La “mamma assassina”: l’ultimo colpo di maglio alla famiglia tradizionale

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A che cosa punta tutto il morboso interesse mediatico per l’assassinio del piccolo Loris, coi tg e i giornali che da una decina di giorni non fanno altro che intrattenere il pubblico con uno stillicidio di particolari pretestuosi ed insignificanti?
La risposta sta in quello che ha detto una mamma del paese teatro del delitto: “Mia figlia mi ha chiesto: ma ora devo avere paura di te?”.
Alla fine ce l’hanno fatta. Sono riusciti ad insinuare nei bambini il dubbio più atroce che esista: che la mamma potrebbe ammazzarli.
Intendiamoci, non sarebbe la prima volta che una mamma uccide il proprio figlio piccolo. Ma qui si vuole andare a parare in una precisa direzione, quella della demonizzazione della famiglia.
Prima il “femminicidio”, poi i “padri assassini”, e ora anche le madri degeneri.
Non c’è tregua per la cellula fondamentale delle comunità umane, assediata da uno sciacallaggio mediatico mai visto prima. Gli stessi media che incessantemente – all’unisono con la cultura, lo spettacolo e la politica – ci ammaestrano a rispettare le “nuove famiglie”, le “nuove forme di genitorialità”.
Il sillogismo incoraggiato è chiaro: se la famiglia tradizionale fa schifo, tanto vale provare con quelle “arcobaleno”.
Non lo dicono esplicitamente, ma tutto va in quel senso.
Per milioni di famiglie belle e normali che, in mezzo alle ovvie difficoltà di vario ordine, vanno avanti perché credono ne valga la pena, ce n’è qualcheduna venuta male che finisce nella tragedia. Ci può stare, no? Anche se molto ci sarebbe da dire sulla difficoltà a mantenere dritta la barra in tempi di “crisi” che, come abbiamo detto, solo su un certo piano è economica.
Tutto rema contro alla famiglia: dagli orari di lavoro ed i relativi contratti all’interscambiabilità dei ruoli tra i cosiddetti “partner”; dalla scuola del nulla alla cafonaggine dilagante e compiaciuta; dall’egoismo tracimante di tutti e tutte alla causa delle cause del naufragio di tutta la società moderna: l’assenza di Dio dalla vita concreta delle persone.
Eppure,sebbene siano così inquietanti, casi come quello accaduto nel ragusano sono fatti eccezionali che resteranno per sempre eccezionali.
Ma non importa: eserciti di psicoterapeuti sono già pronti a dare “supporto” alle famiglie, mentre la telefonata ai “servizi sociali” grava come una ghigliottina sulla testa dei malcapitati genitori di quest’era di dissoluzione, assediati da “tate” che ne sanno sempre più di loro e che appena osano esprimere qualche “idea forte” sulla famiglia vengono guardati come dei pazzi da quella stessa maggioranza che non sa altro che piangere e “sconvolgersi” quando accade qualcosa di eccezionale.
Ed è triste dirlo, si tratta degli stessi ignoranti che, appena combinano il pasticcio, finiscono nel tritacarne mediatico che non ha più pietà per nulla e nessuno.
Invece, una tragedia come questa, in un mondo normale dovrebbe essere trattata con discrezione e pietà, perché, comunque la si voglia considerare, quello che resta dentro, piuttosto che l’odio per “l’assassina”, è un malessere difficile da spiegare perché va a colpire quello che di più intimo custodiamo.
Tragedie come quella di Santa Croce Camerina lasciano un senso di vuoto che andrebbe colmato non con ore e ore di inutili disquisizioni e macabre congetture, ma con una rinnovata fiducia nell’istituto familiare ed un serio programma politico volto a sostenerlo una volta per tutte.
Perché a parole, in campagna elettorale, son tutti “per la famiglia”, ma nei fatti, una volta arraffata la poltrona, è solo una gara a chi è più “gay friendly” degli altri.
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