Cari lettori, vogliamo tornare al tristo argomento “Benigni/Dieci Comandamenti” non per rivangare un tossico terreno su cui già altri hanno, in modo magistrale e puntuale, detto e scritto. La nostra sarà una brevissima e amara riflessione che dimostra come e quanto l’attuale pontificato stia deviando dal proprio officio per correre dietro, o in parallelo, col mondo della vanità e della superficialità, di quel mondo massmediatico in cui più che i contenuti valgono la visibilità e l’ascolto massivo.
Il bravissimo Giacomo Fedele ha, sulle colonne di questo sito – Ciao Roberto, sono Francesco - condotto opportune e acute riflessioni su quella telefonata che, a detta anche degli organi di informazione e di talune voci dei sacri palazzi, è intercorsa tra il comico e Papa Bergoglio. Rimandiamo volentieri i lettori a rileggerla perché rivela ed espone in maniera specchiata il comparaggio che, dal Vaticano II ad oggi, si è stabilito fra la Santa Sede e Beliar, fra gli uomini di Chiesa e l’avversario.
Chiamarlo “dialogo” non è altro che ingannare la cattolicità dandole ad intendere che, così, si fa opera di evangelizzazione. Ma siccome le chiese si svuotano, ci chiediamo quali siano i prodigiosi frutti di questo balletto.
Ma torniamo al caso citato.
La stampa mondiale ha concesso ampio risalto a questa telefonata disegnando, ancor più, un Francesco che esce dall’ovile per andare a riprendere la pecorella smarrita. Un ritratto oleografico a cui, nonostante la frequenza riproduttiva, non ci stiamo abituando, un ritratto che dà, invece, la misura di quanto smodata ferva, in questo papa, l’ansia del protagonismo mondano, del primo piano e quanto banale e pericoloso si dimostri in ogni suo intervento dottrinario. L’ultima, i lettori, lo ricordano, è stata la cappellata con cui - mercoledì, 17 dicembre 2014, udienza generale - ha indicato Nazareth quale luogo natìo di nostro Signore Gesù.
Orbene, con questa telefonata il pontefice si è congratulato – facendo eco agli elogi del cardinal Bertone e di mons. Fisichella – per aver, il giullare, parlato (o “sparlato”) di Dio davanti a milioni di telespettatori, ma ha taciuto, pur sapendolo, che per tanta opera esegetica il guitto s’è buscato – obolo dei contribuenti – un pacco di milioni.
Papa Bergoglio, il papa che ignora Bethleem, non poteva certo conoscere una luminosa vicenda di San Tommaso di Aquino - il pilastro su cui ancora, nonostante la gerarchìa modernista, si regge l’intera costruzione della certezza teologica – una vicenda che ben si attaglia all’argomento.
Ed allora, nella speranza che la Sua Santità possa e voglia leggersi questa nostra nota, gliela raccontiamo, a beneficio anche dei lettori.
Riporta, Guglielmo da Tocco (1250/1323) – Historia beati Thomae de Aquino – una testimonianza di san Bonaventura il quale riferisce che, ultimato il Trattato sull’Eucaristìa, fra’ Tommaso lo depose davanti al Crocifisso per ricevere dal Signore un segno. Sùbito, sentitosi sollevare da terra, udì le seguenti parole: “ Bene scripisti de me Thoma. Quam ergo mercedem accipies?” – Hai scritto molto bene di Me, o Tommaso. Quale mercedi desideri ricevere? – Tommaso rispose: “Non aliam, nisi Te Domine” – nient’altro che Te o Signore.
Capito? Non ha chiesto i diritti d’autore.
Il santo e sommo teologo, estromesso dai moderni seminarî, in uno dei quattro opuscoli in cui erano state raccolte 58 sue omelìe, aveva già commentato, in particolare, i due precetti della carità e i dieci comandamenti (in Duo praecepta caritatis et in decem legis praecepta expositio), così come, nella Summa, aveva lungamente spiegato il concetto e l’applicazione della legge divina (S. Th I/IIae q. 98 – 99 – 100) “ad majorem Dei gloriam”.
Altro che il benigno toscanello!
Capito, cari lettori?
Avete chiara la caratura culturale, pastorale e magisteriale di papa Bergoglio?
Un papa che da una parte – come è nel suo stile - si sbraccia e si spende per una Chiesa povera e per una cultura della povertà, che si complimenta con un astuto saltimbanco che, per le bischere osservazioni etiche e bibliche eruttate durante uno spettacolo televisivo, è stato pagato a vagonate di milioni di euri e, dall’altra, ignora completamente la scienza divina e l’esempio straordinario di un santo, lui sì povero, figlio della Chiesa cattolica, quel San Tommaso d’Aquino che non ebbe dubbî nello scegliere la vera ricchezza: Cristo Gesù.
Per concludere.
Abbiamo detto che la cultura scolastica e tomista è da tempo messa ai margini, se non esclusa, nei seminarî e nei corsi di istruzione superiore religiosa. Ebbene, vogliamo – per chi non lo sappia – far sapere da chi e quando è partita questa opera di “rivoluzione culturale”.
Riferisce il venerato Don Luigi Villa - allegandone il documento autentico - che negli anni immediatamente precedenti al Concilio Vaticano II, la massoneria aveva infiltrato nei posti chiave, quali i seminarî - come dimostrò la lista pubblicata in O. P/1978, contenente i nomi in codice e con la matricola di affiliazione di numerosi ecclesiastici – vescovi e preti di obbedienza con i quali si iniziò a demolire la tradizionale “ratio studiorum”, quella appunto tomista, con cui venivano educati i futuri sacerdoti.
In una lettera, FRAMA così si esprimeva, garantendo l’avvìo del disegno disgregatore ai danni della Chiesa.
“ 23 maggio 1961
Illustre e venerabile Gran Maestro: con molta gioia ho ricevuto, tramite il Fr. MAPA, il vostro delicato incarico: organizzare silenziosamente in tutto il Piemonte e nella Lombardia come disgregare gli studi e la disciplina nei Seminari.
Non Vi nascondo che il compito è immane e mi occorrono molti collaboratori specialmente presso il corpo docente e che Voi mi dovreste segnalare perché io li avvicini quanto prima insieme alla tattica.
Mi riservo comunicazioni più precise dopo un incontro e un abboccamento personale con MAPA.
Intanto vogliate gradire il mio devoto saluto.
Frama
--------------------
Al Ven. G. Maestro del G.O. ( a mano)”
Per informazione:
1 - MAPA è la sigla di Mons. Pasquale Macchi – tessera 23/4/58, matricola 54632 – minutante di Segreteria di Stato, segretario di Papa Paolo VI.
2 – FRAMA è la sigla di Mons. Francesco Marchisano – tessera 4/2/61, matricola 4536/3 – sottosegretario Congregazione Studi.
“ 23 maggio 1961
Illustre e venerabile Gran Maestro: con molta gioia ho ricevuto, tramite il Fr. MAPA, il vostro delicato incarico: organizzare silenziosamente in tutto il Piemonte e nella Lombardia come disgregare gli studi e la disciplina nei Seminari.
Non Vi nascondo che il compito è immane e mi occorrono molti collaboratori specialmente presso il corpo docente e che Voi mi dovreste segnalare perché io li avvicini quanto prima insieme alla tattica.
Mi riservo comunicazioni più precise dopo un incontro e un abboccamento personale con MAPA.
Intanto vogliate gradire il mio devoto saluto.
Frama
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Al Ven. G. Maestro del G.O. ( a mano)”
Per informazione:
1 - MAPA è la sigla di Mons. Pasquale Macchi – tessera 23/4/58, matricola 54632 – minutante di Segreteria di Stato, segretario di Papa Paolo VI.
2 – FRAMA è la sigla di Mons. Francesco Marchisano – tessera 4/2/61, matricola 4536/3 – sottosegretario Congregazione Studi.
di L. P.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1070_L-P_Che_pena_Santita.html
Cui prodest?
Avevo pensato di non rispondere a qualche critica che ho ricevuto per un mio post (di dolore, se qualcuno, non proprio aquila, non ci fosse ancora arrivato) su Facebook riguardo l’ennesima telefonata di papa Bergoglio, questa volta a Benigni, sia per non tornare ulteriormente sull’argomento, sia perché tutti coloro che compiono la scelta di esternare pubblicamente ciò che pensano e ciò in cui credono devono poi saper accettare la critiche, specialmente su temi della massima gravità e importanza, non fosse altro che per umiltà, la prima delle vie che conducono alla Verità e alla Carità.
Però ho letto una educata critica di una signora e la stima che nutro per la persona mi rende doveroso rispondere, soprattutto per una questione che la signora ha posto. Questione a dir poco fondamentale.
La signora Betta (questo il nome di battesimo) mi onora della sua quasi completa condivisione delle mie posizioni, ma questa volta dice di essersi trovata in difficoltà a causa ovviamente della mia critica al pontefice; non tanto perché non comprenda la gravità della situazione o – e questo è per me essenziale – non abbia chiaro, a differenza di persone più superficiali, che ciò che mi spinge è l’amore alla Chiesa che produce dolore e rabbia, ma perché appunto ho mosso una critica pubblica al successore di Pietro. E, in conclusione, si chiede: fare questo, “cui prodest”?
E questa è, come dicevo poc’anzi, il punto che mi obbliga a rispondere e ora spiego perché. Cercherò di essere breve, sebbene occorrerebbero interi trattati per essere esaustivi e precisi.
Un’ultima premessa necessaria. Scrive testualmente la signora: «Però oggi, confesso di aver avuto un conflitto interiore, perché d’impulso avrei voluto mettere un “mi piace” [si riferisce appunto al mio post], ma siccome sono diventata adulta, mi sforzo di ragionare prima di agire (per quanto la mia natura impulsiva me lo consenta)».
Che dire? Io, che ho la stessa natura impulsiva della signora, non sono ancora diventato così adulto. Mi permetto solo di ricordare a riguardo che se ogni tanto “sbotto” è appunto ogni tanto, nel senso che nel frattempo mi sono vinto almeno 15-20 o più volte imponendomi il silenzio, cancellando magari articoli che avevo già scritto, e per cose molto più sostanziose che le telefonate ai lumi del mondo fuori luogo per un successore di Pietro, Vicario di Cristo in terra. Ogni tanto, però, il mio carattere impulsivo vince.
Mi dispiace se offendo la sensibilità di qualcuno, o di molti. Che dire? Cercherò di non farlo più. Cercherò di portare la resistenza da 20 a 50, se necessario a 100, sebbene questo pazzesco e impensabile calcolo di obbedienza e pazienza non dovrebbe esistere e comunque non può essere valutato con mera disposizione quantitativa, visto che una sola affermazione può valere 100 telefonate o chissà cos’altro. Voglio dire che se ogni tanto in me non vince l’adulto non è solo perché amo la Chiesa di sempre, ma anche perché vedo sento e patisco quanto molti non si accorgono o fingono di non accorgersi che accada, giorno dopo giorno. E, ripeto, giorno dopo giorno.
E cosa sta avvenendo? Non entro qui nello specifico delle singole questioni teologiche, morali e anche comportamentali (non finiremmo più) di cui potremmo dibattere, mi limito a far notare che sta avvenendo questo: sta diventando normale ciò che normale non è affatto.
Cari amici, la capacità di adattamento è la salvezza e la dannazione dell’uomo al contempo. Infatti, l’uomo – entro i limiti del possibile – cerca di adattarsi a tutto, e così riesce a sopravvivere (basti pensare ai poli, al deserto, in prigione, o magari in situazione di estremo dolore personale, ecc.) e questo è un bene. Ma la capacità di adattamento ha il risvolto della medaglia e può divenire un micidiale veleno che uccide l’anima: questo avviene quando l’uomo, per sopravvivere o magari solo per non voler subire danni e invece voler avere vantaggi e guadagni (di qualsiasi natura) accetta tutto, magari gradualmente, passo dopo passo nel tempo, magari dicendo a se stesso e agli altri che accetta questo passo per non cedere poi a quello successivo. Precipitando così nell’accettazione di cose che solo poco tempo prima erano del tutto impensabili (vogliamo farcela una domanda? Chi di noi penava solo tre anni fa possibile che un Successore di Pietro potesse telefonare a Scalfari, Pannella o Benigni? E non per convertirli o portare Cristo… Vogliamo chiedercelo seriamente? E parlo delle telefonate, che in fondo sono l’aspetto più pittoresco dell’intero dramma in corso…).
Riguardo il rischio dell’abitudine, ogni riferimento alla presente folle e demoniaca situazione del mondo odierno non è ovviamente casuale. Ma il principio vale anche per la Chiesa. Il modernismo o comunque l’idiozia imperante oggi hanno trionfato in buona parte del clero anche perché i fedeli si sono adattati. Oggi la signora Betta, Massimo Viglione e tanti altri con loro (più di quanto si creda) si indignano nel vedere preti ballerini, pagliacci sull’altare, l’Ostia profanata da cialtroni, liturgie degne del festivalbar, clero eretico, preti da frontiera, ecclesiastici traditori e suore canterine, ecc. Ma non possiamo nasconderci che siamo giunti a questo anche perché in passato noi ci siamo adattati. È lo stesso identico principio che vale per la società, solo ancor più potente in quanto retto dall’idea della doverosa obbedienza all’autorità costituita della Chiesa.
Oggi stiamo tutti vivendo un’immensa tragedia, non solo per quanto avviene ogni giorno nella Chiesa, ma anche a un livello superiore, che incide la nostra stessa personale vita spirituale: il contrasto cui siamo sottoposti dagli eventi, ovvero quello che il dovere dell’obbedienza e del rispetto dell’autorità costituita e il dovere di difendere la Verità e combattere l’errore in ogni sua forma.
È “il colpo da maestro di Satana”, come lo ha definito in maniera eccellente mons. Lefebvre. Mons. Lefebvre si riferiva precipuamente al clero, ma vale anche per noi laici cattolici che abbiamo comprensione della realtà che ci circonda: a chi obbedire, prima a Dio o prima agli uomini di Dio anche quando divergono dalle strade che la Chiesa per venti secoli ha indicato essere quelle di Dio?
Oggi ci indigniamo, ma spesso dimentichiamo che quello che accade accade perché l’autorità lo consente, quando non lo promuove (per autorità intendo tutta la gerarchia nel suo complesso). Allora delle due l’una: o in nome della Verità dobbiamo iniziare – trovando le giuste forme – ad aiutare l’autorità – almeno quella fedele e buona – a reagire e contrastare il degrado, oppure dobbiamo tacere per sempre per obbedienza e lasciarci in silenzio condurre dove il flusso della storia ci condurrà, come pecore al macello, senza poi lamentarci, per le ragioni suddette, adattandoci appunto a ogni cambiamento.
Qualcuno potrebbe proporre la “terza via”: fare resistenza nei termini opportuni, con rispetto e devozione, e con fermezza.
Benissimo. Tornando al mio post, se questo ha scandalizzato qualcuno me ne dispiace: lo faccia qualcun altro! Qualcun altro ci indichi la via da seguire per opporre resistenza alla propagazione dell’errore nella Chiesa mantenendo al contempo la giusta obbedienza e devozione. Qualcun altro, più bravo del sottoscritto (non ci vuole molto), trovi il modo di resistere all’errore, difendere la Verità e salvaguardare la sensibilità dei fedeli. Che venga fuori questo qualcuno, e io sarò il primo a seguirlo.
Ma deve venire fuori, però! Non ce la si può cavare dicendo che è inopportuno reagire perché non si deve offendere l’autorità che sbaglia.
Io ho sbagliato a scrivere quel post? Bene. Ma se l’ho scritto non è perché ne traggo vantaggio alcuno (anzi, mi faccio solo del male e questo penso che sia innegabile), ma perché io… non mi abituo.
Non mi abituo, signora Betta, non mi abituo cari amici, e pure non amici… Mi conosco, non mi abituerò mai all’accettazione passiva dell’errore e della falsità, specie anzitutto proprio nella Chiesa e a danno della Chiesa. Ripeto: a danno della Chiesa. Posso solo promettere di controllarmi maggiormente, di ricordarmi della prudenza che altri ritengono sia necessaria, di contare fino a 100 come le pecorelle prima di reagire (se volete pure fino a 200), ma io non mi abituo al fatto che il cielo sta diventando verde e l’erba azzurra. Quella che lei, signora Betta, definisce prudentemente abitudine (“Non ci sono abituata, ho un’idea del papa diversa e quindi faccio fatica a seguirlo nelle sue continue e se vogliamo discutibili innovazioni”) per me è la semplice e pura realtà delle cose, cioè come la Chiesa deve essere, come è sempre stata per quasi venti secoli e come deve tornare ad essere. Non possiamo e non dobbiamo abituarci a ciò che giusto non è. E so per certo che anche lei condivide questa mia ultima affermazione.n’idea del Papa diversa e quindi faccio fatica a seguirlo nelle sue continue e se vogliamo discutibili innovazioni
Ho già una caterva di peccati da farmi perdonare: il giorno del giudizio almeno voglio poter dire a mia difesa: in tutta la vita, peccati e scempiaggini commessi a parte, ho difeso la Verità, e ho sempre detto, pagando qualsiasi prezzo, che l’erba è verde e il cielo è azzurro.
Fino alla morte. Perché nemmeno Pietro può far diventare il cielo verde e l’erba azzurra. E nessuno lo farà dire a me, che non conto nulla, ma che devo rispondere della mia anima a Dio.
“Cui prodest” che almeno ogni 100 volte occorre ribadire la verità? Giova alle anime, che troppo facilmente, per le più svariate cause (debolezza spirituale, morale, intellettiva, o miseri interessi personali, o anche sincera e acritica devozione all’autorità ecclesiastica, ecc.) si abituano a ogni cambiamento, passo dopo passo, partendo dai meno importanti (anche le telefonate inopportune costituiscono piccoli mattoni su cui costruire poi l’abitudine a sconvolgenti cambiamenti) per arrivare poi alle questioni che intaccano il Deposito della Fede.
Purtroppo, ci si abitua. Questo è il punto. A tutto. E tutti noi, oggi, lo sappiamo molto bene quanto l’uomo si possa abituare a ogni follia di ogni genere: lo vediamo ogni giorno intorno a noi, nella devastante società in cui viviamo.
Ecco perché almeno ogni tanto è doveroso segnare il passo, anche all’interno della Chiesa stessa. Io non lo faccio bene? Come già detto, lo faccia qualcun altro più adatto di me, che sappia trovare i giusti e opportuni metodi. Ma qualcuno lo faccia e io sarò il primo a seguirlo.
Perché io seguirò sempre chi dice che il cielo è azzurro e l’erba è verde, mentre combatterò sempre, fino alla morte, chi afferma il contrario, dentro e fuori la Chiesa. Costi quello che costi. Accetto per umiltà le critiche sulla metodologia utilizzata (e mi sono già impegnato a migliorare), ma non accetto che si metta in dubbio né il movente che mi spinge né il fatto che abbia non il diritto ma l’inevitabile dovere di difendere la Verità. E se a qualcuno non piace che io esercito questo dovere, che è il senso della mia vita, non mi segua, vada per le sue strade. Siamo liberi, perché “la Verità vi farà liberi”, ha detto il Fondatore della Chiesa, di cui Pietro è Capo e servo al contempo e di cui io sono indegnissimo figlio, ma pur sempre figlio. E di questa libertà dovremo tutti, nessuno escluso, un giorno rispondere, insieme alla somma dei talenti ricevuti e da restituire.
Massimo Viglione |
Mah. Quanta preoccupazione che qualcheduno si offenda, perché si dice anticristo all'anticristo. Nel '44, con una urgente telefonata poche ore dopo lo sbarco alleato in Normandia, il Quartier Generale di Hitler contattò il Maresciallo Rundstedt per chiedergli qualche proposta per risolvere il pasticcio. Rundstedt, senza tanti giri, rispose: "non c' è nessuna soluzione, imbecilli! La guerra è persa!"
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