Caro Papa, noi "conigli" siamo tanto felici...
Sono un coniglio irresponsabile. E per la verità non me ne vergogno nemmeno, dato che ho passato tutta la mia vita matrimoniale con la colpevole complicità di mia moglie ad accogliere i figli che Dio ci ha donato, come dice la striminzita formuletta che oggi sembra tanto desueta. Ho amici conigli e da due anni sotto la casetta di legno dei bimbi in giardino hanno fatto il nido dei conigli veri che sono arrivati qui per osmosi, per attrazione evidentemente.
È dura, lo dico mentre lavoro al computer e contemporaneamente controllo l’estratto conto che cala, estraggo il termometro dall’ascella di Gabriele, il numero tre della covata detto "rombo di tuono", e mentre mi infilo le scarpe per andare a prendere il numero 4, Giovannino, che sembra un amorino del '700, dopo aver pagato il corso di danza della numero 2, la mia cocca-che-nessuno-me-la-tocchi e ritirato gli esami da laboratorio del numero 1, che a vederlo giocare sulla trequarti ricorda Rui Costa.
È dura, ma è bella, tanto che non riuscirei a concepire una vita monacale senza le urla e i capelli strappati o i voli sul divano di un matto tarantolato che sembra Neuer. Mia moglie questa operazione multitasking la fa con maggior carico di me, si lamenta, sbuffa, ma si vede che la sua vita è piena e per nulla occupata dal superfluo. È una splendida coniglietta, che si divide tra il lavoro e il kitchen aid con estrema disinvoltura, ormai la parrucchiera la chiama in casa e quando si concede un’ora di tempo per lo shopping non torna a casa con una borsa di Furla, ma con i pacchi dei calzettoni di spugna in 3 per 2.
Dice che è felice così: una coniglietta senza giarrettiera felice e irresponsabile. La pizza la mangiamo al massimo una volta al mese, mai in pizzeria perché siamo chiassosi e il vicino ci guarda come marziani, ma quando accade è una festa. Per strada siamo quelli dei furgoni e dei pulmini per trasporto persone e quando su Rtl sentiamo “vento forte tra Caianello e Valmontone. Prestare attenzione telonati, furgonati e caravan” ci sentiamo sempre un po’ coinvolti. Come una grande community.
Per noi gli alberghi sono sempre a cinque letti, perché il “3” figli ideale non è mica solo una esigenza demografica, è anche di mercato. Il sesto letto se non ce lo danno facciamo la cresta cercando di impietosire il concierge che il 3° e il 4° figlio si stringono insieme.
Siccome Papa Francesco ama i linguaggi coloriti e sembra non scandalizzarsi di fronte a nulla, allora è bene che ci parliamo pane al pane e vino al vino. Ho sentito addirittura dei soloni dire che con questa frase il Papa ha aperto al condom. Perbacco! Credo invece che di questa frase ne possano parlare solo due categorie: le famiglie coniglie e il Papa. È roba nostra. Fuori i secondi: gli esperti, i vescovi, i parroci e i mentalisti tuttologi.
Lui ha già parlato, adesso tocca a noi. Siccome sono fedele al Magistero della Chiesa, al suo deposito e alla sacra tradizione, prima di fasciarmi la testa aspetto che l’anatema contra cuniculum venga scritto in una lettera apostolica o in un'enciclica. Prima di quella data considererò la frase sui conigli di Papa Francesco né più né meno che una battuta infelice. Una delle tante proclamata nel corso delle interviste. Lei ne fa tante, Santità, e tutti scambiano le interviste per Magistero ma io ricordo che cosa diceva il suo predecessore sul Magistero mediatico a proposito del Concilio. Quindi ne prendo le distanze.
A me questa "intervistite", siccome sono un giornalista e so che tranelli nascondono,non mi è mai piaciuta. È un po’ che mi girava e adesso gliel’ho detto. Capita, si può sbagliare, Santità. Soprattutto se si parla a macchinetta a 14mila piedi di altezza con giornalisti assetati di chiacchiere e il fuso orario che fa il loop. Una frase infelice, diciamolo, che non fa onore a lei e umilia noi.
E sì, ci umilia perché noi che eravamo dei conigli lo sapevamo, anzi che ci accoppiamo come conigli, diciamola come tutti ce l’hanno sempre detta perché sennò sembra che siamo dei conigli nel senso di pavidi e non mi sembra questo il caso, dato che per mantenere 4 o più figli oggi ci vuole un bel coraggio.
Ce lo dicono tutti, insieme a quella stupida frase: “Adesso basta...vero?”, che non si capisce poi perché uno si debba sentire tranquillizzato a sapere che chiuderemo le porte alla cicogna. Invidia? Frustrazione? Rabbia malcelata? Mah. Ce lo dice il fornaio, il ginecologo, ce lo dice il vigile quando ci controlla patente e libretto e infila la testa dentro l’abitacolo dove trova una selva di cinture di sicurezza che neanche la stazione orbitante. Ci mancava solo che ce lo dicesse lei.
Che poi io il suo discorso l’ho letto. Ma alcune cose non le ho capite. È riuscito a dire in una sola intervista che Paolo VI con l’Humanae vitae è stato un profeta e che i cristiani non devono fare figli come conigli. Non è per caso una contraddizione dato che un concetto esclude l’altro? E guardi che io su questa cosa non mi affido agli esperti come ha detto lei. Mi basta la mia vita, che nessuno può confutare perché è la mia umile testimonianza. Mi basta “l’andate e moltiplicatevi”, vorrei solo che lo Stato riconoscesse che i miei figli pagheranno la pensione di chi i figli non li ha fatti e che nelle famiglie numerose oggi sperimenti quei principi sani che la società ha perso. Perché la famiglia, come ha detto Costanza Miriano, è l’unico luogo dove tutti fanno il tifo per l’altro. Trovatelo un altro microcosmo uguale e così formativo!
Ecco che cos’è per me la paternità responsabile: non solo il mantenerlo il figlio, ma il doverlo educare dopo che l'ostetrica ce lo ha scodellato sul fasciatoio. Ecco la sfida. Educare è più faticoso e più doloroso a volte. Ma è una delle chiamate della nostra santità matrimoniale. Mi sarebbe piaciuto che lo avesse detto invece di concentrarsi come fanno tutti sui soldi e su queste cose. Perché noi, se avessimo guardato il conto in banca, mica li avremmo accolti 4 figli e sarà bene che qualcuno, almeno dentro la Chiesa, riconosca che l’affidarsi alla Provvidenza è questo, sennò andiamo pure a sculacciare le rane.
Né poi mi è piaciuto l’esempio della donna che ha fatto 7 cesarei. Se è per questo io conosco una signora che di cesarei ne ha fatti cinque e vorrei dirle: occhio che ci sei a ruota, tra un po’ scatta la scomunica. Invece lei è un medico, perfettamente con la testa sulle spalle e soprattutto dotata di quella capacità di sacrificio che ha fatto grande Santa Gianna Beretta Molla e farà santa Chiara Corbella. Quell’esempio alla donna dei sette cesarei, come se fosse la donna del libro di Tobia che aveva avuto 7 mariti, non va bene perché è un caso limite e questo mestiere mi ha insegnato che i casi limite sono utilizzati dai Radicali per introdurre un concetto forzando il sentimento simpatetico delle persone, provocando un moto di tenerezza di fronte ad una situazione straordinaria. E così facendo introducono un principio distruttivo: è stato così per aborto, divorzio, eutanasia etc...non vorrei che fosse così un domani anche per la contraccezione.
Forse voleva dire che non dobbiamo mettere al mondo i figli per egoismo? Ok, ma tenga presente che dopo i primi due, che soddisfano l’egoismo di coppia, tutto il resto è cuore e slancio. Di egoismo ne vedo poco. Non vedo egoismo nelle mamme che si riducono a preparare alle undici di sera i vestiti per il giorno dopo e a disporli in serie come polli in batteria. Non vedo egoismo perché prima non sono andate al cinema, ma hanno sparecchiato, fatto la lavastoviglie e guardato con compassione tenera e bisunta nel grembiule, il loro maritino spiaggiato sul divano mentre dorme come un ghiro.
Tenga poi presente che non vorrei che questa tecnica del prescindere dalla teoria per giustificare un’altra pratica sia foriera di ulteriori stravolgimenti. Mi spiego. Lei ha detto che un conto è la teoria, mi riferisco al passaggio sul pugno. Ma la pratica è altro. Bene. Anche noi cristiani in teoria, dobbiamo essere aperti alla vita e il perché non sto a ribadirlo perché ci crediamo tutti e due. Però se introduciamo uno iato tra la teoria e la pratica ecco che ci ritroviamo ancora una volta di fronte alla prassi sganciata dalla dottrina.
Insomma, io non ho voluto farle la morale col ditino alzato, soltanto dirle come mi sono sentito io e i miei amici che non hanno la fortuna di imbrattare pagine di giornale. E dirle che noi siamo fedeli al nostro patto di amore, ci crediamo, ci aiuti ad esserne orgogliosi e nel caso ci difenda dagli attacchi di questa società che ci vede come conigli e basta. Soldati di un piccolo esercito di pretoriani, che non riduce la persona a cosa e non limita la vita dentro il planning di una moleskina.
Mi rivolgo con questa sfrontatezza perché è stato lei a dirci che dobbiamo importunare i nostri pastori affinché ci diano il latte della grazia. Ecco, così faccio io. E comunque casa mia è aperta se un giorno vorrà venire a conoscerci. Siamo allegri e pesanti, fiduciosi e pieni di problemi affrontati e risolti. Abbiamo persino i segnaposti personalizzati, come i sette nani. Non mi invito io in Vaticano perché il numero tre, con la complicità furtiva del numero 4, potrebbe sottrarre una lancia alle guardie svizzere e seminare il panico per i sacri palazzi gridando tra specchi e arazzi "Io credo nelle fate. Lo giuro! Lo giuro!". Lo dico per lei.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-caro-papa-noiconigli-siamotanto-felici-11573.htm
Felicità è un coniglio non mannaro
Arrivare quarti, volere al Quirinale i nove di Delrio, tifare Francesco
di Maurizio Crippa | 22 Gennaio 2015
Bernardino Luini, Martirio di San Maurizio. Chiesa di San Maurizio Maggiore, Milano
Non so perché mia mamma volesse a tutti i costi un figlio da chiamare Maurizio, ma lo voleva proprio. Così sono arrivato quarto, fuori zona medaglie, e quando penso di esserci forse pure per l’impuntatura di un desiderio leggero, mi prende una gran felicità, un buonumore come un giorno di rondini. Che poi, chissà perché. Escludo, sull’onore di mia mamma (parte un pugno), che fosse per Maurizio Arena. Pollini aveva appena vinto il Varsavia, ma mio papà è sempre stato del partito di Benedetti Michelangeli (Arturo: bah). Merleau-Ponty, fuori orizzonte. Il coniglio che mi è sempre stato più simpatico, dopo Bunny, è il Coniglio Mannaro, geniale ossimoro d’antan, di quelli che per un mistero onomastico materializzano un’intera condizione umana. Ma non c’è nulla di mannaro in chi i figli li fa a raffica, la mannaritudine appartiene al cielo imbronciato degli arcigni, ché per andare oltre il quarto posto bisogna essere follemente innamorati di un nome.
I compulsivi battitusti hanno messo in trappola Graziano Delrio (quota nove), di pelo bianco come quanto in oggetto. A una domanda scema rispose come un Karl Popper: “Non ci siamo mai seduti e detti: vogliamo tanti bambini. Siamo semplicemente stati aperti alla possibilità che i figli arrivassero”. Ho nove figli perché sono realista: lo vorrei al Quirinale soltanto per questo. Penso che non ce l’avesse con quelli come lui, Francesco. Però penso che con qualcuno ce l’avesse sì (gaffeur non è), e non avesse torto. Ma con chi, non lo dico.
http://www.ilfoglio.it/articoli/v/124807/rubriche/felicit-un-coniglio-non-mannaro.htm
Due coniugi ci scrivono per rendere la loro testimonianza di apertura alla vita.
«Quando ti sei sposato, Dio ha deciso quanti figli ti deve dare!». Con questa frase, Padre Pio era solito ammonire e rimproverare i suoi figli spirituali in materia di regolamentazione delle nascite. La “sua” era una vera e propria famiglia numerosa che vedeva nel matrimonio un difficile ma proficuo strumento di santificazione; ogni rifiuto volontario a collaborare alla creazione di Dio, implicava un passo in più verso la dannazione. Ecco la testimonianza di una sua figlia spirituale, Maria Ravagni Malaguti: “Sposata, mi ritenevo ben preparata in coscienza sui doveri del matrimonio cristiano. Nel ’51 la prima bambina, con parto difficile, ma superato bene. Nel ’53 la seconda con blocco renale, e complicazioni per cui il medico prescrive: «Niente figli, perché un terzo figlio può costare la vita». Si viene col marito a San Giovanni Rotondo da Padre Pio, che mentre mi passa accanto mi pone la mano sulla testa. «Padre – gli dico – Padre, ho due bambine, i medici mi dicono che se ne avrò un terzo morirò. Io non voglio peccare, ma non voglio morire». Padre Pio risponde: «Prendete tutti quelli che il Signore vi manda». Il Signore mi donò infine cinque figli”.
Le sue parole sono in pieno accordo con la dottrina della Chiesa, da sempre e per sempre immutabile. Dal passo biblico di Genesi 1,28 – «Siate fecondi e moltiplicatevi» – all’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio (1981), il richiamo è sempre lo stesso: unione indissolubile fra uomo e donna, in vista della prole. Parlare al passato, in questo caso, non ha senso perché la testimonianza delle numerose famiglie sorte dalla direzione spirituale del santo di Pietrelcina è viva e, appunto, vegeta ancora ai giorni nostri! Tuttora, nel mondo, coppie di sposi si sentono discepole di tali insegnamenti, consapevoli di remare controcorrente, in una società ormai secolarizzata e laicizzata. Anche all’interno della stessa Chiesa regnano arbitrio e confusione in materia di morale coniugale… eppure i documenti dei pontefici e gli esempi dei santi parlano da sé. Cosa dire di una Santa Gianna Beretta Molla, morta per le conseguenze del suo quarto parto, lei che pregava ogni giorno il Signore per ottenere il dono della maternità? Dei coniugi, già beati, Beltrame Quattrocchi? Dei coniugi Manelli, servi di Dio?
Le famiglie numerose sono sempre state segno di una Chiesa destinata all’eternità anche terrena: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle: tale sarà la tua discendenza» (Gn 15,15). Forti, e decisamente attuali, le parole di Sant’Agostino: «Pertanto, l’unione dell’uomo e della donna fatta con l’intenzione di generare è il bene naturale del matrimonio. Ma di questo bene fa un cattivo uso colui che se ne serve come le bestie, con l’intenzione cioè rivolta al piacere libidinoso, anziché alla volontà di procreare» (Le nozze e la concupiscenza). I genitori cristiani devono pensare a generare figli di Dio, cittadini destinati al Paradiso, senza se e senza ma: «i genitori cristiani intendano inoltre che sono destinati non solo a propagare e conservare in terra il genere umano; anzi non solo a educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a dare prole alla chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei santi e familiari di Dio (cf. Ef 2,19), perché́ il popolo dedicato al culto del nostro Dio e Salvatore cresca ogni giorno più̀» (Pio XI, Casti Connubii). Tutto unicamente secondo la volontà di Dio. Questo è il concetto di paternità responsabile: coraggiosamente accogliere tutti i “doni” che Dio vuol donare. All’apertura illimitata alla vita, non mancherà certo mai l’aiuto sollecito della Provvidenza e chi vi scrive lo sperimenta ogni giorno. «A questo livello si vive la vera e propria santità, con un esercizio eroico dei doveri inerenti alla missione matrimoniale […] Se io credo che il Signore della vita è Dio, che Lui è mio padre, che un figlio nasce sulla terra per volontà di Dio, che ha una missione da compiere e un destino di vita eterno, non avrò difficoltà ad essere aperto alla vita: può Dio, che è mio Padre, volere il mio male? Può farmi nascere un figlio senza aiutarmi a provvedere a lui?» (don Leonardo M. Pompei, Sacramentum Magnum).
Se oggi camminare verso la santità coniugale significa essere come i conigli, beh, noi, e tanti altri, siamo dei fieri conigli cristiani, pronti ad accogliere con responsabilità e piena coscienza tutti i figli che il Signore vorrà ancora donarci.
Siate fecondi e… moltiplicatevi?!?!
Due coniugi ci scrivono per rendere la loro testimonianza di apertura alla vita.
«Quando ti sei sposato, Dio ha deciso quanti figli ti deve dare!». Con questa frase, Padre Pio era solito ammonire e rimproverare i suoi figli spirituali in materia di regolamentazione delle nascite. La “sua” era una vera e propria famiglia numerosa che vedeva nel matrimonio un difficile ma proficuo strumento di santificazione; ogni rifiuto volontario a collaborare alla creazione di Dio, implicava un passo in più verso la dannazione. Ecco la testimonianza di una sua figlia spirituale, Maria Ravagni Malaguti: “Sposata, mi ritenevo ben preparata in coscienza sui doveri del matrimonio cristiano. Nel ’51 la prima bambina, con parto difficile, ma superato bene. Nel ’53 la seconda con blocco renale, e complicazioni per cui il medico prescrive: «Niente figli, perché un terzo figlio può costare la vita». Si viene col marito a San Giovanni Rotondo da Padre Pio, che mentre mi passa accanto mi pone la mano sulla testa. «Padre – gli dico – Padre, ho due bambine, i medici mi dicono che se ne avrò un terzo morirò. Io non voglio peccare, ma non voglio morire». Padre Pio risponde: «Prendete tutti quelli che il Signore vi manda». Il Signore mi donò infine cinque figli”.
Le sue parole sono in pieno accordo con la dottrina della Chiesa, da sempre e per sempre immutabile. Dal passo biblico di Genesi 1,28 – «Siate fecondi e moltiplicatevi» – all’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio (1981), il richiamo è sempre lo stesso: unione indissolubile fra uomo e donna, in vista della prole. Parlare al passato, in questo caso, non ha senso perché la testimonianza delle numerose famiglie sorte dalla direzione spirituale del santo di Pietrelcina è viva e, appunto, vegeta ancora ai giorni nostri! Tuttora, nel mondo, coppie di sposi si sentono discepole di tali insegnamenti, consapevoli di remare controcorrente, in una società ormai secolarizzata e laicizzata. Anche all’interno della stessa Chiesa regnano arbitrio e confusione in materia di morale coniugale… eppure i documenti dei pontefici e gli esempi dei santi parlano da sé. Cosa dire di una Santa Gianna Beretta Molla, morta per le conseguenze del suo quarto parto, lei che pregava ogni giorno il Signore per ottenere il dono della maternità? Dei coniugi, già beati, Beltrame Quattrocchi? Dei coniugi Manelli, servi di Dio?
Le famiglie numerose sono sempre state segno di una Chiesa destinata all’eternità anche terrena: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle: tale sarà la tua discendenza» (Gn 15,15). Forti, e decisamente attuali, le parole di Sant’Agostino: «Pertanto, l’unione dell’uomo e della donna fatta con l’intenzione di generare è il bene naturale del matrimonio. Ma di questo bene fa un cattivo uso colui che se ne serve come le bestie, con l’intenzione cioè rivolta al piacere libidinoso, anziché alla volontà di procreare» (Le nozze e la concupiscenza). I genitori cristiani devono pensare a generare figli di Dio, cittadini destinati al Paradiso, senza se e senza ma: «i genitori cristiani intendano inoltre che sono destinati non solo a propagare e conservare in terra il genere umano; anzi non solo a educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a dare prole alla chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei santi e familiari di Dio (cf. Ef 2,19), perché́ il popolo dedicato al culto del nostro Dio e Salvatore cresca ogni giorno più̀» (Pio XI, Casti Connubii). Tutto unicamente secondo la volontà di Dio. Questo è il concetto di paternità responsabile: coraggiosamente accogliere tutti i “doni” che Dio vuol donare. All’apertura illimitata alla vita, non mancherà certo mai l’aiuto sollecito della Provvidenza e chi vi scrive lo sperimenta ogni giorno. «A questo livello si vive la vera e propria santità, con un esercizio eroico dei doveri inerenti alla missione matrimoniale […] Se io credo che il Signore della vita è Dio, che Lui è mio padre, che un figlio nasce sulla terra per volontà di Dio, che ha una missione da compiere e un destino di vita eterno, non avrò difficoltà ad essere aperto alla vita: può Dio, che è mio Padre, volere il mio male? Può farmi nascere un figlio senza aiutarmi a provvedere a lui?» (don Leonardo M. Pompei, Sacramentum Magnum).
Se oggi camminare verso la santità coniugale significa essere come i conigli, beh, noi, e tanti altri, siamo dei fieri conigli cristiani, pronti ad accogliere con responsabilità e piena coscienza tutti i figli che il Signore vorrà ancora donarci.
Una famiglia come tante
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/01/siate-fecondi-e-moltiplicatevi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=siate-fecondi-e-moltiplicatevi
Giuliano Ferrara: “Quando papa Francesco dirà ‘li murtacci tua’, sarà un brutto giorno”
“La frase di papa Francesco sul ‘pugno alla mamma’ mi ha molto imbarazzato. Aspetto il giorno in cui il papa in aereo dica: “Li murtacci tua”. E sarà un brutto giorno”. Così Giuliano Ferrara, ospite de “Le invasioni barbariche” (La7), critica duramente le ultime esternazioni del pontefice. “Lui non è un curato di strada” – spiega – “è il vescovo di Roma. Deve avere un linguaggio intermedio, che convinca e spinga tutti a riflettere. Anche la frase sui conigli è una roba gravissima, è una cosa che dice l’ultimo sociologo da strapazzo”. Il direttore de Il Foglio aggiunge: “Quella frase del pugno poi era anche un po’ offensiva, perché l’ha conclusa dicendo più volte: “E’ normale”. Ma non puoi dire “è normale” 5 giorni dopo che due col passamontagna sono entrati nella sede di un giornale satirico e hanno fatto fuori 12 persone perché avevano parlato male della “mamma””. Sferzante anche il giudizio sul convegno sulla famiglia, organizzato dalla Regione Lombardia: “Una cosa tristissima. Non si può portare Ratzinger nelle mani di Maroni. Non si possono portare principi non negoziabili in un convegnuccio sponsorizzato dall’Expo”. E, riferendosi a Mario Adinolfi, ex deputato Pd e direttore del giornale cattolico “La Croce Quotidiano”, osserva: “Ora c’è quel simpatico pokerista, quello un po’ ciccione che mi fa la caricatura. Non cicciottello, eh, ciccionissimo. E’ anche simpatico, ma uno o gioca a poker o fa Ratzinger”. Nel finale, spassosa imitazione di Massimo D’Alema, del quale commenta il vis-à-vis con Marine Le Pen a “Dimartedì” (La7): “La Le Pen lo ha asfaltato. D’Alema, per me, è un uomo più intelligente, più complesso e interessante di Marine Le Pen, però deve finirla di fare prediche e sermoni”
A me pare che il vero coniglio sia questo argentino, sempre prono verso le mode e ideologie dominanti. Al loro cospetto (e usufruendo rigorosamente del lato B altrui) egli piccoleggia, umileggia, pigola e bela. Coi veri deboli, invece, diviene un deprecabile e ferreo Maramaldo: questa è la quintessenza della vigliaccheria, questo è il coniglio d'Oltretevere.
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