Ovvero: Papa Bergoglio – Papa Pacelli
Caro direttore, cari lettori:
le recentissime cronache hanno riferito che Papa Bergoglio “non ha voluto” – diverso da “non ha potuto” –ricevere, in udienza privata, il Dalai Lama tibetano, il signor Tenzin Gyatso, presente a Roma in occasione dell’incontro mondiale dei Nobel per la Pace. Le stesse cronache, e la nostra memoria, ci permettono di ricordare che, invece, l’emerito papa cardinal J. Ratzinger, già Benedetto XVI - correva il 12 ottobre 2006 - gli concesse pubblica e solenne “accoglienza” – si dice così? – per “un incontro di contenuti religiosi”.
L’udienza concessa, allora, da Benedetto XVI, fu salutata come un encomiabile esempio di dialogo interreligioso, appendice e propaggine di Assisi 1986/2011, come coraggiosa capacità della “nuova” Chiesa conciliare di aprirsi anche ai non cristiani. Naturalmente, osserviamo noi, non come intenzione evangelizzatrice ma come gesto di resa ai sensi del documento conciliare “Nostra Aetate”. Un evento che il mondo laico, stampa e financo la massoneria salutarono con soddisfazione.
Figuriamoci!
La mancata udienza, invece, come così ha voluto Papa Bergoglio, avrebbe, per logica di contrapposizione dialettica, dovuto suscitare un fermento critico col contorno di accuse a una Chiesa retriva, reazionaria, claustrale e antidialogica. Eppure - guarda come tutto fila secondo i piani del “principe di questo mondo” - siffatta decisione, opposta a quella di Ratzinger, ha dato la stura a un universale e corale elogio alla “prudenza” di Francesco il quale, con schietta sincerità ha fatto sapere che, concedere un’udienza in questo momento in cui la Santa Sede sta tessendo, di ricamo, rapporti con la Cina comunista, avrebbe provocato o pregiudicato intanto i delicati equilibrî con il governo cinese e messo in moto eventuali rappresaglie in termini di persecuzione anticristiana.
Il classico “Quieta non movere” (Platone: Leggi, 11,913b).
La più parte dei massmedia hanno sottolineato, con enfasi e compiacimento, questa particolare e coraggiosa “realpolitik”. Prudenza, scrivono, di un Papa che si sta dimostrando anche un fine politico.
Noi avremmo esultato se Papa Bergoglio avesse motivato il rifiuto in quanto indecoroso ed offensivo ricevere, nella sede di san Pietro, l’esponente di una filosofìa – spacciata per religione – di natura atea e satanica. “Omnes dii gentium daemonia”, come recita il Salmo 95, 5. Ma tant’è.
Ora, ciò premesso, ci domandiamo: perché mai, nei confronti di Papa Pio XII, è stato riservato, e tutt’ora lo si riserva, un trattamento ben diverso, indegno oltre che menzognero? Eppure, la prudenza con cui Papa Pacelli si rapportò con il nazismo, senza con ciò venir meno al suo compito di pastore tanto da aver salvato migliaia di ebrei dalla deportazione, viene tacciata come silenzio vile e, secondo taluni, aperta connivenza con il Reich.
Noi non dimentichiamo i vergognosi attacchi portati alla sua santa persona e alla santa memoria da cialtroni travestiti da letterati, e cioè: Rolf Hocchuth e John Cornwell, autori rispettivamente di indegni lavori come “Il Vicario” e “Il Papa di Hitler”. Non dimentichiamo anche che, ad onta di affidabili ed autorevoli testimonianze – valga quella del primo ministro ebraico Golda Meir – con cui si riconobbe la grande opera del papa messa in atto per salvare quanti più ebrei possibile, la stessa Gerarchìa cattolica ha frenato sul processo di canonizzazione di Papa Pacelli. Il gesuita padre Peter Gumpel, relatore della causa di beatificazione di Pio XII, di fronte al blocco imposto da Benedetto XVI ebbe a dichiarare che: “Papa Ratzinger non firma per Pio XII beato, le reazioni degli ebrei lo hanno impressionato” (Il Giornale 20 giugno 2009 – a firma Andrea Tornielli).
Aggiungiamo, tanto per dare la dimensione e il peso dell’ipocrisìa con cui questa vicenda è stata trattata, che lo stesso padre Gumpel riferisce che “Benedetto ha una grande ammirazione per Pacelli, anche per quello che egli fece a favore degli ebrei, e non ha nulla contro la causa di beatificazione”.
Equilibrismi verbali che dimostrano la fragilità e la pavidità di colui che, appena eletto sommo Pontefice, chiese preghiere per “non fuggire davanti ai lupi”, trovando poi, nella favola della “ingravescente aetate” il pretesto di defilarsi al primo guaito di alcuni cagnoli sciolti. Col danno di aver dato luogo, con il suo saltar fuori dalla barca, a un pontificato che si è subito delineato come il più tragico, disastroso ed equivoco della storia bimillenaria della Chiesa.
Ma torniamo al nostro tema. Stando così le cose, la prudenza di Bergoglio, che teme le ire del gigante cinese – comunista - è virtù mentre la prudenza di Pacelli, che non intese smuovere la ferocia tedesca – nazista - è viltà. Così va il mondo nel secolo XXI.
Nel fondo di queste risultanze sta la constatazione che il nazismo, con le sue camere a gas e i suoi lager, viene concordemente condannato come estremo delirio antiumano, il peggior esempio di ferocia mai espressa, mentre il comunismo, con le sue caterve di milioni di cadaveri che principiano dai freddi gulag dello stalinismo, traverso i campi torridi di Cuba sino agli attuali laogai cinesi, è da considerare come un semplice errore di percorso. Eppure, entrambi, sono figli di quell’idealismo hegeliano da cui rampollarono, tanto per chiarire, larealpolitik bismarckiana, ogni realpolitik compresa la nefasta vaticana ostpolitik, dottrina che oggi, con un adulatorio ribaltamento assiologico, viene accreditata a Papa Bergoglio come virtù che qualifica il pontefice quale statista di spessore.
Vorremmo permetterci una maliziosa riflessione.
Il 29 giugno 2014 apparve, su Il Messaggero, l’intervista rilasciata da Papa Bergoglio a Franca Giansoldati, dove, alla domanda quale fosse il giudizio del papa sul marxismo, il pontefice ebbe a dolersi per il fatto che la bandiera della lotta alla povertà, di marca cristiana, fosse stata “rubata” da Marx. Nient’altro che l’equivalenza Cristianesimo = comunismo.
Ora ci spieghiamo l’inquisizione iraconda messa in atto contro i Francescani dell’Immacolata.
di L. P.
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