Una teologia di parte, ossia come la teologia si secolarizza seguendo le mode attuali (quarta e ultima parte)
Il cardinale Ersilio Tonini con il metropolita Giovanni Zizioulas |
In quest'ultima parte si aggiungono altre osservazioni critiche al pensiero teologico di Yannaras e Zizioulas. Purtroppo, per non ledere i diritti d'autore, non è possibile offrire un panorama più vasto per il quale rimando i lettori a consultare il libro francese citato all'inizio di queste traduzioni.
Nel
momento in cui un teologo parte con l'idea precisa di "spiegare"
con una o più filosofie attuali il Cristianesimo e non pone attenzione
alle difficoltà che si possono creare, si determinano una serie di
riduzionismi o di piccoli o grandi tradimenti del messaggio cristiano.
Qui di seguito se ne vedono alcuni (oltre a quelli già citati in precedenza). Queste righe mostrano come, sostanzialmente, il pensiero di questi teologi greci sia estremamente affine a quello dei teologi cattolici moderni che, pure loro, operano diverse riduzioni o omissioni (quando non vi pongano reali eresie).
Si può ben dire che, in questo messaggio sfocato e impreciso, tutte le teologie (cattoliche-ortodosse-protestanti) si possono incontrare ed abbracciare!
Qui di seguito se ne vedono alcuni (oltre a quelli già citati in precedenza). Queste righe mostrano come, sostanzialmente, il pensiero di questi teologi greci sia estremamente affine a quello dei teologi cattolici moderni che, pure loro, operano diverse riduzioni o omissioni (quando non vi pongano reali eresie).
Si può ben dire che, in questo messaggio sfocato e impreciso, tutte le teologie (cattoliche-ortodosse-protestanti) si possono incontrare ed abbracciare!
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Sottovalutazione del peccato e delle
passioni
Nel
pensiero di Yannaras e di Zizioulas si osserva una sottovalutazione della
natura e del ruolo del peccato (1) e delle passioni.
Secondo
una visione assai moderna, Yannaras vede nel peccato un “fallimento esistenziale”
o un “insuccesso”, quello dell’uomo incapace d’esistere come alterità e libertà
personale (2).
Tale definizione, da lui offerta, testimonia il concetto molto generale che ne
ha: «La confusione tra la vita e la sopravvivenza materiale, l’ottenebramento
della verità per l’esistenza e per la libertà, il rifiuto o l’impotenza dell’uomo
di mettere in opera la sua alterità e la sua libertà personale nei limiti della
sua relazione con il mondo, a rendersi lui stesso incorruttibile e a rendere
incorruttibile il mondo nei limiti della vera vita che è l’amore – questo è il
peccato dell’uomo” (3).
La nozione di peccato è quasi assente
nel pensiero di Zizioulas. Costui
sembra aver identificato il peccato con i limiti della natura, ossia la natura
stessa (4),
in quanto suoi limiti le sono inerenti e appartengono alla sua stessa
definizione al punto che la persona
sembra essere al di là del bene e del male (5).
Una
tale visione è all’opposto rispetto a quella dei padri per i quali il peccato
dell’uomo non può che essere personale (proveniente dalla disposizione del
volere [γνώμη] e del libero arbitrio [προαίρεσις] provenienti
dalla persona e non dalla natura), al punto che la natura considerata in se
stessa non è colpevole, essendo soggetta alle conseguenze del peccato ma non al
peccato stesso (6).
Yannaras
non offre praticamente alcuna attenzione alle passioni che tengono,
ciononostante, un posto essenziale nella dottrina spirituale dei padri.
Per
quanto riguarda Zizioulas, sembra che riconosca solo tre passioni: «la
necessità ontologica», contrassegnata dalla sottomissione all’istinto e,
conseguentemente, la privazione di ogni libertà; «l’individualismo» iscritto
ugualmente nell’ipostasi biologica, espressione dell’uomo dalla sua nascita e
che si esprime nella separazione e nella tendenza all’autoconservazione; «la
morte», la più grande passione dell’uomo, secondo il nostro autore (7).
Questo
concetto relativo alle passioni è suscettibile di diverse osservazioni
critiche.
Abbiamo
già notato che Zizoulas confonde, qui, elementi di ordine naturale con le
passioni appartenenti all’ordine spirituale. Oltre a distinguere queste due
dimensioni bisognerebbe che distinguesse, con i padri, le passioni «naturali
non colpevoli» dalle passioni colpevoli.
L’assimilazione
della morte ad una passione è estranea alle passioni.
L’assimilazione
della tendenza all’autoconservazione a un’attitudine individualista è, per sé,
completamente discutibile. San Massimo vi vede, piuttosto, una tendenza
naturale e irreprensibile che permette all’essere di preservare la sua
esistenza.
Tutti
gli istinti naturali dell’uomo sono tendenze malvagie da superare? Abbiamo
visto che i padri considerano piuttosto che le tendenze naturali dell’uomo,
pervertite dal peccato e dalle passioni, devono essere riorientate, convertite,
trasfigurate…
Notiamo pure che l’individualismo è una nozione
moderna che non figura tra le passioni descritte dai padri. Al contrario,
costoro parlano di “philautia”, l’amore egoista verso sé, di cui hanno un
concetto preciso e che descrivono in relazione con le altre passioni (8) al
punto che la nozione d’individualismo, presso Zizioulas, resta imprecisa
opponendosi soprattutto ad un carattere relazionale e comunionale attribuito
alla persona.
Infine,
ci si può domandare sull’insistenza di Zizoulas a collegare le passioni da lui
evocate al «lo stato di creatura» (9) come se il fatto di essere
creato sia negativo e conduca l’uomo al male; quanto, lo abbiamo già segnalato,
ricordavano determinate teorie gnostiche dei primi secoli.
L’insistenza
sulla necessità ontologica come passione fondamentale dell’ipostasi biologica e
l’affermazione che «la natura detta le sue leggi, “l’istinto”, negando così la
libertà alla sua stessa base ontologica» (10),
fanno pensare, in quanto ad essa, al concetto agostiniano con cui è rifiutata
ogni libertà all’uomo decaduto, concezione che si trova pure nella nozione
luterana del “servo arbitrio”.
Sottovalutazione e
svalutazione delle virtù
Correlativamente,
la nozione di virtù, essa stessa essenziale nella dottrina spirituale dei
padri, è ugualmente estranea ai nostri due autori (11).
Essi la rifiutano per diverse ragioni:
1)
la considerano come moralista e pietista, ossia come farisaica e legata all’auto
soddisfazione e all’orgoglio (12);
2)
sottraendo la natura dalla vita spirituale (considerata legata alla necessità e
definitivamente limitata), essi rifiutano pure l’idea di un miglioramento o d’una
trasformazione di questa (o del suo modo d’esistenza) nell’uomo; ora, la loro nozione
di virtù pare legata a tale idea;
3)
la virtù pare loro costituire una norma a priori che s’oppone alla libertà dell’uomo;
4)
la vedono, in quanto legata allo sforzo individuale, come una manifestazione
dell’individualismo (13).
In
realtà per i padri le virtù sono, in quanto norme, delle guide per la
guarigione e la crescita spirituale (come V. Harrison sottolinea a Yannaras) (14).
D’altra parte, in quanto stati spirituali, si sostituiscono alle passioni che
incatenano l’uomo, il contesto d’esercizio della sua libertà. Infine, esse sono
la materia stessa della nostra somiglianza e quanto dona una realtà a questa,
la nostra somiglianza a Cristo la quale è, come dice san Massimo il Confessore,
“l’essenza delle virtù” (15)
(concetto assolutamente lontano dal moralismo denunciato dai nostri due
autori).
La
promozione d’una “spiritualità” sfocata, lontana dalla tradizione spirituale
della Chiesa ortodossa.
Da
tutto ciò risulta che i nostri due autori promuovono una spiritualità
“personalista” di carattere estremamente generale, con i grandi principi del
rifiuto dell’individualità, l’uscita da sé, l’instaurazione di un modo d’esistenza
“in relazione” caratterizzato dalla
comunione con gli altri nella libertà e nell’amore e la realizzazione, in
questo modo, di quanto caratterizza fondamentalmente la persona: l’alterità e
la libertà (16).
Zizioulas
non sembra aver alcuna nozione di quel che rappresenta lo sforzo ascetico nel
quadro d’un modo di vita spirituale organizzato secondo gli insegnamenti
teorici e pratici della Tradizione ortodossa (17).
Per
la mancanza d’un quadro di riferimento preciso (come i comandamenti divini, la
conoscenza delle passioni da combattere e da cui bisogna purificarsi e le virtù
da acquisire), la spiritualità dei
nostri due autori resta vaga e non sbocca in alcuna praxis concreta ed
efficace; in questo modo, si mostra assai lontana dalla spiritualità
classica e tradizionale della Chiesa ortodossa che offre una via precisa e
metodica al cristiano per orientare i suoi sforzi e permettergli, con l’aiuto
della grazia, di progredire ne “la vita in Cristo”.
Com’è
possibile essere liberi senza essere stati liberati dalle passioni (ricordiamo
qui che l’ “impassibilità” [apatheia], nome che i padri danno all’autentica
libertà spirituale)?
Com’è
possibile rinunciare all’egoismo o all’egocentrismo dell’individualità (se ci
si pone nel quadro di riferimento dei nostri autori) e com’è possibile, al
contrario, amare d’un amore autentico ed entrare con gli altri in una vera
comunione spirituale senza la preventiva purificazione dalle passioni che ci
attaccano a noi stessi e al mondo, purificazione che è, secondo i padri, la
cima dell’edificio delle virtù e la loro somma?
Non
contenti di fermarsi a generalità (di cui sovente è difficile intuire il senso
e che non si prestano piuttosto a un’applicazione pratica), i nostri due
autori, col pretesto di opporsi al “pietismo” e al “moralismo” che
costituiscono nella loro riflessione uno sfondo ossessivo, trasformano spesso
in modo considerevole il senso dei concetti ascetici da loro utilizzati,
rendendoli conformi al loro sistema di pensiero ma, in compenso, allontanandoli
dal senso che prendono nella spiritualità ortodossa tradizionale.
Conclusione
Alla
fine di quest’analisi pare chiaramente che i concetti personalisti di Yannaras
e di Zizioulas non si fondano, come
pretendono, sull’insegnamento dei padri della Chiesa ma su delle teorie di
carattere filosofico; si collegano a correnti personaliste ed
esistenzialiste moderne che non sono specificamente ortodosse. I nostri due
autori le hanno certamente amplificate, adattate al terreno teologico e hanno
loro dato un colore ortodosso. Ciononostante, si può constatare che, nel fondo,
tali teorie sono sfalsate e spesso in contraddizione con la tradizione
patristica di cui la Chiesa ortodossa è erede. Reagendo legittimamente all’essenzialismo
nel settore della teologia e dell’antropologia, all’individualismo nel settore
dell’ecclesiologia e al moralismo e al pietismo nel settore della spiritualità,
i due autori non si limitano a rettificare il carattere erroneo con un
riequilibrio. Come nel “ritorno di un pendolo” si fanno difensori dell’eccesso
opposto, adottando una logica binaria che ignora qualsiasi soluzione
intermedia, mediana ed equilibrata. I presupposti personalisti ed
esistenzialisti di Yannaras e di Zizioulas, espressi in modo sistematico,
attraverso un piccolo numero di concetti chiusi e di equazioni o antinomie
tronche, danno luogo a una completa reinterpretazione della triadologia, della
cristologia, dell’antropologia, dell’ecclesiologia e della spiritualità
ortodossa che ne falsa considerevolmente il senso e si rivela profondamente
riduttiva.
Traduzione
© Traditio Liturgica
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Note
(1) Tale critica è indirizzata a Zizoulas pure da E.
Russel, «Reconsidering relational Anthropology: A Critical Assessment of John
Zizoulas’s Theological Anthropology», International
Journal of Systematic Theology, V, 2, 2003, p. 177-178.
(2) La Liberté de
la morale, p. 35, 133; La foi vivante
de l’Église, p. 140.
(3) La
Liberté de la morale, p. 81-82.
(4) Cfr. I. Ică jr.,
«Persoană sau/şi ontologie în gândirea ortodoxă contemporană», p. 374, e N.
Loudovikos, «Person Instead of Grace and Dicated Otherness: John Zizioulas’
Final Theological Position», Heythrop Journal, 48, 2009, p. 3.
(5) Come sottolinea N.
Loudovikos, «Person Instead of Grace and Dicated Otherness: John Zizioulas’
Final Theological Position», Heythrop Journal, 48, 2009, p. 5.
(6) Su tal punto vedi particolarmente Massimo il
Confessore, Questioni a Thalassio,
42, PG 90, 405C, CCSG 7, p. 285.
(7)«Du personnage à la personne», in L’Être ecclésial,
p. 42-43, 45, n. 37.
(8) Vedi I. Hausherr, Philautie,
De la tendresse pour soi à la charité selon saint Maxime le Confesseur, Roma,
1952.
(9) Cfr. «Du personnage à la personne», in L’Être
ecclésial, p. 46.
(10) Cfr. Ibid. Vedi
pure p. 43 in cui Zizoulas, evocando la necessità ontologica nota che «il fatto
costitutivo dell’ipostasi è inevitabilmente legato all’istinto naturale, a un
impulso “dato” e incontrollabile attraverso la libertà».
(11) Vedi a tal proposito la critica che V. Harrison
rivolge a Yannaras («Yannaras on Person and Nature», St. Vladimir’s Theological Quarterly, 33, 1989, p. 292).
(12) Cfr. C. Yannaras, La Liberté de la morale, p. 51-52, 67;
J. Zizioulas, «Christologie et existence», p. 163-165, ripreso in L’Église et ses institutions, p. 59-61.
(13) Cfr. Ibid. p. 72, 125.
(14) «Yannaras on
Person and Nature», St. Vladimir’s Theological Quarterly, 33, 1989, p.
292.
(15) Cfr. Ambigua a
Giovanni, 7. PG 91, 1081D.
(16) Per averne un esempio tipico vedi C. Yannaras, La liberté de la morale, p. 46.
(17) R. Lazić si mostra giustamente costernato di fronte
alle asserzioni di J. Zizoulas in un’intervista dal titolo «Il vero
cambiamento» data a Искон, rivista della diocesi serba di Vranje, in cui
presenta come un’abilità ascetica il fatto, per un cristiano, di scendere dal
letto e andare in chiesa: «il fatto che delle persone scendano dal letto per
andare in chiesa non è cosa insignificante: tale sforzo è una specie d’abilità
ascetica, un’ascesi» (Новаторско богосповље Митрополита Зизиуаса).
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