Scriptorium
Recensioni – rubrica del sabato di Cristina Siccardi
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Unam Sanctam. Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo – di Paolo Pasqualucci – un elaborato ed esaustivo saggio, che ci introduce con acutezza nei meandri dell’impostura teologica, quella che avanza a grandi passi fra noi, nella dottrina come nella pastorale…
La responsabilità dei teologi novatori e antropocentrici, che hanno reciso il pensiero cattolico a vantaggio di un pensiero soggettivo e personalistico, e che hanno inciso nei documenti del Concilio Vaticano II, è ormai un dato di fatto, ma un fatto talmente grave che è bene ricordare a quei credenti che desiderano rimanere credenti in Dio e non negli uomini. Di fronte ad esempi concreti si prende maggiormente atto delle situazioni e degli inganni. Le menzogne vanno sempre smascherate altrimenti sono maggiormente seguite poiché l’uomo, tentato più a inseguire l’errore che la verità, a causa della sua natura corrotta, viene trascinato dagli incantatori e dagli illusionisti. Fra questi Henri-Marie de Lubac (1896-1991), che può essere considerato uno dei più influenti teologi del XX secolo. I suoi scritti hanno giocato un ruolo chiave nello sviluppo della dottrina del Concilio Vaticano II. Entrò nella Compagnia di Gesù a Lione il 9 ottobre 1913, e fu ordinato sacerdote nel 1927. Fu professore di teologia fondamentale alla facoltà teologica di Lione dal 1929 al 1961. Nel 1938 pubblicò il suo primo libro, Catholicisme, les aspects sociaux du dogme (Cattolicesimo, gli aspetti sociali del dogma).
Durante la Seconda guerra mondiale visse nascosto per la sua participazione alla resistenza francese. Nello stesso periodo partecipa alla creazione dei Cahiers du Témoignage chrétien e nel 1942 fonda con Jean Daniélou la collana di testi cristiani Sources Chrétiennes. Nel 1946 esceSurnaturel. Études historiques (Soprannaturale. Studi storici), opera che fa scandalo. È accusato di modernismo. L’enciclica di Pio XII Humani generis del 1950 lo accusa direttamente, perciò il generale dei gesuiti gli toglie l’insegnamento e i suoi libri sono ritirati dalle scuole e dai seminari. Lascia Lione, va a Parigi, e continua a scrivere. Nel 1958 è ripristinato nell’insegnamento e nel 1960 è nominato da Giovanni XXIII consultore della Commissione Teologica preparatoria al Concilio Vaticano II e viene pubblicamente riabilitato quando è nominato «esperto» del Concilio. Teologo ormai ascoltato e rispettato, nel 1983 Giovanni Paolo II lo crea cardinale. Tuttavia i suoi errori permangono, nonostante la riabilitazione.
Leggiamo in Gaudium et spes 22.1: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14) e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a sé stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione», a questa proposizione il Professor Paolo Pasqualucci, nel puntuale volume Unam Sanctam. Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo della Collana «i Diamanti» di Solfanelli Editore, si chiede: «Da dove proviene questo concetto della Rivelazione che “svela l’uomo a sé stesso”? Forse da Rm 5,14, richiamato nel testo per ricordare la dottrina paolina di Cristo “nuovo Adamo”?» (p. 189). Questa immagine, spiega Pasqualucci, che in tale accademico quanto preciso studio offre importanti confronti testuali, proviene dal teologo de Lubac, il quale, come fanno i modernisti di loro spontanea e camaleontica volontà, manipola il passo della Lettera ai Galati (Gal 1, 15-17), nel quale l’Apostolo delle Genti racconta la sua conversione sulla via di Damasco:
«Ma quando Colui che mi aveva messo da parte fin dal seno di mia madre e mi chiamò colla sua grazia, credette di rivelare in me il suo Figlio, affinché lo annunziassi alle Genti, immediatamente, senza consultare né carne né sangue […] me ne andai in Arabia e poi di nuovo tornai a Damasco». Nell’opera Catholicisme de Lubac cita questo passo togliendo il Ma (autem) iniziale e facendolo terminare con «rivelare in me il suo Figlio», questa troncatura esclude tutta la proposizione retta da “affinché”, che è quella che dà al contesto il suo significato. Essa viene poi riproposta separatamente. Quindi, afferma de Lubac:
«[…] credette di rivelare il suo Figlio in me”. Non solamente – qualunque sia la natura [sic] del prodigio esteriore di cui gli Atti degli Apostoli ci hanno trasmesso il racconto – di rivelarmi il suo Figlio, di mostrarmelo in una qualsiasi visione o di farmelo comprendere obbiettivamente, ma anche: di rivelarlo in me. Rivelando il Padre ed essendo rivelato da lui, Cristo finisce per rivelare l’uomo a se stesso […] Per mezzo di Cristo la Persona è adulta, l’Uomo emerge definitivamente dall’universo, prende piena coscienza di sé. D’ora innanzi, anche prima del grido trionfale: “agnosce, o christiane, dignitatem tuam”, sarà possibile celebrare la dignità dell’uomo: “dignitatem conditionis humanae”. Il precetto del saggio: “conosci te stesso”, riveste un nuovo significato”[1]» (p. 189).
L’esortazione filosofico-pagana «conosci te stesso», iscritta nel tempio di Apollo a Delfi, continua ad avere un connotato pagano anche con de Lubac, ma mentre la prima è giustificata dal non ancora avvento della Rivelazione incarnata, la seconda assume una responsabilità drammatica visto che il teologo del XX secolo aveva conosciuto, attraverso la Chiesa e la sua Tradizione, il reale ruolo dell’uomo, umile creatura di Dio, messo in grado di accedere alla Salvezza eterna attraverso il Sacrificio sulla Croce di Cristo. E Pasqualucci prosegue nella sua esperta analisi esegetica dei testi:
«Subito dopo aver costruito in questo modo la sua interpretazione della frase “rivelare il suo Figlio in me”, egli aggiunge: “Ogni uomo, dicendo “io” pronuncia qualche cosa di assoluto, di definitivo. Ora, nello stesso passo dell’Epistola ai Galati, Paolo aggiunge: “… perché io lo predichi ai Gentili”. La sua conversione è una vocazione”[2]. Da questa interpretazione sembra che il fine della “chiamata” divina sia stato quello di far prendere a san Paolo coscienza del proprio io, della sua natura profonda. In conseguenza di questa presa di coscienza, l’apostolo avrebbe scoperto la vocazione a predicare ai Gentili. In tal modo, la predicazione ai Gentili dipenderebbe da una decisione autonoma di san Paolo, conseguente alla scoperta di sé provocata in lui dalla “chiamata” divina. Il ruolo fondamentale verrebbe ad assumerlo non Dio che chiama bensì san Paolo che risponde» (p. 190). La persona è al centro, Dio in disparte.
Di questi artifici Pasqualucci ne svela per tutto il corso del suo elaborato ed esaustivo saggio, introducendoci con acutezza nei meandri dell’impostura teologica, quella che avanza a grandi passi fra noi, nella dottrina come nella pastorale, con i lacci della menzogna. Tuttavia, come disse il Padre della Chiesa, Basilio il Grande: «[…] non imiteremo certo la perizia nel mentire dei retori: né nei processi né in altre occasioni, mai la menzogna si addice a noi, che nella vita abbiamo eletto la strada retta e vera e che abbiamo una legge che ci vieta perfino di intentare lite»[3]. Il falso deve essere denunciato e gli ingannatori, anche senza lite, devono essere scoperti, proprio come fece Gesù durante la sua predicazione, il suo processo, il suo Calvario e come fecero gli Apostoli e i Padri della Chiesa contro errori ed eresie.
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[1] H. de Lubac, Cattolicesimo. Gli aspetti sociali del dogma (1937), tr. It. Di U. Massi, Studium, Roma 1948, pp. 298-299 (tondi di P. Pasqualucci).
[2] Ivi, p. 299.
[3] Basilio il Grande, Esortazione alla gioventù, 1-3.
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Unam Sanctam. Studio sulle deviazioni dottrinali nella Chiesa Cattolica del XXI secolo – di Paolo Pasqualucci – ed. Solfanelli (pag. 440, € 34,00) – per acquisti on line inviare una mail a info@riscossacristiana.it . Per le modalità di pagamento, clicca qui
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