distratta dall’autocontemplazione.
«L’uomo è così», disse di Francesco il cardinal Bertello la mattina dopo l’elezione, facendogli il complimento più vero e radicale: e chi oggi legga le sue parole sulla Speranza lo ritroverà predicare in tempi non sospetti e a ridosso di circostanze tragiche (una sparatoria in una scuola, un incendio in una discoteca) la sostanza della speranza cristiana. Tema chiave del Natale che è racconto di redenzione compiuta nella incarnazione del Verbo e annuncio di un ritardo: creazione nuova di un infratempo della speranza, che sa che solo ciò che tarda avverrà.
Prediche e discorsi di un vescovo che parla al suo popolo: alla sua ambizione di essere educatore educato, e non semplicemente stridula enunciazione di un’«emergenza educativa» che scivola spesso nella monetizzazione. E qui viene fuori la forza del Bergoglio predicatore che sa entrare con naturalezza nei grandi nodi teologici. Il Bergoglio vescovo enuncia la forza della speranza rifacendosi alla polemica anti-donatista: una querelle del IV-V secolo che vede la grande chiesa opporsi al rigorismo di Donato, che cerca una purezza ecclesiastica che è guardata con sospetto non per le esigenze che pone, ma per l’immagine di chiesa — una chiesa pura per i puri — che sorregge. Antidonatismo in Argentina? Bergoglio lo fa: e presenta l’attesa cristiana come «un’energia per impastare quell’ambigua argilla di cui è fatta la storia umana, per poi da lì plasmare un mondo più degno per i figli e le figlie di Dio. Non il cielo in terra: soltanto un mondo più umano, in attesa dell’azione escatologica di Dio».
Bergoglio non indica mai — mai, né da vescovo né da Papa — i confini intellettuali del suo discorso: e quel Principio speranza che Ernst Bloch aveva iniziato nel 1938 e stampato nel 1959 corre sotto molte delle sue parole. Bergoglio forse non è teologo (nel senso moderno del termine): di certo non è professore pignolo e nemmeno un pavone che si pavoneggia delle sue letture. Ma col principio piacere e col principio di realtà si misura fino a quel principio — «il principio di un altro Amore» — che apre a una vita diversa e possibile.
Davanti al rischio di un’educazione all’eccellenza classista e discriminante, indica una «nuova umanità» come orizzonte della formazione che supera le antinomie fra rigore e solidarietà, fra novità e continuità, fra identità e maturazione. Per Bergoglio, infatti, la «maturità presuppone una capacità di vivere il tempo come memoria, come visione e come attesa, andando oltre l’immediatismo per essere in grado di strutturare la parte migliore della nostra memoria e dei nostri desideri in un’azione meditata ed efficace».
È in questa visione lucida del dinamismo delle persone e delle istituzioni che Bergoglio posa la sua visione cristiana della speranza: quanto mai utile in questo tempo natalizio che per noi, oggi, si consuma all’ombra di guerre implacabili e di istinti assassini che non esitano a sbranare bambini inermi, forse per vendicare il dolore di altri bambini uccisi, ma certo alimentando la spirale del sangue di cui si nutre la Bestia. Per chi viva questo tempo per ciò che è la questione rimane quella: una redenzione che annuncia la croce e una croce che annuncia una redenzione collocata dentro la «storia umana come a un luogo di discernimento tra le offerte della grazia, orientate verso la piena realizzazione dell’uomo, della società e della storia nella redenzione escatologica».
fonte
Francesco, dicevo, con la sua predicazione mostra l’insufficienza di quella che c’è: la surclassa, per tanti ne rappresenta un pericoloso sostituto. Ma non per molti è facile riconoscerne le radici e la costruzione. Francesco ha sempre predicato così: con un’immediatezza che sa diventare frustata (da questa settimana lo sa anche l’intera curia romana, sferzata da quello che doveva essere un discorso di auguri ed è diventato un sermone de emendanda ecclesia che intrecciava con martellante potenza Rosmini, Pier Damiani, Grossatesta, Gregorio Magno e il dossier dei tre cardinali emeriti sui mali di Roma); e con una dolcezza che commuove chi al posto della chiesa madre s’è trovato talora innanzi una matrigna distratta dall’autocontemplazione.
«L’uomo è così», disse di Francesco il cardinal Bertello la mattina dopo l’elezione, facendogli il complimento più vero e radicale: e chi oggi legga le sue parole sulla Speranza lo ritroverà predicare in tempi non sospetti e a ridosso di circostanze tragiche (una sparatoria in una scuola, un incendio in una discoteca) la sostanza della speranza cristiana. Tema chiave del Natale che è racconto di redenzione compiuta nella incarnazione del Verbo e annuncio di un ritardo: creazione nuova di un infratempo della speranza, che sa che solo ciò che tarda avverrà.
Prediche e discorsi di un vescovo che parla al suo popolo: alla sua ambizione di essere educatore educato, e non semplicemente stridula enunciazione di un’«emergenza educativa» che scivola spesso nella monetizzazione. E qui viene fuori la forza del Bergoglio predicatore che sa entrare con naturalezza nei grandi nodi teologici. Il Bergoglio vescovo enuncia la forza della speranza rifacendosi alla polemica anti-donatista: una querelle del IV-V secolo che vede la grande chiesa opporsi al rigorismo di Donato, che cerca una purezza ecclesiastica che è guardata con sospetto non per le esigenze che pone, ma per l’immagine di chiesa — una chiesa pura per i puri — che sorregge. Antidonatismo in Argentina? Bergoglio lo fa: e presenta l’attesa cristiana come «un’energia per impastare quell’ambigua argilla di cui è fatta la storia umana, per poi da lì plasmare un mondo più degno per i figli e le figlie di Dio. Non il cielo in terra: soltanto un mondo più umano, in attesa dell’azione escatologica di Dio».
Bergoglio non indica mai — mai, né da vescovo né da Papa — i confini intellettuali del suo discorso: e quel Principio speranza che Ernst Bloch aveva iniziato nel 1938 e stampato nel 1959 corre sotto molte delle sue parole. Bergoglio forse non è teologo (nel senso moderno del termine): di certo non è professore pignolo e nemmeno un pavone che si pavoneggia delle sue letture. Ma col principio piacere e col principio di realtà si misura fino a quel principio — «il principio di un altro Amore» — che apre a una vita diversa e possibile.
Davanti al rischio di un’educazione all’eccellenza classista e discriminante, indica una «nuova umanità» come orizzonte della formazione che supera le antinomie fra rigore e solidarietà, fra novità e continuità, fra identità e maturazione. Per Bergoglio, infatti, la «maturità presuppone una capacità di vivere il tempo come memoria, come visione e come attesa, andando oltre l’immediatismo per essere in grado di strutturare la parte migliore della nostra memoria e dei nostri desideri in un’azione meditata ed efficace».
È in questa visione lucida del dinamismo delle persone e delle istituzioni che Bergoglio posa la sua visione cristiana della speranza: quanto mai utile in questo tempo natalizio che per noi, oggi, si consuma all’ombra di guerre implacabili e di istinti assassini che non esitano a sbranare bambini inermi, forse per vendicare il dolore di altri bambini uccisi, ma certo alimentando la spirale del sangue di cui si nutre la Bestia. Per chi viva questo tempo per ciò che è la questione rimane quella: una redenzione che annuncia la croce e una croce che annuncia una redenzione collocata dentro la «storia umana come a un luogo di discernimento tra le offerte della grazia, orientate verso la piena realizzazione dell’uomo, della società e della storia nella redenzione escatologica».
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I 15 peccati della Chiesa secondo Francesco
Attacco del Papa alla Curia “Troppa vanagloria nessuno è indispensabile”
Viva il Papa e abbasso la Curia!, verrebbe spontaneo gridare dopo il magnifico e severo discorso che papa Francesco ha rivolto ieri ai responsabili della Curia romana. Il discorso con un’analisi ammirevole e coraggiosa elenca ben quindici malattie che secondo il Papa aggrediscono l’organismo di potere vaticano, ma in realtà si tratta di un’analisi perfettamente estendibile a tutte le altre nomenclature, a tutte le corti che nel mondo si formano inevitabilmente attorno a chi detiene il potere. Ieri il Papa si è rivolto alla Curia romana, ma le sue parole colpiscono praticamente tutti gli organi di potere dell’odierna società, dalla politica all’economia, dalle università ai tribunali, in Italia e ovunque nel mondo. Tra le malattie della mente e del cuore dei burocrati vaticani e non, il Papa pone al primo posto ciò che definisce (1) la “malattia del sentirsi immortale o indispensabile”, vale a dire l’identificazione del proprio sé con il potere…
Seguono (2) “la malattia dell’eccessiva operosità” e (3) “l’impietrimento mentale e spirituale”, intendendo con ciò l’atteggiamento di coloro che “perdono la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche”. Le altre malattie del potere, elencate dal Papa spesso con termini colorati, sono: (4) l’eccessiva pianificazione, (5) il cattivo coordinamento che trasforma una squadra in “un’orchestra che produce chiasso”, (6) “l’Alzheimer spirituale” che fa perdere la memoria dell’incontro con il Signore e consegna in balìa delle passioni, (7) la rivalità e la vanagloria, (8) la schizofrenia esistenziale che porta a vivere una doppia vita, di cui la seconda è all’insegna della dissolutezza, (9) le chiacchiere e i pettegolezzi che arrivano a un vero e proprio“terrorismo” delle parole, (10) la divinizzazione dei capi in funzione del carrierismo, (11) l’indifferenza verso i colleghi che priva della solidarietà e del calore umano e che anzi fa gioire delle difficoltà altrui, (12) la faccia funerea di chi è duro e arrogante e non sa che cosa siano l’umorismo e l’autoironia, (13) il desiderio di accumulare ricchezze, (14) i circoli chiusi e infine (15) l’esibizionismo.
Queste sono le numerose malattie che secondo il Papa aggrediscono la Curia romana e i suoi responsabili. Ma una domanda s’impone: è davvero così semplice separare il Pontefice dalla sua amministrazione? La Curia romana è una creatura dei Papi, è l’espressione di ciò che per secoli è stato il Papato, governata dagli infallibili successori di Pietro dei quali tra l’altro quasi tutti coloro che hanno regnato nel ‘900 sono stati proclamati santi o beati. Com’è quindi possibile il paradosso di papi così vicini a Dio e tuttavia incapaci di mettere ordine tra i più stretti collaboratori, scelti da loro stessi? Come si concilia lo splendore dei pontefici canonizzati con una curia che dipende da loro direttamente e che è così tanto malata?
La Curia romana non è piovuta in Vaticano dal cielo, né è stata messa lì da qualche potentato straniero, ma è sorta quale logica emanazione della politica ecclesiastica papale che ha fatto del Vaticano un centro di potere assoluto, e non un organo di servizio come vorrebbe oggi papa Francesco. Se si vuole la coerenza del ragionamento, indispensabile alla coerenza della vita giustamente tanto cara a papa Francesco, occorre concludere che i mali della Curia romana non possono non essere esattamente i mali dello stesso potere pontificio.
Il papato per secoli ha concepito se stesso come potere assoluto senza spazio per una minima forma di critica e meno che mai di opposizione, traducendo fisicamente questa impostazione in precisi segni di spettacolare effetto quali il bacio della pantofola, la sedia gestatoria, e la tiara pontificia detta anche triregno tempestata di pietre preziose. Chi lavorava in Curia respirava quotidianamente quest’aria e non c’è nulla da meravigliarsi se poi, nella sua vita privata, tendesse a riprodurne la logica circondandosi a sua volta di lusso e di potere. È stato così per secoli e, come fa intendere il discorso di papa Francesco, è così ancora oggi. Emblematico è il caso del cardinal Bertone, per anni a capo della Curia romana e ora autopremiatosi con un lussuoso superattico nel quale probabilmente si aggira fiero contemplando i frutti di un fedele servizio alla logica del potere.
L’impietrimento mentale e spirituale denunciato da papa Francesco come malattia n. 3 non è altro che la conseguenza di come nei secoli è stata interpretata la figura del successore di Pietro. Quindi la riforma della curia non può che condurre a una riforma del papato. Avrà la forza papa Francesco per intraprendere questa strada? La volontà, di sicuro, sì.
Vito Mancuso, la Repubblica 22 dicembre 2014
L'esercito degli anti-Papa Francesco. Preti giornalisti teologi, ecco chi sono
Pare che l'opera di rinnovamento e trasparenza di Papa Francesconon piaccia a molti in Vaticano. Qualcuno parla addirittura dell'eventualità di un scisma, di una guerra teologica ormai già cominciata. Il Pontefice ne è consapevole e spesso ha richiamato i cardinali e vescovi a "non sprecare energie per contrapporsi e schierarsi". I temi spinosi, riporta il Giornale, sono la comunione ai divorziati risposati e i diritti dei gay.
Porporati oppositori - Da una parte ci sono i sostenitori di Papa Francesco, i rinnovatori, dall'altra i "tradizionalisti". Fra questi ultimi spicca Raymond Leo Burke, 66 anni, nominato da Bergoglio patrono del sovrano ordine militare di Malta, e gli altri quattro porporati che insieme a Burke hanno scritto il volume "Permanere nella verità di Cristo", Gerhard Ludwig Muller, Walter Brandmuller, Velasio De Paolis e Carlo Caffarra, sostenuti a loro volta dall'arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, già dato per papabile nello scorso Conclave, da Marc Ouellet e George Pell.
Intellettuali contro - Ma fra gli oppositori al Papa non ci sono solo i porporati. L'intellettuale cattolico Antonio Socci da tempo mette in dubbio la validità dell'elezione di Bergoglio, Giuliano Ferrara ha spesso affermato di non essere un fan di Francesco e anche lo storicoRoberto De Mattei ha più volte criticato la sua strategia comunicativa definendola "pericolosa".
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